Moto & Scooter
Motore Ducati Testastretta
Piccoli, grandi passi a Borgo Panigale: la Ducati ha rivoluzionato il proprio motore raffreddato a liquido, inaugurando la generazione dei “Testastretta”, cioè il desmo alla sua quinta generazione. Ne analizziamo le scelte tecniche e costruttive, confront
Piccoli, grandi passi a Borgo Panigale: la Ducati ha rivoluzionato il proprio motore raffreddato a liquido, inaugurando la generazione dei ?Testastretta?, cioè il desmo alla sua quinta generazione. Ne analizziamo le scelte tecniche e costruttive, confrontandolo con il Desmoquattro a cui si affianca.
di Alberto Dell'Orto, foto Giuseppe Gori
Da tempo, in effetti, si sentiva la necessità che la Ducati desse forma a un?evoluzione più radicale di quelle operate nell?arco di un quindicennio sul motore a quattro valvole, quello che, grazie all?adozione di raffreddamento a liquido, distribuzione desmo a quattro valvole e gestione elettronica integrata di accensione e iniezione, ha segnato l?ingresso della Casa bolognese tra i costruttori tecnologicamente più avanzati.
Il cammino della tecnica motoristica, però, ha nel frattempo conosciuto un progresso che ha finito per imporre una sostanziale riprogettazione dei gruppi termici come condizione indispensabile per mantenere il livello di competitività nella Superbike. Il Desmoquattro, infatti, continuamente sviluppato e rivelatosi vincente nelle competizioni, era sostanzialmente arrivato, in versione da gara, al limite delle possibilità di evoluzione permesse dagli schemi meccanici adottati. Il tutto, ovviamente, senza perdere quel legame tecnico (leggi distribuzione desmodromica) che costituisce un vero e proprio marchio di fabbrica
|
Una sfida impegnativa, insomma, a cui gli uomini della Ducati hanno cominciato a pensare almeno cinque anni fa. Il risultato, basato fondamentalmente sul progetto di un tecnico di valore purtroppo scomparso prima di vedere l?industrializzazione delle sue idee, Angiolino Marchetti (lo ricordiamo nel box a fianco), ha subito offerto un risparmio di peso di circa 3 kg e riscontri notevoli soprattutto sul piano delle prestazioni, con incrementi medi del 10% della potenza nelle varie configurazioni Biposto, R e SBK.
Nelle prossime pagine scopriamo nel dettaglio tutte la particolarità di questo esordiente di lusso, in cui sono riposte molte speranze da parte della Ducati.
Tre sostanzialmente le esigenze sul tavolo: le prospettive di sviluppo permesse dalla nuova unità, una migliore efficienza volumetrica e termodinamica, ingombri più contenuti.
La prima necessità era resa pressante dal rallentamento degli incrementi di potenza annualmente raggiungibili, punto nodale per pensare di contrastare in gara una concorrenza sempre più agguerrita.
La seconda era messa in primo piano dalla sempre maggiore difficoltà di far convivere prestazioni ed emissioni nelle moto di serie, oltre al raggiungimento di migliori prestazioni tout court. La terza era ed è una costante dell’evoluzione tecnica, che in questa moto trova ulteriore spiegazione con la necessità di guadagnare spazio a favore dell’air-box
Tutte queste premesse hanno trovato risposta in una generale ridefinizione dei parametri caratteristici del motore, con l’adozione di soluzioni che non solo rispondono singolarmente alle varie esigenze (potenza, emissioni, regime di rotazione, etc.), ma creano un quadro complessivo completamente diverso e intrinsecamente più moderno.
Possiamo quindi pensare che in questo scenario l’apporto di Angiolino Marchetti sia diventato insostituibile: un progettista proveniente dal mondo della Formula Uno può avere una libertà di pensiero che è più difficile trovare in chi ha vissuto un’intera vita professionale all’interno della Ducati.
In un’azienda così fortemente radicata nelle sue origini, infatti, c’è sempre il rischio che la storia e il presente creino autoreferenzialità, un “morbo” sempre latente nelle aziende dal passato importante, che tende a limitare la flessibilità mentale dei tecnici e spingerli a ispirarsi a soluzioni già adottate.
Appariva indispensabile ammodernare profondamente il disegno della testata soprattutto con la riduzione dell’angolo incluso tra le valvole. Si tratta di un parametro molto importante, perché ha notevoli riflessi sul funzionamento del motore, e in particolare sull’efficienza di combustione. Vediamo i principali vantaggi di un angolo tra le valvole compatto.
E’ evidente la maggiore compattezza della nuova camera di combustione (a sx)
1) La camera di combustione assume una conformazione meno “spigolosa” e un volume più contenuto, ma soprattutto con un rapporto volume/superficie maggiore: ciò la rende più efficiente perché meno propensa a disperdere il calore attraverso le pareti.
2) La camera di combustione più compatta riduce o annulla la necessità di ricorrere a pistoni con cielo rialzato per raggiungere gli alti rapporti di compressione ormai usuali in campo motociclistico (anche se Ducati ha sempre adottato sui Desmoquattro stantuffi dal cielo piano). I pistoni possono essere più leggeri e meno stressati termicamente, la combustione è più rapida e omogenea perché la forma della camera è meno tormentata.
