Moto & Scooter
Frascoli: "Con la Trident vogliamo emozionare"
Il designer della nuova naked inglese (che abbiamo appena provato) racconta le origini del progetto, le sue intenzioni e ci spiega il messaggio che Triumph vuole mandare con questa moto
Leggi la prova della nuova Triumph Trident!
Rodolfo Frascoli disegna moto praticamente da sempre. Ha iniziato durante le scuole superiori, è entrato nella “bottega” di Luciano Marabese appena dopo il diploma e ha fatto tutta la trafila fino ad aprire il suo studio Frascoli Design nel 2010 e firmare alcune delle moto più belle e importanti degli ultimi anni.
Non è una primadonna ma un solido professionista che ha lavorato un po’ per tutti: da Aprilia a Triumph, da Bajaj a Suzuki e da Moto Guzzi a Triumph, per la quale ha fatto moltissimo negli ultimi anni diventando di fatto un punto di riferimento della “triumphness”. Tanto è vero che proprio a lui è stato affidato fin dall’inizio il progetto Trident, una moto importantissima per l’azienda di Hinkley.
“Il brief mi è arrivato a fine 2016, un progetto eccitante perché si trattava di un modello nuovo. Triumph aveva già le idee molto chiare: il nome sarebbe stato Trident, sarebbe stato il modello di ingresso nel mondo Triumph e doveva essere una roadster, quindi una naked sportiveggiante ma più per il carattere che non per l’impostazione. In più, ci doveva essere qualche citazione delle Trident del passato. Una volta definito il motore, una versione del triple ‘small block’, i confini alla creatività erano praticamente assenti. Potevo andare a pescare elementi sia nell’epoca ‘storica’ di Triumph che in quella più recente della gestione Bloor”.
Un foglio bianco, insomma. Che è sempre uno stimolo ma anche una difficoltà.
“Sì, ho esplorato tanto perché era importante azzeccare il messaggio che questa moto vuole mandare. Non è una modern classic ma una moto contemporanea: per cui non ha i cerchi a raggi, per esempio, anche se persino qualche nostro concessionario li avrebbe voluti. Ho esplorato tanto specie nell’area del telaio, dello scarico, della fanaleria; il serbatoio con gli svasi invece è uscito subito, ma poi c’è stato tanto lavoro per ripulire tutto, per tirare fuori emozione dalla semplicità, senza cadere nell’eccesso di design".
“Sì, ho esplorato tanto perché era importante azzeccare il messaggio che questa moto vuole mandare. Non è una modern classic ma una moto contemporanea: per cui non ha i cerchi a raggi, per esempio, anche se persino qualche nostro concessionario li avrebbe voluti. Ho esplorato tanto specie nell’area del telaio, dello scarico, della fanaleria; il serbatoio con gli svasi invece è uscito subito, ma poi c’è stato tanto lavoro per ripulire tutto, per tirare fuori emozione dalla semplicità, senza cadere nell’eccesso di design".
Serviva una moto che si presentasse da sola, senza bisogno di essere spiegata. Pensi di esserci riuscito?
“Sì, ma dovete dirmelo voi! (ride). La Trident ha indubbiamente una attitudine positiva, disimpegnata. Ma doveva comunicare anche altro, per esempio la sua appartenenza a un marchio premium: e la ritrovi nelle superfici curatissime, nei raccordi, negli impercettibili richiami al passato come il doppio solco ai lati del serbatoio, che c’era sulla Trident del 1968”. Dal vivo la moto appare più importante che in foto, ha una presenza maggiore.
“Sì, l’abitabilità era un elemento chiave per noi. Sembra più piccola perché se la guardi di fianco è racchiusa in un ovale perfetto. Per questo ha il portatarga a filo ruota, che pure è più costoso e complesso di quello classico: volevamo conservare la pulizia di questa forma. Un altro piccolo miracolo è stato mantenere lo scarico basso con la Euro5, ma lo abbiamo voluto fortemente perché un classico terminale laterale avrebbe rovinato tutto. Io credo che una moto sia bella se tutto fila, tutto si richiama: ci sono sempre linee che devono essere parallele anche se non lo noti subito, devi sempre cercare di eliminare tutto quello che è superfluo”. Immagino che non sia stato facile evitare confusioni con la Street Triple.
“No, ed era un’altra chiave del progetto. Questa non è una Street povera ma un’altra moto. Nel 1990 la prima Speed Triple cannibalizzò la Trident perché i due messaggi non erano chiaramente distinti, questa volta non accadrà. Sono due naked a tre cilindri, è vero, ma la Street è aggressiva e radicale, la Trident più conciliante e sensuale. Ha volutamente un telaio molto diverso, ha volutamente il fanale singolo, ha volutamente delle superfici molto diverse. È impossibile fare confusione”.
“Sì, ma dovete dirmelo voi! (ride). La Trident ha indubbiamente una attitudine positiva, disimpegnata. Ma doveva comunicare anche altro, per esempio la sua appartenenza a un marchio premium: e la ritrovi nelle superfici curatissime, nei raccordi, negli impercettibili richiami al passato come il doppio solco ai lati del serbatoio, che c’era sulla Trident del 1968”. Dal vivo la moto appare più importante che in foto, ha una presenza maggiore.
“Sì, l’abitabilità era un elemento chiave per noi. Sembra più piccola perché se la guardi di fianco è racchiusa in un ovale perfetto. Per questo ha il portatarga a filo ruota, che pure è più costoso e complesso di quello classico: volevamo conservare la pulizia di questa forma. Un altro piccolo miracolo è stato mantenere lo scarico basso con la Euro5, ma lo abbiamo voluto fortemente perché un classico terminale laterale avrebbe rovinato tutto. Io credo che una moto sia bella se tutto fila, tutto si richiama: ci sono sempre linee che devono essere parallele anche se non lo noti subito, devi sempre cercare di eliminare tutto quello che è superfluo”. Immagino che non sia stato facile evitare confusioni con la Street Triple.
“No, ed era un’altra chiave del progetto. Questa non è una Street povera ma un’altra moto. Nel 1990 la prima Speed Triple cannibalizzò la Trident perché i due messaggi non erano chiaramente distinti, questa volta non accadrà. Sono due naked a tre cilindri, è vero, ma la Street è aggressiva e radicale, la Trident più conciliante e sensuale. Ha volutamente un telaio molto diverso, ha volutamente il fanale singolo, ha volutamente delle superfici molto diverse. È impossibile fare confusione”.
Andrea Buzzoni: "Nella Trident crediamo tanto, e vi spiego perché”
È una moto per una fascia di utenza molto ampia e trasversale: dai giovani ai motociclisti di ritorno, dalle donne agli amanti dello stile classico. Pensi che avresti saputo disegnarla 20 anni fa?
“È una bella domanda, ma forse no. Ha richiesto una maturità anche del design, e per maturare la visione che ho ora ho dovuto attraversare molte epoche storiche e fasi diverse della vita. È più facile fare qualcosa molto di rottura o con molto contenuto di innovazione, mentre quando vuoi emozionare, la cosa si fa più sottile… e con la Trident volevamo emozionare tante persone, lasciandola immediatamente comprensibile anche a quella maggioranza di persone che non ne riconoscerà i richiami al passato”.