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I puristi della moto che odiano le moto cinesi

Marco Gentili
di Marco Gentili il 09/08/2023 in Attualità
I puristi della moto che odiano le moto cinesi
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Una nuova categoria di motociclisti si sta facendo strada: sono quelli che denigrano la moto sulla base della provenienza geografica. E non capiscono che il mondo è irreversibilmente cambiato

C'è una sorta di elitismo tra i motociclisti, oggigiorno. Quella sorta di razzismo che divide in due categorie l'universo delle due ruote. Da una parte i buoni, quelli che hanno moto "di marca", sono motociclisti di lunga data e mettono l'accento su prestazioni e dotazioni del mezzo che guidano. Dall'altra i cattivi, i parvenu della moto. Quelli che l'hanno ripresa dopo molti anni, o semplicemente coloro che l'hanno scoperta in tarda età. I cattivi sono quelli che guardano più alla sostanza che alla forma; si concentrano sul budget, dicono: "Voglio una moto, qualunque essa sia, e ho 7-8mila euro a disposizione". I cattivi vengono visti di malocchio dai buoni perché comprano "moto cinesi", laddove l'aggettivo è usato con disprezzo e diventa sinonimo di produzione di massa e scarsa qualità.

Mi sono reso conto di questo fenomeno leggendo i commenti su Youtube (molti, per fortuna) a corredo della prova che il nostro Roberto Ungaro ha fatto della Benelli TRK 702. Il tenore medio è di questo genere (provo a sintetizzare): "Che schifo, non va, è una cinesata, con mille euro in più mi compro la Honda". Questi sono i buoni, gli ottimati, quelli che vedono come il fumo negli occhi il successo di un marchio la cui unica colpa è quella di non produrre in Italia.

A parte che non capisco questa voglia autarchica di ritorno, ma siamo onesti: oggi qualcuno si sentirebbe di dire che l'iPhone sia una "cinesata"? Eppure, come c'è visibilmente scritto sopra, è "Assembled in China" e "Designed in California". Benelli, allo stesso modo, è fatta in Cina e pensata, disegnata e concepita a Pesaro. Stesso discorso per altri brand dal suono italiano, come Moto Morini.

 

NUMERI E QUALITA': LA RICETTA VINCENTE

I cinesi non fanno moto premium nel senso classico del termine, puntano alla fascia "media" del mercato, vogliono fare numeri. E, piaccia o no, li fanno. Perché soddisfano la domanda di questa grossa fetta di motociclisti - che qualcuno si azzarderebbe a definire "poveri" (in alternativa ai "ricchi", cioè quelli che spendono dai 20mila euro in su per una moto) - ovvero quelli che tirano la carretta del nostro mercato.

Numeri alla mano, nei primi sei mesi dell'anno sono state vendute 89.450 moto. Di queste, ben il 20,6% (pari a 18.510 unità) sono riconducibili ai cosiddetti "non premium players", definizione che ingloba i brand di proprietà cinese o indiana. DI questi, fanno la parte del leone Benelli (6,8% di quota di mercato), Royal Enfield (5,37%), Voge (2,3%), Moto Morini (2,17%), CFMoto (2%) e Zontes (0,83%). Ben un mezzo immatricolato su 5: davvero tanti, non c'è che dire. 

 

LA MOTO DI OGGI? DEVE ESSERE FACILE DA USARE (E MAGARI LOW COST)

E poi, sempre detto tra di noi: ma siamo sicuri che oggi il motociclista debba avere sotto al sedere una moto "che va"? Forse il motociclista italiano medio di oggi (che è stato ben riassunto dal numero uno di KTM Italia in questa intervista: molto meno specializzato di un tempo e con limitata capacità di spesa) non ha bisogno di una moto "che faccia il suo dovere"? Evidentemente sì. E il successo di questi marchi - la cui funzione, ricordiamo, è quello di ampliare il bacino dell'utenza motociclistica, e non di erodere quote ai blasonati big del settore - lo dimostra.

I "buoni" se ne facciano una ragione.

 

I puristi della moto che odiano le moto cinesi
I puristi della moto che odiano le moto cinesi
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