3) Questo riduce la necessità di anticipare l’accensione, con benéfici riflessi sull’efficienza termodinamica e meccanica.
4) Si riduce il pericolo che si verifichi detonazione, quindi si possono adottare rapporti di compressione più elevati.
5) L’avvicinamento tra gli alberi a camme permette anche di ottenere condotti più dritti ed efficienti e meno inclinati rispetto all’asse del cilindro.
6) Si riduce il travaso di carica fresca dall’aspirazione allo scarico durante la fase di incrocio, con benefici su consumi, potenza ed emissioni.
|
La complessità meccanica, oltre a costituire un costo industriale, ha sempre limitato la libertà del progettista nella disposizione degli organi e nel disegno dei condotti.
Principalmente a causa dello spazio necessario a posizionare i bilancieri di apertura e chiusura e i relativi perni, non era pensabile, con lo schema desmoquattro, scendere in modo significativo sotto i 40° nell’angolo formato dagli assi delle valvole, a meno di eliminare il pozzetto della candela centrale e ricorrere ad una doppia accensione con candele piazzate lateralmente, soluzione non praticabile per problemi di complessità di disegno della testata e di efficienza di combustione.
|
In più, la presenza dei perni ha sempre costretto all’adozione di condotti con curvature più accentuate di quanto fosse preferibile. Eppure, valvole meno inclinate e condotti più rettilinei erano obbiettivi irrinunciabili perché il nuovo motore segnasse un vero passo in avanti rispetto al precedente. Come conciliare le diverse esigenze?
La prima scelta è stata quella di spostare all’esterno i perni dei bilancieri a dito di apertura. Nel motore Desmoquattro questi ruotano sullo stesso fulcro, posto a ridosso del pozzetto della candela, che supporta anche i bilancieri a due bracci (dalla caratteristica forma a squadra) che “tirano” in chiusura le valvole.
Questa soluzione ha permesso di spostare verso il centro i due alberi a camme, ma ha posto qualche limitazione all’andamento dei condotti (vincolo sentito più che altro all’aspirazione) e non ha risolto il problema di alloggiare i perni dei bilancieri di chiusura.
La soluzione è arrivata proprio grazie a quella libertà di pensiero di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti: il pozzetto della candela è stato realizzato in acciaio per microfusione e ha contribuito alla soluzione di molti problemi. Per prima cosa, il materiale adottato ha permesso di ridurre gli spessori di parete a valori irraggiungibili con il normale procedimento di fusione della testata. Ciò ha consentito di compattare ancor più il disegno complessivo.
Secondo, alla base di questo pezzo sono stati previsti quattro alloggiamenti ciechi, che svolgono la funzione di supporto interno di ognuno dei quattro perni dei bilancieri di chiusura di ogni testata. Il perno, insomma, non deve più attraversare tutto il pezzo e quindi può essere posizionato anche in corrispondenza del foro di accesso alla candela.
Per ragioni di stabilità geometrica il pozzetto riportato viene vincolato definitivamente alla “sua” testata già in fabbrica, per mezzo di viti e collante. Successivamente si procede alla foratura per gli alloggiamenti dei perni dei bilancieri, garantendo così il corretto allineamento dei supporti.
Nonostante il prototipo da cui sono state “estrapolate” le termiche fosse di fatto un motore completamente nuovo, con l’albero motore supportato da bronzine e riposizionato un poco più in basso, in questa fase si è scelto di mantenere il vecchio basamento (come sempre fuso in terra sulla versione R), anche se con qualche modifica di dettaglio.
La più importante è la realizzazione di una coppa dell’olio “a pozzetto”, che permette un pescaggio sicuro del lubrificante anche in condizioni estreme (piega, impennata). L’attenzione alla lubrificazione prosegue con l’allargamento della canalizzazione di aspirazione dell’olio e l’aumento di pressione dell’impianto a circa 5 bar. Il tappo di scarico integra ora una reticella cilindrica che fa da filtro di aspirazione per la pompa.
Il grande cambiamento riguarda però le misure caratteristiche: per contenere la velocità media del pistone e poter così saliere di regime, la corsa è stata ridotta da 66 a 63,5 mm, mentre l’alesaggio è cresciuto da 98 a 100 mm. Questo, insieme all’adozionme di una candela con filetto da 10 mm, ha permesso, nonostante la riduzione dell’angolo incluso, l’impiego di valvole sensibilmente più grandi, passate da 36 a 40 mm all’aspirazione e da 30 a 33 mm allo scarico.
Invariato il rapporto di compressione (peraltro elevato) pari a 11,5:1: probabilmente il guadagno di prestazioni non avrebbe giustificato le complicazioni a livello meccanico (pericolo di contatti a causa delle tolleranze, eventuale insorgenza di detonazione per motori che risultassero particolarmente “compressi”).
Per inserire un commento devi essere registrato ed effettuare il login.