canonical: https://www.dueruote.it/guide/manutenzione/2023/02/08/controllo-di-trazione-serve-davvero.html
info: https://www.dueruote.it/guide/manutenzione/2023/02/08/controllo-di-trazione-serve-davvero.html
Manutenzione

Controllo di trazione: serve davvero?

Condividi
Casey Stoner nel 2008
Enea Bastianini
La Ducati 1098R
La Ducati 1098R: la regolazione del sistema DTC
La Ducati 1098R
La Ducati Streetfighter V4 S
Controllo di trazione: serve davvero?
Fabio Quartararo
Marc Marquez
Valentino Rossi con la Honda NSR500 a due tempi
La Aprilia Tuono V4 Factory
La Aprilia Tuono V4 Factory

Presenza ormai fissa non più solo sulle moto più potenti, il controllo di trazione ha accompagnato le moto nell'era moderna stimolando lo sviluppo di un altro elemento dall'importanza fondamentale: il ride-by-wire

Fece scalpore nel 2008, quando debuttò per la prima volta sulla sportivissima Ducati 1098R. Ma a oltre quindici anni di distanza, la sua presenza non fa più scalpore né curiosità. Parliamo del controllo di trazione o traction control, che in questo lasso di tempo si è diffuso a macchia d’olio arrivando persino sugli scooter, sulle 125 4T e sulle moto da cross. Come per l’ABS, sul traction control si scatenarono all’inizio le discussioni: serve? Non serve? Aumenta la sicurezza ma a discapito delle prestazioni? Toglie a chi guida il controllo del mezzo? Oggi c’è meno scetticismo, ma nemmeno ci si strappa i capelli per averlo. Per gran parte dei motociclisti se c’è bene, se non c’è fa lo stesso. Non parliamo ovviamente di chi guida una hypersport da 200 e passa cavalli, per sbrigliare i quali – anche in pista – non si può ormai fare a meno del sistema. Ma per le medie 500-700, le moto da patente A2, gli scooteroni e le 125 da 15 CV, c’è davvero da chiedersi se serva o no.

Questioni di gomma

Tanto per cominciare, la risposta dipende non tanto e non solo dalla potenza del motore, ma dal modo in cui questa viene messa a terra: e quindi per prima cosa dal pneumatico. L’idea che il traction control serva per “evitare il pattinamento” è infatti un po’ grossolana, come dimostra l’esperienza della MotoGP dove le moto con ogni evidenza pattinano, molto raramente cadendo e di regola curvando e accelerando fortissimo. L’aderenza del pneumatico a terra genera infatti una varietà di comportamenti ben più ricca del solo “perfetta aderenza” (come accade quando si viaggia a velocità costante e ridotta) e “completo slittamento” (come accade ad esempio nei burn-out). In realtà è proprio tutto quel che succede fra questi due estremi ad essere interessante, perché lo slittamento (parziale) inizia quando inizia l’accelerazione. Lo slittamento parziale è infatti legato alle forze che consentono alla moto di avanzare accelerando. Per capire cosa succede nella piccola area di contatto tra la ruota e l’asfalto (grande a malapena come una carta di credito) bisogna approfondire un po’ la conoscenza del pneumatico.

Capire lo slittamento

Le forze che la mescola e la struttura della gomma sono in grado di generare hanno un andamento a campana controllato dunque dallo "slittamento". Questo però non è il pattinamento ma una misura dell'aderenza della gomma legata alla velocità della ruota rispetto a quella del veicolo. Tanto più la ruota è veloce rispetto al veicolo, tanto più sta slittando. A velocità bassa e costante lo slittamento è zero, nel burn-out lo slittamento è al 100%. Fino a un certo grado di slittamento le forze di attrito aumentano, quindi aumentando la rotazione della manopola destra aumenta effettivamente la spinta in avanti. Oltre questo limite (detto “saturazione”), che arriva ben prima dello slittamento completo della ruota, alla richiesta di ulteriore coppia (e ulteriore slittamento) l’aderenza inizia a diminuire. La gomma continua a richiedere più forza nell’unico modo che conosce – slittando di più – ma la sua fisica e chimica glielo vietano, anzi ne forniscono sempre meno. È a questo punto che bisogna chiudere il gas (o più precisamente ridurre la richiesta di coppia), e farlo in fretta per evitare che l’aderenza cali al punto da innescare il pattinamento vero e proprio.

La legge della pista

Un Traction Control “stradale” si tiene a debita distanza dalla saturazione, perché non gli si chiede la massima prestazione ma la massima sicurezza, e avendo a che fare con condizioni dell’asfalto ben più variabili che in circuito (e magari anche con gomme diverse da quelle di primo equipaggiamento) conviene avere margine prima di entrare nella zona instabile. Diverso è il discorso delle gare, dalla MotoGP in giù. Avrete capito che il punto di massima aderenza è proprio quello in cima alla campana, situato “sull’orlo del precipizio” verso la derapata fuori controllo. Il bravo pilota guida esattamente sull’orlo di quel precipizio, cosa già difficile in rettilineo ma che diventa un autentico incubo in piega, perché la forza che la gomma è in grado di dare è sempre la stessa, ma si deve suddividere tra una componente longitudinale (la spinta in avanti legata alla coppia motrice) e una componente laterale (che assicura la tenuta in curva). 

Più percorrenza o più accelerazione?

