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I viaggi dei lettori

Tre amici per le vie del Sudamerica

il 09/02/2005 in I viaggi dei lettori

Dal Venezuela, alla Columbia, all'Ecuador fino al Perù: un viaggio all’insegna dell’avventura, della cultura e delle meraviglie della natura. Un'esperienza affascinante che si può vivere solo in sella alle due ruote

Tre amici per le vie del Sudamerica
Arrivo a Bogotà

Testo e foto di Giampiero Pagliochini e Andrea di Noia

LA SCHEDA

Componenti del viaggio: Andrea di Noia - Africa Twin 650, Domenico Crotti - Africa Twin 750, Giampiero Pagliochini - Super Tenerè.


I km percorsi sono stati 6700, in 32 giorni, 5500 di asfalto e 1200 di fuoristrada.
Per ulteriori informazioni e foto: www.motorbiketravel.it



Le strade sono un fiume d’acqua, macchine in panne parcheggiate ovunque, certo i primi km del Venenzuela non sono d’aiuto ma la voglia di metterci in strada è tanta. Usciti da Caracas imbocchiamo l’arteria che ci porta ad ovest, per noi questa del Venezuela è solo una tappa di trasferimento. La sera sostiamo a San Carlos, c’è una grande fermento per il comizio di un candidato locale al congresso, da lì a poco sarà un escalation di musica, rappresentazioni musicali e chi più ne ha più ne metta, per poi concludere la serata, dopo che ha parlato l’interessato, in un fiume di birra (un appunto: qui in Sud America la politica fa ancora molti proseliti).
La strada si alterna in passaggi che ci portano oltre i 2000 mt per poi scendere di nuovo a Merida, una città arrampicata a 1800 mt, famosa per la funivia più alta del mondo che arriva a quota 4450 mt del Pico Bolivar, una vera opera d’ingegneria meccanica. La salita dura circa due ore, ma lo spettacolo dall’alto è assicurato, la presenza di lagune in quota arricchisce la veduta. La chiusura tempestiva delle frontiere, a causa dell’elezione c’inducono ad una tappa forzata per entrare in Colombia, perlopiù di sera, cosa che tutti ci sconsigliano ma non abbiamo scelta. Se a quella venezuelana patiamo la burocrazia, alla frontiera colombiana va di scena un’accurata analisi della moto, arrivando addirittura a rilevare il numero del telaio con un nastro particolare.
Cucuta come tutte le città di frontiera è un via vai senza tregua, anche perche’ la vicina frontiera venezuelana è un’occasione troppo ghiotta che nessuno si farebbe sfuggire:in Colombia la benzina costa circa 0,45 euro, in Venenzuela 0,03 euro ci siamo riservati ogni commento.

"La Colombia è un paese off-limits": queste erano le notizie che ci avevano girato o meglio che eravamo riusciti a carpire attraverso dei canali privati perlopiù riferite ad alcune zone. Il primo impatto è l’opposto esatto, gente cordiale, paesaggi mozzafiato con un’esplosione della natura incomparabile, poi le strade dall’ottimo fondo e dalla segnaletica minuziosa, contraddizioni che rispecchiano con la nostra realtà.
Lasciata Cucuta di buon mattino saliamo verso Villa de Leiva, la città coloniale più famosa della Colombia. I nomi di alcune città sono gli stessi di altre città europee, quando attraversiamo Pamplona, dove si festeggiano i 450 anni della fondazione. Non possiamo che sostare, intere famiglie ci chiedono di fotografare le moto con i sella i loro bambini, un momento di felicità per loro e tante riflessioni per noi.
La sera sostiamo a San Gil un paesino arroccato tra le montagne, poi all’indomani giungiamo a Villa di Leiva. La sua altitudine, i monti circostanti, le lagune dalle acque turchesi, ma soprattutto lo stile conservato delle costruzioni, la rendono una meta di villeggiatura dei bogotiani. Spacciandoci per giornalisti ci sono concessi, dai militari, 15 minuti per immortalare noi e le moto sulla piazza principale, furberie del mestiere. E’ l’occasione per scoprire quanto le moto sia una curiosità illimitata, specialmente quando ci chiedono la cilindrata, la risposta sarà sempre la stessa per tutto il viaggio, un CARRO, che sta come un’auto.
Lasciamo Villa di Leiva per Bogotà ma prima ci fermiamo alla cattedrale del Sal, un opera unica, praticamente in una montagna di sale è stata scavata una galleria che porta ad una chiesa a 150 mt sotto il livello d’ingresso, lungo il percorso le 12 stazioni della Via Crucis, ora si sta allestendo un auditorium da 300 posti, un’opera nell’opera.


