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Moto & Scooter
Benelli Tornado SBK
il 04/11/2001 in Moto & Scooter
Alan Cathcart ha provato per Motonline la tre cilindri della Casa pesarese che ha esordito quest’anno nel mondiale SBK. Le doti principali sono guidabilità e maneggevolezza mentre manca potenza agli alti regimi e pesa ancora troppo
di Alan Cathcart, foto Stefano Gadda
C’era grande attesa per la prova della Benelli Tornado 900 in versione racing e devo confessare che tutta questa aspettativa non è andata delusa. La tre cilindri con la quale la Casa pesarese è tornata alle corse, portata in pista da Peter Goddard quest’anno nel mondiale Superbike, si è rivelata subito una moto non solo bella e interessante dal punto di vista tecnico ma soprattutto dotata di un grande potenziale in grado di portarla a ben figurare in un campionato esasperato come quello riservato alle derivate di serie.
Ho avuto la fortuna di salirci per primo nel test organizzato per la stampa specializzata sul circuito Santamonica di Misano, una piccola fortuna che mi ha permesso di godermela in tutta la sua pienezza. Anche perché il set up della moto era perfetto, e non poteva essere diverso visto che la Tornado è stata sviluppata proprio su questa pista.
Orgoglioso padrone di casa il presidente della Benelli, Andrea Merloni, il primo a credere in questo progetto sviluppato dall’ing. Riccardo Rosa ed ora nelle mani dell’ing. Pier Luigi Marconi, a cui spetterà il non facile compito di far fare alla Tornado il definitivo salto di qualità: ovvero coniugare la guidabilità delle bicilindriche alla potenza delle quattro cilindri.
Compito impegnativo soprattutto il secondo, visto che ancora si deve fare i conti con un “buco” di potenza tra i 9.500 e i 10.000 giri/min che penalizza parecchio le prestazioni, e che anche a livello di erogazione c’è la necessità di intervenire per renderla meno brusca. Niente da eccepire invece a livello di guidabilità grazie ad una ciclistica che non ha niente da invidiare alle bicilindriche.
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La Tornado si è presentata come una delle più innovative proposte degli ultimi anni, non tanto per il livello tecnologico, quanto per l’originalità di molte scelte tecniche, che appaiono decisamente razionali e tutt’altro che bizzarre. Il frazionamento del motore, la struttura modulare del telaio in tubi d’acciaio e fusioni di magnesio, i radiatori montati posteriormente, l’alimentazione a iniezione (oggi molto diffusa, all’epoca della presentazione assai meno)…
Sospensioni e freni sono ovviamente al top: la forcella è una Ohlins a steli rovesciati da 43 mm con riporto TiN, mentre i dischi anteriori sono Brembo flottanti da 320 mm con piste in ghisa, “morsi” da pinze radiali a quattro pistoni.
Motore e telaio sono stati studiati per lavorare come un tutt’uno: la straordinaria compattezza del propulsore in senso longitudinale e il posizionamento dei radiatori ha permesso infatti di spostare in avanti il blocco cilindri, agevolando cos’ la distribuzione dei pesi e permettendo l’impiego di un forcellone di lunghezza eccezionale, per contenere al massimo le reazioni del retrotreno all’apri-chiudi.
Il cannotto di sterzo ospita una bussola dall’inclinazione registrabile (22,5°-24,5°) per il perno della forcella: utilizzando un’inclinazione di 23,5° si ottiene un’avancorsa di 98 mm e un interasse contenuto in 1395 mm, con una distribuzione dei pesi ideale, che vale 53/47%.
Per abbassare il baricentro, il serbatoio del carburante è alloggiato in posizione anteriore e inferiore rispetto all’air box in carbonio, che occupa la porzione posteriore del guscio del finto serbatoio.
La parte più interessante all’atto della sua presentazione è stata proprio il motore, caratterizzato da un frazionamento inusuale (che permette però di fare tesoro della tecnologia di Formula 1, vista la cilindrata unitaria pressoché uguale a quella di un V10 di tre litri) e da un sound particolare. Non a caso nel corso dell’evoluzione sono state adottate misure di alesaggio e corsa ancora più radicali di quelle del prototipo originario (88 x 49,5 invece di 85,3 x 52,4 mm) e il rapporto di compressione è salito da 11,8 a 13:1. La potenza “ufficiale” è di 158 CV a 13.000 giri, ma l’obbiettivo è di raggiungere i 14.000. Andare oltre questo regime appare possibile solo con l’impiego di molle pneumatiche.
La testata presenta un angolo tra la valvole che appare non estremo, con i suoi 28°, mentre i funghi sono state maggiorati a 36 mm all’aspirazione e 30 mm allo scarico (erano di 32 e 29 mm rispettivamente). La respirazione del motore è controllata da tre corpi farfallati Dell’Orto da 55 mm, dotati di singolo iniettore centrale e gestione elettronica della EFI (un gruppo di tecnici ex-Marelli). La trombetta di aspirazione del cilindro centrale è più lunga per ampliare la banda di utilizzo del motore.
L’albero motore mantiene le manovelle a 120°, e le combustioni sono equamente intervallate ogni 240°, secondo un ordine 1-3-2. A collegare l’albero ai pistoni Asso forgiati, dotati di due soli segmenti, provvedono bielle Pankl in titanio.
Davanti all’albero motore ruota il contralbero di equilibratura, comandato da una coppia di ruote dentate: si sta studiando la possibilità di rimuoverlo, a tutto vantaggio del peso complessivo (1,5 kg) e dell’inerzia in accelerazione e decelerazione
La prima cosa che si nota è la sella molto alta rispetto alla norma, più o meno a livello di quella della Yamaha di Haga. Il giapponese aveva fatto questa scelta per appesantire l’anteriore e “scivolare” meglio in curva; nel caso della Tornado è stata una scelta obbligata, visto il posizionamento del radiatore proprio sotto la sella. La distribuzione dei pesi è dunque molto sull’avantreno, ma questo non si nota, grazie al grande equilibrio e alla stabilità del telaio, con il forcellone che “aiuta” molto a scaricare la potenza a terra in uscita di curva, trovandosi praticamente parallelo al suolo in questa fase.
Così guidare la tre cilindri diventa facile, e si nota subito che è una moto con molta personalità. Preciso e puntuale l’inserimento in curva, in percorrenza non sottosterza e segue sempre la linea ideale. Le difficoltà si riscontrano quando si deve aprire il gas: troppi i CV che arrivano di colpo alla ruota e che ti mettono in difficoltà sia in piega sia in uscita di curva, gli stessi problemi evidenziati anche da Goddard. Quando poi si spinge, si incontra un buco di potenza tra i 9.500 e i 10.500 giri/min e, soprattutto, è decisamente penalizzante per le prestazioni il limitatore posto a 12.600 giri/min, con il motore che “senti” vorrebbe salire molto più in alto.
Questi sono gli interventi più urgenti su cui sono concentrati gli uomini della Benelli. Ottimo invece il cambio, anche se non ho trovato il feeling pieno perché troppo sensibile e spostando i piedi sulle pedane per le normali esigenze di guida c’è il rischio di cambiare inavvertitamente. La Tornado pesa più del limite di 162 kg previsto dal regolamento; si impone quindi un consistente dimagrimento, una decina di chili circa, e ciò renderebbe ancora più maneggevole questa tre cilindri che già si fa apprezzare per questa importante qualità.
Benelli Tornado SBK
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