Attualità
Sulle tracce dei falsi che uccidono la moto
Il business di pezzi e accessori contraffatti danneggia per 100 milioni all’ anno le imprese italiane. Un viaggio che parte dall’Asia e si snoda anche attraverso le piattaforme di vendita online
Il Made in Italy piace tantissimo, anche - e soprattutto - nel mondo delle moto. Il motivo è semplice: le nostre aziende sono all’avanguardia nel design, nella ricerca e sviluppo, nella qualità. Offrono prodotti amati in tutto il mondo, resi visibili e rilanciati mediaticamente dalla vetrina del Motomondiale (dove moltissime delle aziende tricolori sono fornitori ufficiali dei vari team). A tal punto che ce li copiano senza ritegno. Già, perché l’industria del falso rappresenta una vera e propria piaga per le nostre aziende dell’accessorio e della componentistica.
Un danno difficilmente calcolabile che Dueruote stima attorno ai 100 milioni di euro all’anno, tra mancati guadagni (la vendita di un falso arricchisce il falsario, non certo l’azienda che è titolare del prodotto), risorse investite per combattere le falsificazioni e che potrebbero essere destinate altrove (in ricerca e sviluppo o in nuove assunzioni, ad esempio), danni di immagine e violazione del diritto d’autore. Contro la piaga della contraffazione è difficile riuscire a fare qualcosa di concreto. Anche per colpa del web.
IL BAZAR ONLINE
Sulle principali piattaforme di e-commerce è praticamente impossibile non imbattersi in componenti per moto taroccati. Fate una prova anche voi e inserite su un qualunque motore di ricerca la parola “knalpot”, che in indonesiano significa “scarico”. Sotto ai vostri occhi si schiuderà un autentico mondo di falsi, nella quasi totalità spacciati per SC-Project autentici. Tutti prodotti realizzati nel sudest asiatico, la nuova mecca per il mercato motociclistico. Stiamo parlando di Paesi (su tutti Indonesia, Thailandia, Vietnam) dove ogni anno si vendono milioni di mezzi a due ruote (5,8 in Indonesia, 3,2 in Vietnam). E dove l’industria del falso prospera: da qui i prodotti contraffatti si diffondono a macchia d’olio sia sui mercati locali, sia in Europa, dove arrivano grazie al web: i siti di e-commerce rappresentano la vetrina virtuale per eccellenza per i motociclisti in cerca di risparmio. Da questi Paesi la merce si imbarca su nave per attraccare nel punto più vulnerabile del vecchio continente, rappresentato dalla frontiera della Turchia.
La merce viaggia in pacchi di piccole dimensioni, con codici doganali spesso falsi per non dare nell’occhio e che i doganieri fanno fatica a distinguere, fondamentalmente per la loro scarsa preparazione in materia. Da questo Paese, la merce riparte senza dare troppo nell’occhio alla volta dei grandi mercati europei delle due ruote (Italia, Francia, Germania e Spagna su tutti).
IL FALSO FATTO BENE
Online si trovano i falsi dozzinali e palesi, che si riconoscono dal prezzo infinitamente più basso rispetto a quello degli originali. E anche i falsi verosimili, quelli che solamente un occhio esperto riesce a riconoscere, ma che possono ingannare chiunque, in virtù anche di un prezzo non troppo inferiore rispetto all’originale. “Per risparmiare molti motociclisti acquistano degli scarichi falsi sulle varie piattaforme di e-commerce ingannati da una qualità apparentemente buona e da un prezzo scontato ma non di troppo, magari del 30-40% in meno”, dicono Stefano Lavazza e Marco De Rossi, titolari di SC-Project. “Ogni settimana riceviamo almeno 20 e-mail di clienti che ci chiedono di verificare se lo scarico che hanno trovato in vendita online è originale, e non passa giorno che un nostro dipendente non ne scovi decine sui vari portali”, affermano i due.
