Attualità
Guardrail salvamotociclisti: perché è difficile installarli?
Un decreto difficile da applicare. La burocrazia che frena chi vuole installarli. Una norma per testarli che andrebbe aggiornata. Ecco perché i dispositivi salvamotociclisti restano un’utopia in Italia
I guardrail salvamotociclisti sono un po’ come il Gioco dell’Oca: si ha sempre la sensazione di essere a un passo dalla vittoria, eppure non si arriva mai precisamente sulla casella giusta. In Italia c’eravamo quasi, e col decreto dello scorso 1 aprile (il giorno del pesce di burlesca memoria, ironia della sorte) abbiamo avuto, almeno per un attimo, la sensazione di aver risolto un annoso problema, ovvero quello della mancanza di una norma che disciplinasse l’installazione dei dispositivi salvamotociclisti (che per brevità, d’ora in poi, chiameremo DSM), ovvero le bandelle applicate nella parte inferiore della barriera che permettono, ai motociclisti vittime di incidenti, di impattare contro il guardrail senza subire danni gravi dall’eventuale impatto con gli elementi verticali della struttura.
I LIMITI
Una sensazione che svanisce giorno dopo giorno, analizzando nel dettaglio le pieghe di un decreto a dir poco timoroso. Innanzitutto perché si può applicare solo alle strade di nuova costruzione (oppure a quelle oggetto di riqualificazione). E, come sappiamo bene, il piano degli investimenti sulle strade secondarie - ovvero quelle dove avviene il maggior numero di incidenti che hanno come vittime i motociclisti - è fermo al palo, demandato alle scarse risorse in possesso di Province e Regioni. Inoltre il decreto non si applica nemmeno a tutte le strade, ma principalmente a quelle di cui al decreto ministeriale 223 del 5 novembre 2001, ossia quelle “con velocità di progetto superiore o uguale a 70 km/h” con curve con raggio minore di 250 metri.
con l'attuale decreto si possono installare dispositivi salvamotociclisti su appena l'1,7% della rete stradale
In maggioranza, quindi, sono interessate le statali a doppia corsia. Altro punto dove il decreto trova applicazione sono le curve circolari (con un raggio minore di 250 metri) e le intersezioni dove si sono verificati nel triennio cinque incidenti con morti o feriti e che abbia visto il coinvolgimento di un motoveicolo. Altra fattispecie che si verifica difficilmente, come evidenzia Mariano Pernetti, dell’Università della Campania-Luigi Vanvitelli: dalla sua analisi svolta in provincia di Napoli e basata sulla geolocalizzazione, tale condizione ricorre solo su 16 “hotspot”, pari a 108 incidenti evitati su un totale di 6.180 (l’1,7% del totale).
UN NUOVO DISPOSITIVO
È proprio nei casi di interventi sulle infrastrutture già esistenti che la faccenda si fa complicata. L’applicazione di un DSM a una barriera di sicurezza, infatti, costituisce una “modifica di tipo C” del prodotto, ossia una modifica strutturale che mette in discussione l’intero funzionamento del guardrail. Il problema è che, per mettere in sicurezza i motociclisti, si rischia di creare nuovi guardrail che, in caso di impatto, causano il ribaltamento di auto o camion; in alternativa, questa nuova struttura può diventare una rampa di lancio per le automobili. Il risultato è che i guardrail composti da una struttura base cui viene aggiunto un DSM devono essere nuovamente sottoposti a crash test non solo per i motociclisti, ma anche per auto e veicoli pesanti. Un aggravio di costi notevole (considerando che un’intera prova del genere costa al costruttore dai 75mila ai 100mila euro) e che scoraggia sul nascere un mercato di nicchia come quello in cui si muovono i produttori di DSM.
TANTE DIFFICOLTÀ
Sui guardrail già installati, il decreto firmato dall’ex ministro Danilo Toninelli prevede tre fattispecie. Su quelli messi prima del Decreto Ministeriale del 1992 i DSM possono essere installati senza ulteriori verifiche. I problemi iniziano ad emergere con i guardrail installati nel periodo 1992-2011, ovvero prima dell’entrata in vigore dell’obbligo della marcatura CE.
Su questi guardrail infatti i DSM possono essere applicati senza ulteriori verifiche a patto che sussistano alcune condizioni tecniche ben precise. Ma in caso contrario - e ciò avviene nella grandissima parte dei casi - l’intera struttura (ovvero guardrail più DSM) deve essere sottoposta nuovamente alla prova di impatto. Stessa questione anche per i guardrail successivi al 2011, quelli con marcatura CE: i DSM possono essere applicati senza ulteriori verifiche se un organismo notificato esprime una valutazione positiva su tale barriera. Ma anche in questo caso non è così scontato.
