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Zone 30 e autovelox, la verità che ci fa comodo non sentire

Marco Gentili
di Marco Gentili il 26/01/2024 in Attualità
Zone 30 e autovelox, la verità che ci fa comodo non sentire
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Se si abbassa la velocità diminuiscono oggettivamente i rischi legati a incidentalità e sicurezza. Ma per far rispettare i divieti a noi italiani, l'unico modo è la coercizione e la minaccia di sanzioni

Piccola premessa. Qui non facciamo politica e non cerchiamo polemiche facili. Cerchiamo invece di attenerci ai fatti, che possono essere sgraditi e scomodi. Parliamo di dati e di numeri, di evidenze scientifiche. Per le opinioni scatenatevi pure sui social, ma tutto sommato non ci interessano.

Sulla questione delle città a 30 all’ora, non può esistere polemica o dibattito, quanto una reale presa di coscienza di una situazione. Ossia che, almeno sulla base di ogni evidenza scientifica (che cercheremo di sintetizzare per brevità), rallentare la velocità diminuisce l’incidentalità a agevola i tempi di reazione del conducente. Tanto per dare un’idea, quando si va a 50 all’ora la distanza di reazione rispetto a un ostacolo è di 13,9 metri, cui vanno aggiunti 13,8 per arrestare il veicolo; a 30 all’ora questo tempo si dimezza. In realtà non erano necessari studi accademici, ma bastava il vecchio adagio popolare “chi va piano va sano e va lontano”.

 

BOLOGNA E' SOLO UN PRETESTO 

Partendo da queste evidenze elementari, è necessario ragionare in termini assoluti. Il fatto che una città di dimensioni medio-grandi qual è Bologna introduca il limite dei 30 km/h in ampie zone del centro non può certo stupire: da decenni in Italia vengono attuate le cosiddette “zone 30”. Il primo esperimento in assoluto, a ben vedere, arriva dalla vicina Romagna, per la precisione da Cesena, dove tale limitazione della velocità è stata introdotta nel 1998. E anche realtà più grandi di Bologna hanno zone 30 ben più vaste. Il caso di Milano è eclatante: tutte le aree sensibili della città, a partire dalle aree a traffico limitato passando per le strade scolastiche, sono da tempo soggette a limitazioni della velocità.

A ben vedere, solamente qualche collega a caccia di clic facili e sensazionalismo un tanto al chilo può pensare che si possa “creare polemica” su un fatto pacifico come quello che correla una minore velocità a una maggiore sicurezza. La via delle zone 30 è l’unico modo per rendere ancora più vivibile la strada in quanto spazio pubblico. Lo si fa in tutto il mondo, e in modo ben più massiccio che in Italia (avete presente il caso di Bilbao? Da 4 anni in tutto il centro abitato, più di 300mila abitanti hanno il limite di velocità a 30 all’ora, eppure vivono benissimo).

 

FLEXIMAN E L'ELOGIO (TUTTO ITALIANO) DELLA DELINQUENZA

Dobbiamo quindi ricordare, se ce ne fosse ancora bisogno, che la strada non è un luogo di divertimento (per quello esistono le piste o i circuiti chiusi, a pagamento). La strada è un bene pubblico e comune. E come tale deve essere tutelato. La strada deve essere in primo luogo sicura, per tutti i soggetti che la vivono (a piedi, su due o quattro ruote). E il dovere primario di chi gestisce la cosa pubblica, è renderla tale.

Certo, sappiamo di dire cose impopolari. Del resto viviamo in un Paese dove la (mal)educazione stradale è pane quotidiano. Dove la velocità quando si è alla guida di un mezzo è spesso sublimazione di virilità, quindi di potere. Dove, più in generale, il rispetto delle regole comuni passa sempre in secondo piano quando si tratta di assecondare la propria individualità.

L’Italia, sin dai tempi della dominazione borbonica è il Paese delle regole interpretate a soggetto, il Paese dove lo Stato (quindi l’autorità) è qualcosa da sconfiggere, aggirare, ingannare, fottere. L’Italia è il paese dei furbi, anzi, il Paese di chi è più furbo degli altri. Il Paese dove chi sega un autovelox con un flessibile assurge a celebrità o idolo delle folle, invece di suscitare riprovazione sociale o essere definito nel modo più appropriato, cioè un delinquente. Un po’la stessa roba che avviene con chi evade le tasse.

 

SOLO COI VELOX RISPETTIAMO I LIMITI

Poco importa se alla fine i 30 all’ora, se applicati su larga scala, non danneggerebbero il flusso del traffico (la coda in città viene creata dalla massa dei veicoli in circolazione, non dalla loro velocità di punta). All’italiano medio, si sa, non piacciono le restrizioni. Su questo argomento non c’è orecchio che voglia sentire. Il sentiment comune è sempre lo stesso: in fondo 50 all’ora in città sono già pochi: basta toccare il gas e, con i mezzi di oggi, arrivi tranquillamente a 70. Ed è così che ogni partenza al semaforo diventa immediatamente il via di un Gran premio virtuale che tutti corriamo, alla ricerca di non si sa quale premio finale.

E allora, ben vengano limiti e controlli. Ben vengano gli autovelox. Che tanto, alla fine, l’unica regola che capiamo noi italiani è quella della coercizione. Da soli non ci sappiamo regolare. Già oggi i 50 all’ora sono una velocità da sfigati. Figuriamoci i 30. E allora dai di gas,finché ci va bene e non facciamo un incidente. Tanto la colpa dei morti e dei feriti sulle strade è sempre di qualcun altro.

 

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