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Moto & Scooter
Yamaha YZR 500 GP
il 06/11/2001 in Moto & Scooter
Per la prima volta la Yamaha ha fatto fotografare la sua 500 GP completamente smontata. Il motivo? Il bolide di Biaggi va in pensione: Iwata si è convertita al 4 tempi

di Luigi Rivola, foto Gigi Soldano
Per i Giapponesi la 500 è proprio finita. Domenica scorsa si è disputata l’ultima corsa della classe con cilindrata “autentica” e dal prossimo anno quella che molti di noi continueranno a chiamare “classe 500”, così come un locale famoso continua ad essere noto col nome del fondatore anche dopo dieci cambi di gestione, vedrà invece le vecchie mezzo litro a due tempi, presumibilmente bloccate nel loro sviluppo, battersi contro le 1000 (perché dovremmo chiamarle 999 solo per fare un piacere a Carmelo Ezpeleta?) a quattro tempi.
Ed è buffo che la fine della supremazia del motore a due tempi venga celebrata proprio dalla Yamaha, che negli anni '70 con questo tipo di motore ha costretto alla resa tutte le più evolute GP a quattro tempi del mondo. Una celebrazione invero indiretta, che appare chiara dalla mossa inaspettata, e decisamente in controtendenza rispetto alla consueta ed esagerata mania di segretezza dei tecnici giapponesi, di mostrare la Yamaha YZR 500 4 cilindri due tempi ufficiale con cui ha corso Max Biaggi nel 2001, non solo senza veli – il che sarebbe già strano – ma addirittura smontata pezzo per pezzo, il che se non si fosse deciso di metterla definitivamente in pensione in favore della debuttante M1, sarebbe semplicemente inconcepibile.
Ecco dunque questa foto, scattata dal nostro Gigi Soldano per conto della Yamaha, della moto con cui Biaggi ha vinto quest’anno tre Gran Premi (Francia, Olanda e Germania) ed ha colto cinque pole position consecutive. In pratica è la “scatola di montaggio” della YZR 500, dalla quale abbiamo estrapolato diverse fotografie, isolando i particolari per corredarli delle informazioni che siamo riusciti a reperire sul sito ufficiale della Yamaha.
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Il motore è un quattro cilindri due tempi di 499 cc che eroga una potenza "ufficiale" oscillante sui 180 CV a 13.000 giri (in realtà dovrebbero essere almeno 200). I carter sono in magnesio, una scelta adottata non tanto per ridurre il peso della moto, quanto per poter incrementare gli spessori delle pareti e dunque la rigidità complessiva del basamento. In questo modo il propulsore meglio si adatta, una volta fissato al telaio, alla funzione strutturale a cui è sottoposto. I carter vanno sostituiti ogni 3200-4800 km, mentre l’albero motore ha una durata che mediamente va da 1000 a 1600 km.
Nella stessa immagine in cui vediamo il motore col manovellismo montato, si può osservare anche la frizione a dischi multipli a secco e il cambio a sei rapporti, che prevede più di 80 diverse combinazioni. Il sistema di gestione del motore comprende anche un sensore sulla leva del cambio, che fornisce informazioni sul selettore in modo da poter regolare esattamente il tempo di taglio dell’accensione del motore, necessario per poter consentire a Biaggi di salire di marcia senza chiudere il comando dell’acceleratore, né azionare la frizione.
I tecnici, in base alle indicazioni del pilota, alle caratteristiche del circuito e ai riscontri telemetrici possono scegliere fra cinque diversi tipi di cilindri. Le differenze principali risiedono naturalmente nella conformazione dei travasi e della luce di scarico, che dispone inoltre di valvole selezionabili con settaggi diversi.
Sono disponibili anche teste con differenti volumi delle camere di scoppio, tutte dotate di sensore di temperatura e pressione interna.
I pistoni hanno una durata di 300 km, ma non vengono mai utilizzati gli stessi per le prove e per la corsa, anche se il chilometraggio complessivo lo consentirebbe.
