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Kawasaki ZZR 600

il 02/08/2001 in Moto & Scooter

Dieci anni, ma non li dimostra. La media della casa di Akashi mostra un invidiabile freschezza di contenuti tecnici e di piacevolezza di guida

Kawasaki ZZR 600


di Alberto Dell'Orto
, foto Alberto Cervetti




Quando apparve, nell’ormai non vicinissimo 1990, la ZZR 600 (insieme alla 1100, più grossa) attirò gli sguardi e l’interesse di appassionati e addetti ai lavori. Se il tema della carenatura integrale aveva già incontrato dei precursori (per fare un nome, CBR 1000), quello che la faceva notare erano le linee morbide (in un momento in cui le sportive erano spigolose) e alcuni dettagli estetico-funzionali come le frecce integrate e i grandi specchi retrovisivi.





Il motore a quattro cilindri aveva prestazioni di primissimo piano (una novantina di CV effettivi, buoni per far superare alla moto i 240 km/h) e del tutto in linea anche con i modelli più sportivi dello stesso segmento. E se in questo decennio la destinazione d’uso delle supersportive di media cilindrata si è andata via via estremizzando, anche con l’ingresso di nuove e credibili competitrici come la Suzuki, la ZZR 600 è rimasta fedele a sé stessa, guadagnando qualcosa a livello di dotazione (le sospensioni sono ora regolabili), ma soprattutto occupando una nicchia come quella delle sport-tourer 600, di fatto senza avversari diretti.




La sua rivale storica, infatti, la CBR600, è decisamente superiore per prestazioni e prezzo e inferiore per versatilità e comfort, mentre altre proposte come la GSX 600 F non possono competere sul fronte dell’efficacia su strada e delle doti velocistiche. Tutto perfetto, dunque? Beh, quasi: qualche difettuccio emerge nell’utilizzo quotidiano o esasperato, ma non è comunque in grado di offuscare un quadro generale davvero soddisfacente.

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La ZZR appare una moto matura, adatta all’utente che bada al sodo prima che alle mode, e che apprezza una motocicletta un poco “tuttofare”, ma che non disdegna qualche bella piega o veloci trasferimenti autostradali. Quindi appare razionalmente studiata in molti aspetti come quelli che privilegiano la facilità di utilizzo. Gli specchi, per esempio, pur forse discutibili dal punto di vista estetico per il loro impatto visivo, offrono un ottima visuale, assenza di vibrazioni e una piacevole facilità di regolazione.




Anche la strumentazione, arricchita quest’anno dall’orologio, è completa e facile da leggere. Manca però una spia della riserva, che potrebbe sostituire ottimamente il rubinetto, un po’ scomodo da azionare. Le leve al manubrio offrono entrambe la possibilità di regolare la loro distanza dalla manopola, mentre la posizione dei semimanubri è fissa. Il serbatoio non è eccezionalmente capiente (tra una “riserva sparata” e un pieno che non trabocchi ci stanno circa 17 litri di carburante), ma i consumi contenuti permettono comunque un’autonomia ragionevole, per lo meno se non si esagera con l’acceleratore.




Sotto la sella si trovano un paio di vani portaoggetti di discreta capienza (una catena e una K-Way), accompagnati da un vano protetto da chiave ricavato nella parte sinistra della carenatura.
Anche i materiali e le lavorazioni appaiono curate: il telaio in lega leggera anodizzata mostra una gradevole finitura satinata e saldature di ottimo livello. Infine la carrozzeria appare ben rifinita, con accoppiamenti precisi, assenza di scricchiolii e verniciatura curata, al pari di quella del motore.

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Quello della ZZR 600 appare un motore “di transizione”, progettato all’epoca con bene in mente i canoni tecnici tradizionali e le nuove tendenze che già si prospettavano e che oggi costituiscono la norma. Per questo il quattro cilindri Kawasaki mantiene la catena di distribuzione centrale, una scelta “simmetrica” che impone però qualche limite in termini di larghezza del propulsore (i supporti di banco non possono essere meno di sei).




Per il resto si nota, a parte il raffreddamento a liquido già allora considerato una strada obbligata, una sorta di lungimiranza considerevole, con l’adozione di una distribuzione particolarmente compatta (angolo tra le valvole di 30°), condotti di ammissione sensibilmente inclinati e cappelli degli alberi riuniti in due gruppi per motivi di rigidità strutturale. Per contro le canne cilindro sono in ghisa (permettono la rettifica in caso di usura ma non sono ottime conduttrici di calore), mentre il gruppo del basamento appare razionalmente progettato, anche se a dieci anni di distanza probabilmente la compattezza non è più al top del settore.




Il telaio adotta uno schema inconsueto, nato a metà degli anni Ottanta con la GPZ 600 e, alla prova dei fatti, ancora attuale per caratteristiche generali. Si tratta di un doppio trave perimetrale, che però utilizza come elemento di considerevole importanza una triangolatura che funge da bretella di collegamento con la parte anteriore del basamento, appena sotto il piano di unione tra blocco cilindri e carter.

