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Africa

Dall'Italia al Sud Africa: decima tappa

di Anna & Fabio il 22/09/2010 in Africa

Ancora nel Tagikistan, i nostri viaggiatori, ripartiti da Dushambe verso est, incontrano strade pessime e saranno costretti a tornare indietro

Dall'Italia al Sud Africa: decima tappa
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Ci fermiamo a Dushambe per un paio di giorni, così riusciamo anche a farci un'idea della condizioni generali del paese, che naviga in un'illegalità diffusa e in una povertà dignitosa ma devastante, ancora più evidente nella capitale, dove i poveri contadini venuti dai monti si incontrano con i nuovi ricchi.
Per un paio di Sumon ci si fa portare in giro dalle molte auto che fanno da Taxi collettivo a percorso fisso: si mette fuori una mano e una macchina si ferma, di solito ha un cartello con un numero appoggiato sul cruscotto, basta conoscere il numero e fermare la macchina giusta. Scopriamo che l'autista passa il tempo a nascondere il cartello ogni volta che si avvicina a una pattuglia di polizia, e lungo la Rudaki, la via principale, ce n'è una ad ogni incrocio; in compenso passa un buon numero di Porsche Cayenne nere elaboratissime che viaggiano sui 150 all'ora e che nessuno si sogna di fermare.
C'è da dire che il presidente, la sua famiglia e i suoi sodali hanno solo targhe verdi e con lo zero e l'otto ricorrenti, perciò la polizia sa chi non deve fermare, tutti gli altri sono territorio di caccia libero.
A parte questo viale, le ville del presidente e qualche residuo Sovietico, come il teatro e qualche ufficio pubblico, non c'è altro, perciò ci dedichiamo ai mercati: poveri ma divertenti!
Prendiamo anche informazioni sulle strade: per raggiungere Kalaikhum, all'inizio della vera Pamir Highway, ci sono due strade possibili. Una passa da sud, seguendo il corso di quello che diventerà l'Amudarya (ma dai notiziari delle Nazioni Unite è chiusa da settimane a causa di una grave inondazione di cui neppure i Tajiki sanno nulla), l'altra è la vecchia strada che da Dushambe procede verso Est. E' notoriamente pessima, dopo i primi 70 km, ma pare che sia stata riaperta dopo la riparazione del ponte che era stato danneggiato, da un'altra piena, un paio di mesi fa.
Ci avviamo domenica mattina, pieni di benzina ma senza provviste. Tutto come previsto: i primi 70 km sono discreti, a parte due terribili dislivelli di circa un metro, malamente riempiti di terra che ci si parano improvvisamente davanti mentre viaggiamo sui 100 all'ora. Poi raggiungiamo un bivio: a destra si va verso il Kyrghystan, a sinistra verso Kalaykhum.
Ovviamente quella verso destra è molto brutta: il paesaggio è bello, ma c'è poco modo di goderselo. In sei ore facciamo circa 100 km; poi, dopo l'ennesima "registrazia", si comincia a fare sul serio. Strada distrutta, continue deviazioni per aggirare parti asportate da frane e inondazioni, ponti crollati, guadi, eccetera. Comincio a preoccuparmi un poco: mancano ancora quasi 100 km e dovremmo raggiungere un passo a circa 4000 metri.
Altra "registrazia" e le cose peggiorano ancora: la strada non c'è più e si viaggia direttamente sul greto del torrente; e così arriviamo al ponte riparato. Il termine ovviamente ha un valore diverso a seconda della nazione. Qui significa mettere due passerelle di circa 40 cm di larghezza, lunghe circa otto metri, che sostituiscono la sezione centrale di un vecchio ponte di ferro. Sono messe a circa due metri una dall'altra e sono anche piuttosto difficili da imboccare: ci lavorano solo tre operai perciò c'è da supporre che le riparazioni dureranno parecchio. Intanto che ci penso, porto i bagagli sull'altro lato, così mi guardo bene il fiume ribollente venti metri più in basso. Poi faccio le mie valutazioni: la passerella è troppo stretta per poter appoggiare i piedi, gli operai sostengono di poter fare sicurezza a braccia. E' una stupidaggine: nessuno al mondo può tenere in equilibrio una moto di 250 kg senza un appoggio adeguato. Perciò non resta che imboccarla in velocità: difficile, perché il percorso per arrivarci è pieno di ostacoli e per ultimo c'è un gradino di 25 cm. A tentare di superarlo in velocità si rischia di perdere l'equilibrio e finire di sotto. Possibilità di sopravvivenza, vista l'altezza e la corrente: zero.
Possibilità di cadere? Almeno il 10%, pari dunque alla possibilità di morte. Gli operai, ovviamente, dicono che altri sono già passati e, probabilmente, mi danno della schiappa. D'altra parte devo considerare che dovrò ripassarci anche al ritorno e le possibilità di lasciarci la pelle sale al 20%. Davvero troppo.
Attorno non c'è nulla con cui ridurre il rischio: né funi, né tavole né altro. Nemmeno un amico di cui fidarsi per valutare la situazione: Anna fa quello che può, ma in questo caso non potrebbe fare proprio nulla. Perciò rinunciamo e torniamo indietro di una decina di km, fino a Tavildara, dove il ponte c'è, sta bene in piedi ma non fa altro che raggiungere il villaggio.
Troviamo una guesthouse dove passare la notte e valutare ancora la situazione. Ma la notte insonne non cambia i termini del problema. Siamo a qui, a 30 ore di guida dall'obiettivo e ci tocca rinunciare. E' un boccone molto amaro da mandare giù. Poi ci rassegniamo: il Pamir ci sarà anche l'anno prossimo…
Ci rifacciamo le 12 ore di guida per tornare a Dushambe. Tutte le buche sembrano ancora più profonde.

www.1bike2people4aid.it
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