La prima e più immediata arma a disposizione delle aziende è quella della diffida legale. I grossi operatori dell’e-commerce, da Amazon a eBay passando per Alibaba e Aliexpress, sono diventati rapidi nel rimuovere gli annunci dei falsi. D’altro canto, i professionisti del falso viaggiano su binari paralleli a velocità infinitamente superiori. Nel caso di SC-Project, alcuni produttori si sono specializzati nella falsificazione degli adesivi, che poi vengono applicati su scarichi identici agli originali nelle forme, ma senza marchio. Ma al di là della questione squisitamente legale, i produttori italiani hanno anche problemi sul fronte della sicurezza e della reputazione del marchio: “Noi spendiamo fior di milioni per assicurare i nostri prodotti originali presso i Lloyd’s di Londra. Ma a un motociclista che ha acquistato un prodotto falso e quindi di scarsa qualità può accadere, ed è già successo, che si sganci lo scarico e che questo vada a colpire il veicolo che gli sta dietro. Chi paga i danni, materiali e fisici? In causa veniamo chiamati noi, perché su quel terminale, sebbene falso, c’è il nostro marchio. Tocca a noi scagionarci e dimostrare di non aver prodotto quello scarico”, concludono.
GLI INVESTIGATORI
Il tema della contraffazione è particolarmente sentito in Brembo, che tra le aziende italiane è senza dubbio la più colpita dal fenomeno dei falsi. Ogni anno l’azienda presieduta da Alberto Bombassei perde 3 milioni di euro in mancati guadagni da pinze e pompe freno contraffatte. “I nostri distributori possono applicare una certa scontistica al cliente finale. E spesso è questo ciò che inganna il cliente che naviga online alla ricerca dell’affare” dice Paolo Rezzaghi, a capo dell’ufficio di Brembo che si occupa di proprietà intellettuale. “Noi siamo attivi dal 2016 nella caccia al falso. Grazie a società specializzate, abbiamo intercettato fino a oggi 59.900 inserzioni di merce contraffatta”, prosegue. Annunci pescati non solo sui big del settore, ma anche su portali dal nome esotico e poco noti in Italia, come Weidian, Taobao, HC360, Ruten o Bukalapak. Oltre all’attività svolta online, l’azienda bergamasca svolge un’intensa azione sul campo: “Lavoriamo anche sul posto, soprattutto in Cina, con un pool di investigatori privati che ci aiutano a scoprire i negozi e i magazzini dove vengono venduti oppure prodotti i falsi di Brembo. Un’attività che ci costa ogni anno 400mila euro”, dice Rezzaghi. Che si confessa preoccupato per la nuova frontiera dei falsari, ossia i marketplace: “Sui negozi di Facebook o della cinese Wechat avvengono transazioni tra privati che sono davvero difficili da controllare, senza violare la riservatezza dell’utente”.
Anche per Brembo - come nel caso di SC-Project - la circolazione di articoli fasulli comporta evidenti problemi al cliente sul fronte della sicurezza: “Non so con che coraggio qualcuno può anche solo immaginare di montare sulla propria moto una pompa freno non originale. Il rischio è quello, nemmeno troppo remoto, di schiantarsi contro a un muro”, ammette Rezzaghi.
FENOMENO GLOBALE
In alcuni casi la raffinatezza dei falsari è tale che, oltre a copiare in modo egregio il componente dei produttori italiani, ne imitano alla perfezione anche il packaging. È questo il caso di Rizoma. “Manopole, terminali per manubrio e specchietti sono i nostri accessori più copiati” dice Matteo Sorini, product manager dell’azienda varesina. Che è molto infastidito “sia dalle imitazioni, ma soprattutto da accessori anonimi che riportano indebitamente il nostro logo. Il problema è che i tempi di un ufficio legale sono infinitamente superiori rispetto a quelli di un falsario, che fa in tempo a chiudere bottega in un marketplace e a riaprirla con un altro nome, da un’altra parte. Per noi - conclude - è sempre fonte di dispiacere dover rispondere ai nostri clienti in cerca di ricambi e convinti di aver acquistato nostri accessori, a cui non possiamo assisterli, perché hanno tra le mani un falso”. Anche in questo caso, un falso pericoloso: tra le imitazioni dei propri prodotti infatti, l’azienda varesina ha rintracciato una vaschetta portaliquido freni realizzata con una plastica dozzinale. “Il risultato è che il liquido dei freni, molto corrosivo, buca la vaschetta e fuoriesce, mettendo a repentaglio l’efficacia della frenata e quindi la sicurezza del motociclista”, dice Sorini.
