Attualità
Il FUTURO del casco? Airoh lo vede così
Da zero alla galleria del vento in 20 anni: come è cambiato e come cambierà il mondo dei caschi secondo Antonio Locatelli, il patron di Airoh
È un giocattolo costoso, una galleria del vento. Ce ne sono poche in giro, ancora meno in mano a chi fa caschi; e Antonio Locatelli si è regalato una delle pochissime costruite apposta per loro.
Inaugurata un anno fa all’interno dello stabilimento Airoh di Almenno San Bartolomeo (BG), è solo l’ultimo degli strumenti che Locatelli ha fornito ai propri sviluppatori per restare ai vertici del settore. Un casco nasce ancora da un modello fisico che ne definisce lo stile, poi la forma complessiva viene acquisita da uno scanner ottico e da lì si generano le ‘matematiche’ dei singoli pezzi, in un processo che richiede mesi (circa 20 dalla prima idea all'immissione sul mercato) e che ora si è arricchito di questa galleria dedicata ai caschi, capace di generare venti fino a 210 km/h e di misurare portanza e resistenza aerodinamica, ma anche la stabilità del casco, l’efficacia del suo sistema di ventilazione e la sua capacità di insonorizzazione.
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"La galleria del vento è stata un investimento molto alto, ma la useremo per tutta la gamma, dai caschi per la SBK fino a quelli da bici e da equitazione"
Parola d'ordine: Innovazione
È significativo che l’unica galleria del vento per caschi in Italia ce l’abbia Airoh, che non è il più grande né il più antico produttore di caschi italiano. Anzi è uno dei più giovani e piccoli, con i suoi poco più di 20 anni di attività e 300.000 caschi l’anno; ma ha saputo costruirsi una solida reputazione e posizionarsi come prodotto premium, in un settore dove la concorrenza non è certo morbida (scusate il gioco di parole). La sua storia relativamente breve inizia con un ragazzo appassionato di rally che a inizio anni Ottanta smontava gli interni dei caschi di allora per farci stare i primi interfoni.
Nel 1986, sfruttando l’arrivo dell’obbligatorietà del casco, Antonio Locatelli inizia a proporsi come terzista alle aziende del settore; pezzo pezzo riceve sempre più commesse, finché nel 1997 arriva a fare tutto il casco e decide di mettersi in proprio col marchio Airoh, ovvero ‘Antonio Innovative Range Of Helmets’: la gamma innovativa di caschi di Antonio. Un nome dove c’è già tutto: la personalità del fondatore, la sua ambizione e la strada per inseguirla, ovvero l’innovazione.
Come eravamo
Airoh ha da subito un successo addirittura insperato, crescendo a doppia cifra per oltre 10 anni, fino alla crisi del 2009. Poi si assesta, riuscendo comunque a mantenere il suo status di riferimento soprattutto in campo off-road, dove nel frattempo si è imposta arrivando a mettere nella propria scuderia tutti i campioni più forti, a partire da Tony Cairoli.
"Airoh rimarrà sempre fedele alle sue linee aggressive e affilate. Il nostro R&D lavora 10 ore al giorno per mantenere i nostri caschi leggeri e compatti anche con le nuove normative"
Antonio, la galleria del vento migliorerà moltissimo i vostri caschi racing… che però si rivolgono al mondo ormai in estinzione delle supersportive.
“La galleria è stata un investimento molto alto, ma la useremo per tutta la gamma, dai caschi per la SBK fino a quelli da bici e da equitazione. È utilissima per la parte acustica e per la parte termica, e alla lunga sono convinto che sarà un investimento che si ripaga. Già il fatto di averla in casa ha snellito enormemente le nostre procedure: prima andavamo alla galleria Newton di Rho, che è frequentata da tante aziende non solo di caschi. Andavamo a fare una prova, tornavamo a casa, modificavamo un particolare e poi dovevamo magari aspettare un mese per avere una nuova data libera della galleria. A parte il costo vivo della struttura, avevamo dei tempi morti che sono stati completamente azzerati”.
Com’è fare caschi in Italia oggi rispetto a 20 o 30 anni fa?
“È un po’ più difficile, hanno chiuso molti nostri partner di allora ed è difficile trovare aziende che facciano cose con il rigore che vogliamo noi. È anche vero che allora i prodotti erano diversi, ci si accontentava un po’ di più. Oggi si va sempre alla ricerca di qualcosa di più, Airoh in particolare punta all’eccellenza e non è mai contenta, a ogni passo avanti vogliamo farne mezzo in più. Quando arrivi a un risultato soddisfacente molte aziende cercano di cristallizzarlo per capitalizzare sul lavoro e sull’investimento fatto, è anche una posizione comprensibile ma noi cerchiamo sempre di rompere gli equilibri. Spesso da un mese all’altro cambiano i contenuti dei nostri caschi senza che nemmeno lo comunichiamo, e il cliente si trova con un prodotto dai contenuti superiori allo stesso prezzo. Questo è un DNA aziendale che viene dal mio modo di essere, è come se io aggredissi qualcosa che non c’è, per ottenerlo. E la difficoltà di oggi è fare un prodotto sempre avanti con aziende partner che non si sono sempre portate al nostro stesso livello di evoluzione”.
Come mai è successo questo?
"Con la crisi del 2008-2009 si sono ridotti i volumi di vendita per tutti. Molte aziende si sono portate in casa il lavoro che prima affidavano all’esterno, e i terzisti hanno sofferto il calo delle commesse. Noi all’epoca abbiamo scelto di sostenere le aziende nostre partner, continuando a fornire lavoro. Naturalmente non potevamo più riempirle di lavoro come prima, ma abbiamo cercato di preservarle. Quello era il momento per loro di fermarsi un momento a riflettere, impegnarsi per andare avanti su un percorso di ricerca e sviluppo che permettesse loro di ripartire. Invece molte non lo hanno fatto, hanno preferito chiudere”.