: dopo le foto di rito sotto il cartello che dal benvenuto, entriamo in città. Di certo non passiamo inosservati, un motociclista in sella ad una Suzuki ci affianca dal suo stupore si capisce che non sono tanti i motociclisti stranieri che passano da queste parti, poi quando ci chiede la provenienza allora sbotta in una “Madre de Dios”. L’ultimo censimento parla di una città di otto milioni di abitanti, verrebbe da pensare ad un caos generale visto che siamo in Sud-America ed invece dobbiamo costatare l’opposto, grazie ad un piano di circolazione ben studiato, muoversi in città e di una facilità estrema e così in poco tempo raggiungiamo i nostri amici di cui saremo ospiti per cinque giorni.
Parcheggiamo le moto e visitiamo la città, d’obbligo è partire dal Museo dell’oro una vasta raccolta d’opere pre-colombiane in oro, il cui ingresso è gratis, Il pomeriggio vaghiamo a piedi per la Candelaria, la parte antica della città, un intersecarsi di vie in un’atmosfera coloniale, per poi concludere la serata salendo con la funicolare a Monserrat il punto più alto della città con una veduta da mozzafiato.
All’indomani voliamo a Cartagena, il trasferimento in moto ci avrebbe fatto perdere quattro giorni, cosa che con l’evolversi del viaggio non avremo potuto permetterci. La città caraibica è un connubio d’arte, musica e folclore che non ha nulla a che fare con il resto della Colombia. Qui il mercato degli schiavi fu attivo fino al 1600, la presenza di popolazione nera e talmente alta che sembra di stare da un’altra parte del mondo, ma nulla toglie al fascino che emana questa città. C’è tanto fermento per l’elezione di Miss Colombia, ancora una volta con tenacia riusciremo a carpire foto e riprese: anche questo fa parte del viaggio situazioni che tanto donano all’occhio.

Rientrati a Bogotà e prese le dovute informazioni, scendiamo verso San Agustin, il sito pre-colombiano più importante di questo paese insieme a Tierradentro, oggi ancora off-limits per gli stranieri infatti, la presenza della guerriglia, a volte come ci raccontano, di delinquenza comune, diventa un deterrente.
La strada scende, ora alla pianura di Bogotà si sostituisce la vegetazione possente del Rio Magdalena, tanto osannato da Garcia Marquez in “Cento anni di solitudine”, il libro per cui ha ricevuto l’Oscar.
San Agustin un paese al limite della cordigliera da una parte e la foresta che scende verso il bacino Amazzonico dall’altra, la situazione sembra delle migliori ma da parte nostra l’assillo delle raccomandazioni ricevute ci fanno stare accorti. Miguel Angel è un tipo minuto ma al contempo una persona professionale, con lui in sella alla moto di Andrea girovaghiamo per due giorni per i siti limitrofi a San Agustin, cosa che ci toglie delle perplessità. I luoghi visitati, ben tenuti e dai resti unici dell’era precolombiana, sono quanto di meglio un turisti possa aspettarsi. Dalle parole di Miguel traspare una certo ottimismo per il ritorno di turisti colombiani, non di certo per quelli stranieri: noi siamo i primi dopo tre anni di assenza, dopo anni bui dovuti ad un’instabilità politico-sociale. Di buon mattino e con Miguel in sella, imbocchiamo la strada per Popayan, un tratto malfamato fino a poco tempo fa perlopiù di strada dissestata, dove la presenza della guerriglia in pratica la rendeva impraticabile. Oggi la situazione è cambiata per la presenza dell’esercito. In ogni caso la tensione è alta, cartelli monitori per la presenza di zone minate la dice lunga sulla normalizzazione.
Superata la cordigliera a oltre 3000 mt lasciamo Miguel al primo pueblo, non ci rendiamo conto al momento di quanto sia stato prezioso il suo aiuto, praticamente è stato il nostro passaporto. A Popayan quando racconteremo di aver percorso questo tratto di strada tutti ci guarderanno con stupore e credo con poco sale in testa, ma siamo passati e indenni: gracias Miguel.
300 km ci dividono dalla frontiera con l’Ecuador. Ora fa caldo, siamo scesi di quota, superati gli scogli doganali dormiamo nel Santuario della Madonna della Paz ad oltre 2000 mt. Qui sarebbe apparsa la Madonna nel 1912, annunciando una guerra imminente. Così ci racconta Padre Antonio, un ecuadoriano che ha studiato in Italia. Lo spartano hotel ci rilega ad una vita da asceti.

Ibarra è tra le città più grandi dell’Ecuador, siamo ricevuti dal Direttore della locale banca dello sviluppo cooperativo, una specie di Banco del Mutuo soccorso di 100 anni fa in Italia. Andrea e Domenico lavorano nella Coperativa delle Banche Rurali del Bresciano, tra i due istituti c’è una cooperazione, e così diventati soci per 18 dollari non ci resta che proseguire per Quito dove ci riceverà il Sig. Giuseppe Tonello, presidente del Banco, un italiano che qui opera da 30 anni. Il Sig. Tonello oltre a riceverci nel migliore dei modi, senza nulla dirci, ci invita a cena a casa sua, dove avremo la gradita sorpresa di passare la serata con il patron dell’Alpinestars Sante Mazzarollo e Miki Biasion, qui in Ecuador per un progetto di aiuti alle popolazioni Indios.
All’indomani ci rechiamo a Otavalo dove si tiene il mercato indios più importante dell’Ecuador, un’esplosione di colori e suoni. L’intervista del giorno prima su un giornale della regione il "Norte", ci fa conoscere un momento di notorietà, con la gente che vuole sapere di questi tre italiani vagabondi in moto.