IL FALSO MADE IN ITALY
Il fenomeno è complesso e presenta numerose sfaccettature. Ultima, ma non certo in ordine di importanza, quella dell’abuso del marchio “Made in Italy” da parte di chi non produce in Italia. “Mi batto da anni contro importatori e furbetti che si vantano di produrre la loro merce nel nostro Paese - dice Stefano Cappelletti, numero uno di Capit, azienda leader nel settore delle termocoperte per moto - e nemmeno registrare il marchio a livello internazionale mi ha messo al riparo dalle imitazioni. In giro sul web è pieno di termocoperte ‘Capri’, o con un logo molto simile al mio, dove magari i colori della bandiera italiana sono invertiti”.
L’unico modo per combattere la piaga dei falsi è quello messo in atto da Brembo: “La nostra attività continua online, grazie anche alla collaborazione con società specializzate nel settore (la torinese Convey, ndr) sta portando i suoi frutti”, dice Rezzaghi. Numeri alla mano, l’intensa attività di Brembo ha portato a una riduzione dei falsi in circolazione online: 12mila nel 2016, 18mila nel 2017, 22mila nel 2018, appena 8mila nel 2019, sebbene l’anno non sia ancora finito. Ma non tutti hanno il tempo e le risorse economiche per affrontare questa attività: “Per noi setacciare il web e coinvolgere un avvocato per far partire le lettere di diffida è un dispendio di tempo ed energie clamoroso. Con i soldi che spendiamo in queste operazioni, potremmo assumere due persone ogni anno”, dicono i titolari di SC-Project, una azienda dalla statura internazionale ma di dimensioni ancora piccole, che ogni anno perde 300mila euro a causa dei falsi (su 11 milioni di fatturato).
POCHE SOLUZIONI
Pensare di azzerare il fenomeno dei falsi è impossibile. Cercare di intervenire con le armi oggi a disposizione sui mercati asiatici, dove la motorizzazione su due ruote sta vivendo un momento di diffusione galoppante, è pura utopia. Nemmeno l’industria della moda, che della falsificazione è la prima vittima, ci è riuscita. Ma arginarlo è possibile. Sui mercati più maturi e più attenti alle tematiche della sicurezza, ad esempio, potrebbe essere un’idea quella di applicare sui prodotti un bollino che ne certifichi la provenienza e l’originalità, sulla scorta dell’attività svolta da Coldiretti a tutela del Made in Italy alimentare. In certi casi, un falso è una bomba a orologeria per la sicurezza dei motociclisti stessi.
Ma serve soprattutto un’azione politica forte su un tema finora poco approfondito come questo. Nel mondo dell’auto solo in tempi recenti l’Anfia, l’associazione di settore, ha iniziato a denunciare la piaga dei falsi. Secondo aziende come Brembo, che hanno la loro attività divisa tra le due e quattro ruote e quindi rappresentano un osservatorio privilegiato, anche solo parlare della questione rappresenta un ottimo punto di partenza: “Nelle fiere di settore portiamo sempre i falsi nel nostro stand, è fondamentale far conoscere alla gente questo argomento”, conclude Paolo Rezzaghi.
