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Dazi: Europa permissiva, Cina e India aggressive (altro che gli USA…)

Importare una moto in UE costa molto poco, rispetto a quanto non costi esportarne una in India e Cina. E forse è anche per questo che i costruttori orientali hanno un vantaggio
Le politiche commerciali dell'amministrazione statunitense guidata da Donald Trump hanno innescato quella che è stata ribattezzata guerra dei dazi. La mossa americana di imporre dazi superiori per un ampio paniere di merci, ha innescato una prevedibile contromossa da parte dell'Unione Europea.
Limitando strettamente il campo di osservazione al nostro settore e al nostro Paese, le due ruote italiane vantano un significativo surplus commerciale nei confronti degli USA: importiamo, infatti, veicoli per 1,2 milioni di euro e ne esportiamo per oltre 238 milioni.
Senza dubbio le frizioni doganali con gli USA penalizzeranno l'Italia, che in Europa è il primo paese produttore con 420mila veicoli. Ma nell'economia globale della moto, siamo sicuri che il vero problema sia questo? A nostro avviso no: ecco perché.
ALTRO CHE USA: OCCHIO A INDIA E CINA
In un mondo dove l'ago della bilancia pende sempre più verso oriente, consideriamo solo l'interscambio tra Italia e i due principali mercati mondiali per moto e scooter, che sono Cina e India. Ebbene, dati alla mano, emerge come per un produttore orientale esportare i suoi veicoli qui da noi sia un'operazione estremamente conveniente. Di converso, per un costruttore italiano qualunque, esportare i questi due Paesi equivale a un suicidio. Il motivo? Le due principali economie mondiali delle due ruote impongono alle loro merci dazi tasse talmente esosi al cui confronto quelli di Trump sono ridicoli.
COSA SUCCEDE IN INDIA
In India, l'importazione di un motoveicolo dall'Europa è soggetta a dazi doganali e alla GST (il corrispettivo dell'IVA). Per cui una moto italiana venduta a Mumbai subisce dazi all'importazione pari al 50% del suo valore; su questo, viene calcolato un dazio aggiuntivo (il Social Welfare Surcharge) pari al 10%. Inoltre c'è la GST, che è pari al 50% del valore per moto di cilindrata superiore a 800 cc, e del 28% per moto di cubatura inferiore. Per le maxi moto sopra gli 800 cc, inoltre, dobbiamo aggiungere un 3% di Compensatory Cess.
Quindi, per una moto di grossa cilindrata, il costo totale dell'importazione può superare il 100% del valore della moto a causa della combinazione di dazi e GST. Come si capisce, si tratta di un meccanismo che di fatto impedisce a chiunque di esportare in India, a meno che un costruttore sia talmente grande da poter investire in loco su uno stabilimento di produzione (cosa che, ad esempio, hanno fatto da anni Honda e Piaggio).
COSA SUCCEDE IN CINA
In Cina, l'importazione di un motoveicolo dall'Europa è soggetta a dazi doganali, tassa di consumo e IVA (l’equivalente della nostra IVA). Una moto italiana venduta a Pechino subisce innanzitutto un dazio all'importazione pari al 6% del suo valore. Su questo importo si applica la tassa di consumo, che varia in base alla cilindrata: 3% per moto fino a 250 cc, 5% tra 251 e 800 cc, e 10% o più per moto sopra gli 800 cc (con punte fino al 40% per alcuni modelli di lusso).
Infine, sull’intera somma risultante da prezzo, dazio e tassa di consumo si applica la IVA del 13%.
Il risultato è che, per una moto di grossa cilindrata, il costo totale dell'importazione può facilmente aumentare del 25% fino al 60% rispetto al valore originale della moto, a seconda della cilindrata e del segmento di mercato.
Come si intuisce, si tratta di un sistema che rende l’importazione diretta di moto europee particolarmente onerosa, spingendo molte case costruttrici a valutare la produzione o l’assemblaggio direttamente sul mercato cinese per abbattere i costi. Con l'aggravante che, per aprire uno stabilimento in Cina, è necessario spesso stringere joint venture con produttori locali.
COSA SUCCEDE IN EUROPA
Quando una moto viene esportata verso l’Europa, è soggetta a dazi doganali, IVA e, in alcuni casi, a dazi antidumping. Una moto venduta in Italia subisce innanzitutto un dazio all’importazione pari al 6% del suo valore (calcolato sul valore CIF, ovvero costo, assicurazione e trasporto). Questo vale per tutte le moto importate da paesi extra-UE.
Sul valore della moto maggiorato del dazio si applica poi l’IVA, che in Italia è pari al 22%. La percentuale dell’IVA può variare negli altri paesi europei: ad esempio, è al 19% in Germania e al 20% in Francia.
In alcuni casi specifici, l’Unione Europea può imporre anche dazi antidumping, applicati soprattutto ai veicoli elettrici come alcune moto e biciclette provenienti dalla Cina. Attualmente, però, le moto a combustione non sono interessate da questi dazi, ma il rischio per i modelli elettrici rimane e potrebbe aumentare in futuro.
Nel complesso, il meccanismo è piuttosto semplice: al prezzo della moto si aggiunge il dazio del 6%, e sul totale ottenuto si applica l’IVA. Per esempio, una moto dal valore di 5.000 euro, con il dazio e l’IVA applicati, arriva a costare circa 6.466 euro, senza considerare altre spese come l’omologazione o il trasporto interno. Come vediamo, quindi, l'Europa ha un'incidenza fiscale molto meno pesante rispetto ad altri mercati.
E QUINDI? DOVREMMO ALZARE I DAZI ANCHE NOI?
La storia recente dimostra che innalzare i dazi per proteggere l'economia interna o continentale di solito è una mossa controproducente. Chiaramente la scelta di mettere forti dazi alle merci in ingresso ha una valenza più politica che economica. La risposta è chiaramente negativa, anche perché il rischio principale è quello di un ristagno del Pil e del comparto industriale, oltre che dell'innalzamento dei prezzi al cliente finale, che porta come corollario un ristagno dei consumi.
In ottica più generale, però, si nota come nel settore delle due ruote la nuova controparte a cui guardare, più che gli Stati Uniti, siano proprio i giganti orientali. Il cui comportamento è fortemente protezionistico.
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