Quindi oggi quanto c’è di italiano in un casco Airoh per valore?
“Comunque tanto: almeno l’85%”.
Un casco si compone di oltre 100 elementi. La qualità si fa investendo pensiero e risorse per evolvere ciascuno di questi, dalla calotta alle guarnizioni
L’arrivo della nuova normativa EC06 sembra dover portare a caschi un po’ più grandi e pesanti, rendendo più difficile mantenere la compattezza che ha sempre caratterizzato Airoh.
“Sì, la norma arriva dalla FIM e sembra dover richiedere più polistirolo. Stiamo già lavorando alla ricerca di materiali più pregiati che ci consentano di mantenere il peso e la compattezza attuali rispettando i nuovi requisiti. Per fortuna un casco Airoh può permetterselo. La galleria, i piloti della nostra scuderia, tutto quello che investiamo in innovazione hanno un costo, ma il mercato ce lo riconosce. Sul nostro Aviator 2.3 da Cross abbiamo un tessuto interno che abbiamo deliberato dopo averlo testato facendo sci di fondo in notturna, per mettere insieme sudorazione e freddo estremo: costa quattro volte gli altri tessuti, ma non esiste niente di meglio. Ecco, Airoh è questo”.
Altri brand stanno proponendo caschi più ‘a scatola’, più grossi e squadrati, che sarà più facile conciliare con la EC06.
“Sì ma Airoh rimarrà sempre fedele alle sue linee aggressive e affilate. Anni fa ho provato a cambiare strada, ma non ero soddisfatto dei risultati e ho capito che dobbiamo rimanere fedeli alla nostra strada, anche perché l’80% dei nostri clienti ama le nostre linee attuali”.
A parte mantenere compattezza e leggerezza, su cosa state lavorando?
“Il nostro R&D lavora 10 ore al giorno, c’è tanta carne al fuoco in termini di materiali e brevetti, come l’AMS2 che ha ridotto gli impatti rotazionali. I due grandi fronti sono il miglioramento delle prestazioni in termini di sicurezza e l’integrazione dell’elettronica, anche con tecnologie aeronautiche per evitare le distrazioni”.
La nuova normativa EC06 prevede una misura della capacità di assorbimento degli impatti rotazionali. Il brevetto AMS2 (2018) va già in questa direzione
Basta oggi l’innovazione per emergere? Il mondo non ha mai visto una tale velocità di cambiamento, ma ci sono anche forti spinte verso la riduzione di prezzo che rendono tutto pazzescamente difficile.
“Se parliamo di auto, o anche di moto, si trovano sul mercato prodotti per tutti e prodotti quasi inavvicinabili. Le scelte individuali dipendono dalla cultura e dalle possibilità economiche. Airoh ha nel nome la voglia di innovare, e noi continuiamo a farlo: nelle linee, nella tecnologia, nei materiali. Vogliamo restare di gamma medio-alta, più alta che media, e crediamo che il cliente di alta gamma ci sarà sempre. Ogni tanto quando sono a Milano vado a vedere i negozi del cosiddetto quadrilatero, e fuori da Chanel c’è sempre la fila anche se i suoi capi costano migliaia di euro; come pure la produzione 2020 di Porsche è praticamente già tutta venduta”.
Questo mette dei limiti a quanto potete crescere?
“No, anzi. Secondo me il tempo ci darà ragione, anche perché porteremo la nostra filosofia in altri settori e questo potrà portarci a incrementi importanti di fatturato. L’alto di gamma è sempre premiante, e per me non è neppure una nicchia”.
Con i suoi circa 300.000 caschi l'anno, Airoh è un produttore relativamente piccolo. Ma per tecnologie e attrezzature è all'avanguardia a livello internazionale
Parla di entrare in altri settori ma Airoh sembra un po’ in ritardo rispetto ad altre aziende che stanno estendendo la loro offerta fino a coprire tutti i settori, prima in campo stradale e ultimamente anche nell’off-road. Non teme che restare concentrati sui caschi vi metta in una posizione di svantaggio?
“Sicuramente oggi siamo penalizzati rispetto a certi nostri competitor molto aggressivi, anche se le aziende giapponesi restano ad esempio concentrate solo sul casco. E comunque chi oggi è entrato nel mondo dei caschi da altri settori continua a non realizzare caschi in proprio, li fa fare da altri: invece io sono un produttore, so quello che c’è dietro a ogni prodotto che vendo. Per questo al momento vendo solo caschi. Airoh non può accontentarsi di commissionare un completo da motocross o una giacca in pelle alla prima azienda che si propone, senza sapere che tessuti usa, che composizioni fa, che colori utilizza. A breve possiamo pensare alla maschera da motocross, sull’abbigliamento stiamo ragionando mentre escluderei la possibilità di entrare nel settore calzaturiero, che è troppo complesso”.
Chi ha un’offerta ‘capo-piedi’ ha anche una forte leva nel mondo delle sponsorizzazioni: oggi avete quasi tutti i migliori crossisti del mondo, ma domani?
“Qualche pilota lo abbiamo perso, anche a seguito di offerte del tutto fuori mercato fatte da qualche concorrente. Sono politiche di corto respiro, pagare quelle cifre significa chiudere la stagione senza far tornare i conti. Sono due politiche diverse, noi al momento preferiamo mantenere la nostra identità, e personalmente voglio anche lasciare alle mie figlie Angela e Martina un’azienda magari più piccola, ma sana. E comunque nostri i top rider sono rimasti con noi”.
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