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Harley-Davidson V-Rod

il 25/07/2001 in Moto & Scooter

Dopo la di questa autentica rivoluzione della marca americana, vi proponiamo il test su strada e un approfondimento te

Harley-Davidson V-Rod


di Alan Cathcart e Alberto Dell'Orto




L'obiettivo della Harley Davidson è di costruire 11.000 V-Rod nel corso del primo anno, da vendere al prezzo approssimativo di 37.500.000 di lire. La sigla "VRSCA" (la Harley Davidson ha rinunciato al raffreddamento ad aria, al carburatore, alle vibrazioni, ma non alle sue sigle impronunciabili) significa "V-twin Racing Street Custom A" chiarisce attraverso la "A" finale che si tratta del primo di una famiglia di modelli di diversa impostazione e cilindrata, ma basati tutti sul nuovo motore.





Con questa moto, la Casa di Milwaukee intende rivolgersi a quel vasto pubblico di motociclisti, americani e non, che fino ad ora non hanno trovato nei 24 modelli che costituiscono la sua gamma, la moto dei loro sogni. La "rivoluzione" non sta solo nel motore, ma anche nell'aspetto dinamico e nella linea assolutamente originale, che nulla ha in comune con gli altri prodotti usciti dalla più celebre fabbrica del Wisconsin.

In sella alla V-Rod abbiamo trascorso un giorno e mezzo su strade di montagna nella zona del San Gabriel Canyon, a est di Los Angeles, strade popolate di camionette degli sceriffi locali e della California Highway Patrol.




Il motivo di questo schieramento non era "incastrare" noi nei nostri molto probabili eccessi, ma perché era la prima uscita pubblica della V-Rod e la curiosità era tanta anche presso gli uomini in divisa, visto che la Harley Davidson produce le più celebri moto dei poliziotti americani.

I commenti si sprecavano: "Sembra che stia infrangendo i limiti di velocità anche stando ferma" diceva un possessore di Softail, mentre un motociclista in sella a una Honda CBR 600 ammirava con interesse la nuova moto sostenendo che da tempo era alla ricerca di una sportiva più semplice da guidare della sua CBR, ma con un motore meno primitivo dell’Harley. Trovata?

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La V-Rod ha una posizione di guida atipica, con la sella a soli 66 cm da terra, che comunque offre comodità sufficiente anche per un intero giorno di viaggio; il manubrio, proiettato all’indietro, non è troppo alto e le pedane da cruiser non sono troppo avanzate, però la loro collocazione lascia a desiderare perché la gamba e lo stivale destro si vengono a trovare troppo vicino al tubo di scarico del motore. Avviando il motore, al minimo – attorno ai 1200 giri – si avverte subito che si tratta di un Harley, ma con qualcosa di speciale: il suono è quello tipico, ma con la variazione indotta dalla diversa angolazione dei cilindri, inoltre mancano i noti scoppiettii di rifiuto al carburatore e i rumori meccanici ai quali si era fatta l’abitudine col vecchio bicilindrico.




In partenza si nota la grande progressione del motore, complice l’efficienza della frizione, che denuncia qualche strappo solo nella guida in città (ma non dimentichiamo che questo è un motore da 115 CV) e l’eccellente erogazione, esente da “buchi” in fase di riapertura, a differenza di quanto spesso si riscontra su motori ad iniezione con singolo iniettore. Il risultato è che la V-Rod spinge forte e pulita fino all’intervento del limitatore, posto a 9000 giri. La spinta è consistente già a 3500 giri, ma diventa prepotente oltre i 5000 giri, nel miglior stile Superbike. Si può comunque viaggiare anche a 2000 giri nella marcia più alta, oppure tenere, a 5000 giri, una velocità di crociera di 130 km/h, corrispondenti al limite di velocità dell’autostrada in cui si è svolto parte del nostro test. Il fondo scala del tachimetro, a 225 km/h, non sembra affatto utopistico.




E in curva? L’interasse di oltre 1700 mm la condanna ad essere solo moto da rettilineo? Francamente pensiamo che questa sia la prima Harley con cui sia possibile divertirsi nella guida disinvolta e sportiva su strade tortuose. Certo, la risposta dello sterzo è inevitabilmente più lenta del normale, ma la stabilità è buona e la maneggevolezza accettabile. Le sospensioni sono decisamente migliorabili: quella anteriore tende ad affondare in compressione e mostra un ritorno troppo poco frenato; quella posteriore lascia a desiderare quanto a capacità di assorbimento delle irregolarità del manto stradale.