All’indomani passeggiamo per un’intera giornata per le vie di Quito e anche qui i giudizi sulla viabilità ci lasciano perplessi: paragonandoli alle nostre città, qui tutto è più organizzato, cosa che ci favorisce il giorno seguente quando lasciamo la capitale. Poi ancora Panamericana, poi fuoristrada. Quando parcheggiamo a 1300 mt dalla cima non crediamo ai nostri occhi, il Cotopaxi (trono della luna), il vulcano più alto del mondo ancora attivo, ci appare in tutta la sua grandezza. Certo, ascoltando gli abitanti del luogo, non è che infonda sicurezza. Le sue eruzioni sono un ricordo indelebile e che si tramanda.
Lasciato il Cotopaxi riprendiamo la Pan, ma non dura molto. Ancora in fuoristrada, attraversando una serie di villaggi indios, raggiungiamo la Laguna di Quoiotoa, per poi trascorrere la notte ai piedi del vulcano. E' stata una giornata intensa dove il freddo ci ha accompagnato per tutto il giorno, ma quando all’indomani scendiamo verso il bacino amazzonico l’habitat cambia radicalmente. Ora fa caldo, le umili capanne degli indios sono poca cosa di fronte a tanta esplosione di una natura possente.

All’indomani ci rimettiamo in cammino di buon ora. Siamo sempre in fuori strada, ma la temperatura si è abbassata. Saliamo a oltre 3500 mt. E' uno slalom tra corsi d’acqua naturali e le tante buche presenti. Le moto non dicono di no, e questo di certo è un pensiero in meno. Non manca la solita pioggia che rende la strada al limite della percorribilità. Su uno di questi tratti uno di noi scivola ma fortunatamente le borse laterali rendono tutto più facile, attutendo l’impatto. Di differente impatto lo è il modesto albergo di Ingapirca arrampicata sulle montagne, a oltre 3800 mt: la notte piove, fuori e dentro la stanza. Vita da motociclisti.
Ingapirca è il sito archeologico più importante dell’Ecuador. Prima Canar e poi Inca... non passiamo inosservati quando entriamo per la visita: il nostro abbigliamento è oggetto di commenti. Non penso che motociclisti ne passino da queste parti.

Ora il nostro obiettivo e raggiungere la frontiera con il Perù. Un lungo trasferimento ci porta a Trojuillo, una città ricca di insediamenti archeologici. Di sicuro le attenzioni rivolte a Machu Picchu, a Cuzco, non ne fanno una meta ambita, ma il sito di Chan Chan e il tempio del Sole e della Luna rimarranno nella nostra mente: i resti ben conservati, l’atmosfera che li circonda, arida e con tanto deserto, lo rendono uno dei momenti più belli del viaggio.
La Panamericana sembra un lunga linea tracciata sul deserto, questo è quello che incontriamo scendendo a sud. Intorno a noi deserto e tanto caldo, un habitat più consono a paesi limitrofi all’Italia, ma non dura molto. Quando la lasciamo siamo ancora in fuori strada: saranno quattro giorni all’insegna dell’off-road. Siamo all’interno del canyon del Pato, una strada strettissima con pareti di roccia che si staccano prepotentemente verso l’alto. Ai margini del sentiero la furia del fiume è un monito a non distrarsi. Cosa impossibile, i nostri occhi fanno fatica a carpire tutto ciò che ci circonda. Fa caldo anche se siamo in quota. 47 sono i tunnel, scavati nella roccia a mano, che attraversiamo con un buio pesto. Poi ancora la pioggia quotidiana ma finalmente siamo a Caraz, cittadina che diventerà la nostra base per alcuni giorni. Siamo sotto la cordigliera Blanca con il parco dell’Huschuaran che raccoglie le cime più alte del Perù perennemente innevate, uno spettacolo della natura. Quando abbiamo visitato il sito di Chavin de Huntar dopo aver superato il passo di Kahuish a 4680 mt, percorrendo il solito tunnel, per poi essere proiettati nella vallata - vallata per modo di dire, il sito è a 3200 mt - abbiamo pensato che le emozioni fossero terminate, ma così non è.
Il mattino seguente con tutti i bagagli ci arrampichiamo per l’Hscuaran, il paesaggio circostante caratterizzato dai soliti villaggi di indios ci conduce alla laguna di Lluanganuco, uno specchio di acqua turchese, con le vette perennemente coperte di neve che si riflettono dentro. La disponibilità a farci entrare nel parco da parte degli addetti per la solita foto di rito, ci lascia senza parole, un connubio di colori e tanto folclore che - senza le moto -difficilmente avremmo vissuto.
Vorremmo proseguire per aggirare la Cordigliera ma il tempo è tiranno, non ci resta che girare le ruote verso Lima, che raggiungiamo all’indomani. Con rispetto parcheggiamo le moto a casa di un amico, prima eravamo passati ad un lavaggio per una ripulita di dovere, giusto il tempo di fare qualche acquisto prima di volare per l’Italia. Il prossimo anno torneremo per proseguire per Buenos Aires, ma questa è un’altra storia.

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