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L’impostazione di guida è davvero centrata, con la sella bassa da terra, la posizione di guida “seduta” e i semimanubri confortevoli per altezza e inclinazione. Si sente però la necessità di poterli regolare in ampiezza, perché appaiono un po’ chiusi, e il peso grava sulla parte esterna dei palmi.
Bene la sella, imbottita il giusto e con una copertura che consente di muoversi agevolmente anche affrontando una serie di tornanti.




Il passeggero inoltre, è ospitato con una certa attenzione, piuttosto rara nel segmento: la sella è ampia, il maniglione ben sagomato, e anche le pedane appaiono posizionate ad un altezza ragionevole. Inoltre la differenza di altezza rispetto al pilota è contenuta, cosa che limita l’esposizione del “secondo” ad aria e vortici.
La carenatura svolge egregiamente il suo lavoro, deviando in modo efficace e senza vortici residui gran parte dell’aria che investirebbe il pilota; l’unico neo è dato dalla conformazione degli sfoghi dell’aria passata attraverso i radiatori, diretti decisamente verso le gambe del guidatore. D’inverno può essere piacevole, ma con la bella stagione…





Le vibrazioni appaiono contenute, anche se agli elevati regimi si fanno sentire un po’, e possono portare a qualche fenomeno di intorpidimento delle mani. L’isolamento di pedane e sella, invece, è praticamente perfetto.
I comandi, sia a mano che a pedale, sono ben studiati, tanto ergonomicamente quanto funzionalmente: modulabilità e intuitività sono di ottimo livello. Una chicca i ganci ripiegabili che nell’uso a solo permettono di fissare agevolmente bagagli sistemati al posto del passeggero.

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Scusate se partiamo con un paragone (per di più con una moto di un’altra marca), ma è probabilmente la frase che meglio sintetizza l’aspetto dinamico della ZZR 600: se la VFR fosse seicento, quasi sicuramente sarebbe così. Il fatto è che, anche se ci sono moto che vanno più veloci, e alcune non costano nemmeno tanto di più, la media di Akashi conquista per la completezza e la godibilità in ogni frangente. Reattiva eppure sincera, veloce il giusto, stabile sul veloce e morbida nello stretto, confortevole, facile subito: questi sono gli ingredienti di una moto stradale sì, veloce sì, ma davvero tuttofare.




In città durante la settimana, fuoriporta con la fidanzata nel weekend, in autostrada con bagagli per due, in montagna a strisciare pedane, la ZZR non si tira mai indietro, e si lascia anche strapazzare senza offrire resistenza. Noi ci abbiamo perfino percorso, in coppia, ben più di qualche metro su uno sterrato (facile, ovviamente): nessuna sorpresa. Certo, qualche neo può anche emergere, ma in fondo si tratta di peccati veniali. In curva si tocca presto con il cavalletto, è vero, ma in fondo si sta già usando il bordo più esterno dei battistrada; quando si guida con piglio sportivo le sospensioni mostrano una taratura un po’ morbida, però si sente che lavorano bene, e poi bisogna pensare anche al comfort, e se proprio non ci si trova bene si possono regolare…




Il freno anteriore è rumoroso, e nell’uso estremo fa avvertire un leggero deficit di potenza, ma è pronto, modulabile, sincero ed estremamente resistente al fading; le Bridgestone di serie non sono il massimo, tecnologicamente parlando (fanno emergere qualche accenno di ondeggiamento), però offrono un buon grip, ottime percorrenze, una maneggevolezza invidiabile e un’apprezzabile silenziosità. Insomma, il difetto più grande appare la notevole irregolarità subito dopo un avviamento a freddo, ma probabilmente basta registrare la miscela del minimo per veder sparire anche questa ombra.

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Motore: a 4 tempi, 4 cilindri in linea frontemarcia, raffreddamento a liquido, alesaggio e corsa 64 x 46,6 mm, cilindrata 599 cc, rapporto di compressione 12:1; distribuzione bialbero a 4 valvole per cilindro, comando a catena; lubrificazione a carter umido. Alimentazione: 4 carburatori a depressione da 36 mm; capacita’ serbatoio 18 litri. Accensione elettronica. Avviamento elettrico.


Trasmissione: primaria a ingranaggi; frizione multidisco in bagno d’olio con comando a cavo; cambio in cascata a sei rapporti; finale a catena.


Ciclistica: telaio a doppio trave in lega leggera, inclinazione asse di sterzo 24,5°, avancorsa 96 mm. Sospensione anteriore: forcella telescopica regolabile, steli da 41 mm, escursione 120 mm; sospensione posteriore: forcellone in alluminio con monoammortizzatore, escursione 130 mm. Ruote: anteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 120/60-17”; posteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 160/60-17”. Freni: anteriore a doppio disco di Ø 300 mm, pinze a 4 pistoncini contrapposti; posteriore a disco di Ø 240 mm, pinza flottante a 1 pistoncino.


Dimensioni e peso: interasse 1430 mm, lunghezza 2070 mm, larghezza 695 mm, altezza sella 780 mm. Peso a secco 195 kg.
Prestazioni: potenza 100 CV (74 kW) a 12.000 giri, coppia 6,4 kgm (63 Nm) a 9300 giri.


Omologazione Euro-1: si’

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