L’alimentazione è fornita da quattro carburatori Keihin con diffusore di 35 mm. Si tratta di carburatori con la più ampia possibilità di regolazion in relazione ai dati forniti al sistema di telemetria. La gestione elettronica del motore (accensione, valvole allo scarico, getti di potenza dei carburatori) riceve le informazioni necessarie da sensori di posizione della valvola del gas e del numero di giri. Nella foto, oltre ai carburatori, si notano i quattro pacchi lamellari posti sul carter in corrispondenza di ogni camera di manovella, completi di tamponi guidaflusso che raccordano la sezione di passaggio tra carburatore e lamelle. Il sistema di gestione elettronica integrata del motore è altamente sofisticato e sulla Yamaha YZR 500 è prevista la possibilità per il pilota di scegliere in gara tra diverse regolazioni, per correggere settaggi adottati in prova in caso di mutamenti delle condizioni meteo o di altri problemi (ad esempio, per “addolcire” l’erogazione del motore in condizioni di aderenza difficile o di pioggia).
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L’apparato di scarico della Yamaha YZR è costituito da quattro camere di espansione indipendenti con silenziatore terminale in fibra di carbonio. Sono disponibili quattro set di scarichi diversi a seconda delle caratteristiche di erogazione richieste al motore. Gli scarichi dei cilindri 1, 3 e 4 hanno una conformazione abbastanza lineare e ciò facilità l’evacuazione dei gas; lo scarico del cilindro n° 2 segue invece un andamento a “S” che complica notevolmente le cose. Tutte le camere di espansione sono realizzate in titanio.
Al raffreddamento del motore provvedono due radiatori posizionati anteriormente. Quello principale, superiore, è sufficiente a mantenere la temperatura del liquido entro i 60° ideali in condizioni ambientali piuttosto fredde; quello inferiore viene aggiunto quando la temperatura esterna lo richiede. Anche in giornate molto calde non si va così mai oltre i 70° di temperatura del liquido, che raffredda non solo teste e cilindri, ma anche superfici limitate dei carter.
Oltre ai radiatori, nell’immagine è visibile l’air-box in fibra di carbonio, messo a punto, come conformazione, volume e collocazione, a seguito di lunghi test nella galleria del vento e di successive verifiche in pista.
Il telaio è semplice e complesso allo stesso tempo. Semplice come struttura: un ormai classico “twin spar” in alluminio, ma complesso dal punto di vista costruttivo, in quanto deve costituire il miglior compromesso possibile fra l’irrinunciabile esigenza di rigidità e la capacità di comunicare sensazioni al pilota. Un telaio troppo rigido non accusa torsioni e flessioni e non “informa” il pilota. C'è poi da considerare che, con le angolazioni raggiunte in curva grazie ai moderni pneumatici (oltre 60° dalla verticale!) le sospensioni non riescono più a "lavorare" correttamente, perché le sollecitazioni che giungono dall'asfalto risultano troppo "laterali": la ciclistica deve quindi flettere in modo controllato per gestire queste situazioni.
La geometria del telaio della YZR è modificabile variando l’interasse, l’inclinazione dell'asse di sterzo, l’avanzamento delle piastre della forcella e l'altezza del fulcro del forcellone. La distribuzione dei pesi, accuratamente stabilita in fase di progetto collocando nel modo più idoneo tutti i componenti (compresi gli apparati del sistema di gestione del motore ed i cablaggi elettrici), può essere alterata modificando la posizione di guida. I freni anteriori sono Brembo con dischi in carbonio (da 320 o 290 mm di diametro a seconda delle esigenze) che vanno sostituiti ogni 6-7 gare, nonostante le enormi sollecitazioni termiche e meccaniche alle quali sono sottoposti. Forcella e ammortizzatore Ohlins sono naturalmente registrabili in ogni funzione e con vasta scelta di componenti interni. La ruota anteriore è una Marchesini in carbonio, mentre quella posteriore è sempre una Marchesini, ma in magnesio per ragioni di resistenza.
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