In primo luogo perché sono pochissimi i dirigenti delle società che gestiscono strade i quali hanno il coraggio di firmare l’ok all’installazione di certe strutture assumendosi la responsabilità penale di eventuali sinistri successivi. In secondo luogo, molte delle aziende che negli Anni 90 erano leader di settore e hanno posato migliaia di chilometri di protezioni ormai sono fallite (l’esempio tipico è quello della Metalmeccanica Fracasso). In questo caso, come farebbe quest’azienda a fare le prove di crash sui suoi prodotti, visto che non esiste più? Inoltre, fatto non banale, il decreto ministeriale di per sé non è uno strumento così potente. Il tutto per merito della dicitura “salvo coperture finanziarie”. Se anche una curva o un’intersezione avessero le caratteristiche per l’installazione di un DSM, ma non ci sono i soldi, l’intervento non si fa, e il gestore della strada può solo programmare l’intervento. Insomma, lo si mette in cantiere in attesa di tempi più floridi.
i test di omologazione non considerano gli impatti in cui un motociclista scivola lateralmente verso la barriera rimanendo in sella alla propria moto, o in cui il motociclista vi impatta frontalmente
UN TEST DATATO
Ma come vengono testati i guardrail salvamotociclisti? Una domanda che apre un autentico baratro. Il test attualmente in vigore infatti non è un “European Standard”, cioè normativa armonizzata a livello europeo, ma una semplice “Technical Specification”. Insomma, l’Unione europea dice: se volete testare i guardrail salvamotociclisti queste sono le regole, ma non hanno valore vincolante, perché sono le norme dei singoli stati nazionali a disciplinare la loro applicazione. Un vulnus che ha precise ragioni storiche: alcuni paesi europei negli anni scorsi non si sono voluti far imporre uno standard unico per non penalizzare le proprie industrie nazionali produttrici di guardrail, mentre altri non hanno ritenuto la questione dei guardrail così rilevante da meritare uno standard comunitario.
Tornando al test, attualmente viene usata la TS 17342, norma che ha le sue origini nel lontano 2008; fino allo scorso anno si chiamava 1317-8, poi è stata aggiornata (ma solo a livello formale). Si tratta di un test che simula l’impatto di un motociclista che scivola di testa verso il guardrail con un’angolazione di 30 gradi. Il manichino, dotato di sensori biometrici, viene fatto impattare in due distinti punti del guardrail alle velocità di 60 e 70 km/h, per un totale di quattro prove. Vengono incrociati i dati catturati dai sensori che misurano l’HIC (Head Injury Criterion, un indice che valuta la severità dell’impatto su testa e collo) e viene considerata anche la dinamica dell’impatto del manichino, che non deve rimanere incastrato sotto al DSM. I parametri così incrociati stabiliscono il buono (o il cattivo) esito della prova.
Eppure l’attuale test ha un peccato originale. Nasce infatti dalla pionieristica normativa francese del 1998 (in cui, nota di cronaca, c’era anche lo zampino del Politecnico di Milano, da sempre all’avanguardia su questo fronte) che, sulla base di rilevanze statistiche, aveva calcolato come la maggior parte di impatti motociclista-guardrail avvenisse in questa configurazione di scivolamento del corpo contro l’ostacolo. Ma c’è chi evidenzia, come Martin Page (membro del WG1, il gruppo internazionale di standardizzazione), che nella TS 17342 non vengono considerati tipi di impatto contro il guardrail altrettanto frequenti (secondo le ultime ricerche condotte negli Stati Uniti, la metà del totale), come la fattispecie di un motociclista che scivola lateralmente verso la barriera rimanendo in sella alla propria moto, o ancora il motociclista che vi impatta frontalmente.
i manichini usati per i test sui motocicli sono gli stessi usati nel mondo dell'auto: la loro fedeltà è bassissima
ALLARME MANICHINI
E non bisogna sottovalutare l’allarme - se così lo possiamo chiamare - lanciato da Marco Anghileri del Politecnico di Milano. Il docente, nel corso di un convegno sul tema che si è tenuto nella sede di Aisico a Pereto, in provincia de L’Aquila, ha presentato una ricerca evidenziando tutti i limiti di biofedeltà dei manichini di tipo Hybrid III: “Si tratta di manichini pensati per il mondo dell’auto, che nelle risultanze post impatto sono fedeli in senso frontale, mentre sulle sollecitazioni laterali, che sono il cuore dei nostri test, non lo sono”. Scartata la possibilità di realizzare un manichino ad hoc (ne esiste uno e si chiama Thor, ma costa quasi un milione di euro), Anghileri ha dimostrato come, utilizzando il manichino a modellazione virtuale THums sviluppato da Toyota, si ottengono risultati fedelissimi rispetto al comportamento del corpo umano. Ma i crash test dei guardrail vanno fatti sul campo, per cui un manichino virtuale è poco utilizzabile. La soluzione potrebbe essere modificare le prove o adattare gli indici di HIC rilevati col manichino tradizionale per renderli più fedeli al comportamento del motociclista in carne e ossa.
Il costo sociale di un motociclista che impatta contro un guardrail (comprensivo di spese, degenza, eccetera) è di 330mila euro, mentre con un DSM installato tale importo si riduce a 50mila euro, 280mila in meno
SERVE DAVVERO?
In assenza di statistiche vere che certificano i guardrail come cause di lesioni o morte tra i motociclisti (e questo perché i formulari delle forze dell’ordine che intervengono sui luoghi di incidente sono difformi e non prevedono il guardrail come opzione), si stima che il 6% dei decessi sia attribuibile a questo tipo di impatti. Se ci si limitasse alle statistiche, non varrebbe la pena investire in dispositivi di protezione di questo tipo, pensando che da soli possano risolvere il problema dell’incidentalità. Eppure sappiamo anche che, per quanto pochi, gli impatti contro i guardrail sono sempre letali o invalidanti. Ma installare i DSM, oltre a salvare vite e destini di tutti noi, serve anche a far risparmiare la sanità pubblica. Il costo sociale di un motociclista che impatta contro un guardrail (comprensivo di spese, degenza, eccetera) è di 330mila euro, mentre con un DSM installato tale importo si riduce di 280mila euro.
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