NON SOLO VESPA: ANCHE IL MERCHANDISING TRA I FALSI DI PIAGGIO
Detiene quello che è il marchio più iconico del motociclismo italiano, ovvero Vespa. E nel campo della lotta ai falsi è diventato una specie di autorità. Stiamo parlando del Gruppo Piaggio, che da anni è operativo su tutti i campi (sia on-line, sia off-line) per difendere il suo storico scooter dall’attacco dei pirati e dei falsari. Piaggio soffre della contraffazione dei propri prodotti in tutti i principali Paesi nei quali è attiva. Quindi nell’Unione europea, con particolare riguardo ad Italia, Benelux e Germania, nei mercati asiatici (Vietnam e Cina) e anche in India. “Le principali misure che adottiamo per combattere le frodi, le contraffazioni e l’uso illegittimo di marchi e design da parte di terzi sono i blocchi doganali, i sequestri operati con la Guardia di Finanza, anche all’interno delle principali Fiere di settore, sia in Italia che all’estero, e le diffide stragiudiziali e azioni legali sia in sede civile che in sede penale”, dicono dall’ufficio legale dell’azienda di Pontedera. Un processo difensivo che passa anche da un’attività di formazione tra i doganieri. Il Gruppo Piaggio ha aderito al Progetto FALSTAFF (Fully, Automated, Logical, System, to Avoid, Forgeries & Fraud), con il quale sono stati rafforzati i poteri delle Dogane di bloccare le merci sospettate di violazione e utilizza il blocco doganale come abituale strumento per contrastare il fenomeno delle contraffazioni. Questo presuppone una interazione e uno scambio costante di informazioni con gli uffici doganali.
All’azione difensiva sui prodotti contraffatti in entrata sui mercati, si affianca un’attività di prevenzione anche sui mercati internazionali. Il Gruppo Piaggio è infatti titolare di 430 marchi (brand e veicoli o famiglie di veicoli; ndr). per oltre 4.000 pratiche di registrazione a livello mondiale, fatto che gli consente di agire direttamente su tutti i mercati del mondo. Ma il problema delle imitazioni della Vespa non è l’unico. La Casa toscana infatti ha dovuto fronteggiare l’invasione del merchandising fasullo: “La collaborazione della Guardia di Finanza ha portato al sequestro di oltre 150 mila prodotti di merchandising contraffatti solo negli ultimi tre anni (circa 50 mila nel 2017, oltre 60 mila nel 2018 e nei primi mesi del 2019 quasi 50 mila)”, afferma l’ufficio legale di Pontedera. Un giro d’affari difficilmente quantificabile: “Tuttavia, tenuto conto delle operazioni di sequestro effettuate e delle azioni intraprese, si può senz’altro stimare che il giro d’affari generato dai prodotti contraffatti, che si traduce in minori ricavi, sia rilevante”, afferma l’azienda.
COSA RISCHIA CHI ACQUISTA
L’acquisto di un falso è sempre punibile con una sanzione amministrativa che può arrivare fino a 10mila euro (come previsto all’art. 1 comma 7 del D.L. 35/2005). Ma in alcuni casi potrebbe integrare anche ipotesi di reato. Partiamo col chiarire che la recente giurisprudenza (fra le molte, Cassazione in Sezioni Unite n.3000 del 2016) esclude la punibilità di quei soggetti che acquistano un bene contraffatto per uso strettamente personale. La sentenza citata dichiara però in maniera altrettanto risoluta che “risponde del delitto di ricettazione chi, acquistando un bene contraffatto, contribuisca alla ulteriore distribuzione e diffusione di esso in quanto non lo destina a sé, ma ad altri”. Pertanto, non solo chi rivende tali oggetti, ma anche chi semplicemente regala (o presta) merce “taroccata” potrebbe correre seri guai. Il reato di ricettazione (art. 648 c.p.) punisce infatti coloro che acquistano o ricevono oggetti di provenienza illecita al fine di procurare a sé o ad altri un profitto.
La pena per una ricettazione di lieve entità (art. 648 comma 2) consiste nella reclusione fino a sei anni, con una contestuale multa fino a 516 euro (nei casi più gravi la reclusione è da due a otto anni con una multa da 516 a 10.329 euro). Nella ricettazione la condotta dell’acquirente è sempre dolosa: è a conoscenza della provenienza illecita del bene, o agisce coscientemente per procurarsi un illecito profitto. Chi invece acquista un bene contraffatto in modo “inconsapevole”, potrebbe essere indagato per il più lieve reato contravvenzionale di “incauto acquisto” (art. 712 c.p.). Tale fattispecie consiste nell’acquisto di cose di cui si può agevolmente sospettare la provenienza illecita, viste anche le oggettive condizioni di vendita come ad esempio la qualità della merce, l’entità del prezzo, o la qualifica del venditore. Tale reato è punito con l’arresto fino a sei mesi o con un’ammenda non inferiore a 10 euro.
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