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Dopo il motore Evolution, dotato di cilindri in alluminio, e accoppiato a un cambio a cinque marce, l’Harley ha presentato a breve distanza di tempo (appena qualche anno!) una rivisitazione completa del vecchio caro tema del raffreddato ad aria ad aste e bilancieri portato a quasi 1450 cc, e il nuovo V- Rod, nato dalla cooperazione con la Porsche. Per la verità di un motore sviluppato da quest’asse USA-Germania si parla da molto tempo. Anzi, a metà degli anni Ottanta erano apparsi i bozzetti di un ipotetico V4 raffreddato ad aria, che non ha mai raggiunto la produzione e, pare, nemmeno lo stadio di prototipo funzionante.
Il V-Rod, invece, è una realtà, e almeno in apparenza anche molto solida. Uno stacco netto a livello di fruibilità e di sensazioni di guida, che sembra andare incontro alle esigenze di una nuova fetta di utenza, piuttosto che costituire un richiamo per gli appassionati dei raffreddati ad aria, che infatti rimangono in listino.
Oltre alla cilindrata relativamente ridotta (per gli standard Harley, ovviamente), il motore mostra una serie di scelte tecniche molto razionali, anche se indubbiamente meno originali di quelle a cui la Casa di Milwaukee ha abituato i suoi fans. Insomma, il nuovo progetto ha definito un motore tutto teso verso l’efficienza, in vista dei continui inasprimenti delle norme antinquinamento e di un futuro potenziamento (pare che con poche modifiche alle testate sia possibile ricavare 7-8 CV in più).

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La prima “revolution” è costituita dall’albero motore. Ora è di tipo monolitico con cuscinetti a guscio sottile (bronzine), il che costituisce un indubbio vantaggio tecnico ed economico rispetto all’albero composito dei raffreddati ad aria: a parte il numero minore di lavorazioni necessarie per ottenere il pezzo finito, i tempi di assemblaggio sono notevolmente più ridotti (gli alberi compositi Harley ruotano su cuscinetti a rulli conici che vanno opportunamente precaricati, per tacere della necessità di assemblare e “centrare” il componente in sé), mentre la rigidità dell’albero in pezzo unico dovrebbe garantire livelli di affidabilità decisamente più alti. Per ottenere l’albero più corto e rigido possibile si è scelta la strada della corsa corta e del perno di manovella unico, nonostante questo provochi, rispetto alla soluzione con manovelle sfalsate (adottata da Honda sul motore VT/Transalp/Africa Twin) qualche squilibrio in più a livello cinematico in presenza di un angolo tra i cilindri di 60°.




La prima conseguenza è l’irregolarità della successione delle combustioni (ogni 300 e 420° di rotazione, contro i 315 – 405° del motore a V di 45°), ma appare un aspetto di poco conto, soprattutto considerando che la distribuzione bialbero a quattro valvole, il rapporto di compressione elevato (11,3:1), i corpi farfallati da 53 mm e i regimi di potenza e coppia massima (8250 e 6300 giri rispettivamente) parlano di un motore che, pur puntando all’elasticità, non privilegia i bassissimi regimi. Discorso diverso per le vibrazioni: la migliore equilibratura in un motore di questa architettura si ha con le manovelle sfalsate di 60°, ma le citate ragioni meccaniche e, probabilmente, di sound dello scarico hanno fatto preferire l’adozione di un albero di bilanciatura equirotante, per contrastare le inerzie del primo ordine, che generano le vibrazioni più fastidiose, e probabilmente per ottenere almeno un ricordo di quelle “pulsazioni” che fanno parte della tradizione Harley.

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A livello di gruppi termici, le differenze con il vecchio motore sono ancora più macroscopiche, a partire dall’adozione del raffreddamento a liquido. Le valvole sono raddoppiate (ora quattro per cilindro), e invece di essere comandate da un albero a camme nel basamento per mezzo di punterie a rullo con recupero idraulico del gioco e aste e bilancieri, sono azionate da una coppia di alberi a camme alloggiati direttamente in ogni testata, per mezzo di punterie a bicchiere dotate di pastiglia di registro; il comando dell’albero è passato da una coppia di ingranaggi a più convenzionali catene.
Anche la fluidodinamica è stata rivoluzionata: i condotti hanno un andamento decisamente più rettilineo, mentre l’angolo tra le valvole è stato sensibilmente diminuito per migliorare l’efficienza dei condotti e della camera di combustione. Inoltre i condotti di aspirazione delle due termiche sono, come appare irrinunciabile, mantenuti separati, mentre la confluenza dei due condotti sul motore a V di 45° rappresentava (e rappresenta tutt’ora) uno dei limiti maggiori alla “respirazione” del motore, a causa dell’interferenza dei fenomeni pulsatori che si generano all’interno dei condotti stessi.

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