Se accelero troppo e/o troppo presto, la forza longitudinale “ruba spazio” a quella laterale e la ruota parte per la tangente: ecco perché prima dell’arrivo dei TC, sulle vecchie 500 2T, l’essenza della guida stava nel rialzare la moto prima possibile per poter accelerare, appunto, il più possibile (dal momento che a moto dritta la componente laterale è minima, e si può usare tutto il grip della gomma per spingere la moto in avanti). Negli anni dello sviluppo libero dell’elettronica, a furia di piattaforme inerziali e Ride-By-Wire le Case sono arrivate a mettere a punto sistemi TC così performanti da saper gestire alla perfezione l’aderenza, anche in piega. In quegli anni il pilota in uscita di curva poteva letteralmente spalancare il gas, e lasciare che l’elettronica facesse il resto.

...e la legge dello show

Per il bene dello spettacolo, a partire dal 2016 Dorna impose a tutti la centralina unica Marelli. Una delle caratteristiche principali di questa elettronica era un TC “semplificato”, che non permetteva più al pilota di spalancare il gas a centro curva e far lavorare l’elettronica al posto suo. La prima parte di accelerazione a moto molto piegata restava nelle mani del pilota, e infatti sui circuiti del mondiale si tornò ad ammirare il power sliding, il pattinamento in uscita di curva, e la tecnica di guida tornò a privilegiare chi alzava la moto più in fretta per dare full gas Gli ingegneri non sono ovviamente stati con le mani in mano, e sono in questi anni riusciti a recuperare indirettamente parte delle funzionalità lavorando sul controllo di coppia curva per curva, con un livello di precisione tale che si è tornati a una guida alte velocità di percorrenza (favorite anche dallo sviluppo dell’aerodinamica) e ad accelerare a moto inclinata. Per inciso, il lavoro sulle curve di coppia sta avendo ricadute anche nella produzione di serie, dove si sono viste moto potentissime ma sorprendentemente gentili da guidare come (e non è un caso) la Ducati Streetfighter V4.

Il Ride-By-Wire

Come si fa a ridurre la coppia erogata dal motore quando il pilota sta spalancando la manopola destra, richiedendo quindi la massima spinta? I primissimi traction control (come quello offerto da BMW sulla serie R 1200 già prima del 2008) potevano al più lavorare sull’anticipo e sull’iniezione, con risultati non particolarmente interessanti visto che la valvola a farfalla restava aperta. La situazione è cambiata con l’arrivo dei sistemi Ride-by-Wire, che hanno reso il TC immensamente più sofisticato. La portata del RBW è spesso sottovalutata, ma questa tecnologia ha costituito un salto epocale. Prima del RBW, infatti, a gestire la spinta sulle gomme era al 100% il pilota. A lui era affidato il compito di “interpretare” al meglio le caratteristiche del motore (entrata in coppia, intervento del limitatore, marcia innestata, ecc.) e di tradurle nel grado di apertura ottimale della manopola. Il compito del RBW è proprio quello di rendere più “lineare”, quindi più facilmente gestibile, tutto quel che si frappone tra manopola del gas e ruota. In un classico sistema di iniezione comandato da cavo a una data rotazione della manopola corrisponde sempre una data apertura della farfalla, quindi se raddoppio l’apertura della manopola raddoppio l’apertura della farfalla, ma non è detto che raddoppi la coppia erogata. Nei sistemi RBW accade più o meno l’inverso: il grado di apertura farfalla (e tutto quel che ne consegue) è deciso nel tentativo di erogare proprio il doppio della coppia.

Se è lineare, è semplice da guidare

Stiamo semplificando molto, ma l’obiettivo è in generale questo: collegare la rotazione della manopola alla richiesta di coppia (quindi di potenza) anziché all’apertura della farfalla. Questo funzionamento si chiama “in controllo di coppia” e ovviamente semplifica la vita al pilota che deve già gestire una serie di altri problemi, a partire dalla curva di aderenza delle gomme. Per aiutarlo ulteriormente in questo compito, negli anni sono stati sviluppate logiche “in controllo di slittamento”, nei quali quello che è proporzionale alla rotazione della manopola destra non è nemmeno più la coppia erogata, ma il grado di slittamento della gomma posteriore. In questo modo è più facile per il pilota far lavorare la gomma nella zona di sommità della curva a campana, magari aiutato dall’elettronica: su questo principio si basano ormai anche gli “slide control” che alcune Case, come Ducati e KTM, iniziano a offrire anche sulle loro sportive di serie. Il risultato è che le MotoGP sono tornate a (micro)derapare in accelerazione un po' come le vecchie 500 2T e le prime MotoGP, dopo il periodo di stretta aderenza alla fine degli Anni 2000.

Il rischio "Intelligenza Artificiale"

Si rischia allora che il computer si prenda in carico tutto il bello della guida? Che arrivi l’Intelligenza Artificiale a rendere uguali tutte le moto? Per il momento in MotoGP non si sono raggiunti gli estremi della F1 del passato, e anche per effetto delle tempestive decisioni di Dorna ai piloti resta in mano la gestione di “qualcosa”: che non è più l’apertura della ghigliottina del carburatore (500 2T) o della valvola a farfalla (primi anni della MotoGP), e nemmeno più la coppia erogata dal motore (secondo periodo della MotoGP), ma lo slittamento della gomma posteriore. I limiti posti agli algoritmi fanno sì che la sensibilità del pilota resti fondamentale per la prestazione, anche se i tempi sul giro sono più vicini che in passato, con più di metà griglia tipicamente raccolta in un secondo. Certo, questi sviluppi hanno cambiato i piloti. Che non a il sistema è enormemente più sensibile e rapidorrivano più al limite della gomma per gradi, ma spalancano e aspettano di vedere come lavora il traction. La frequenza delle cadute (specialmente per high-side) è diminuita, ma lo spettacolo è se mai aumentato e questo dovrebbe rassicurare anche il motociclista di tutti i giorni che si chiede se il traction control non gli tolga una quota di “padronanza” del mezzo. Sì, la toglie, ma perché nella risposta rispetto a lui, e si occupa di farlo divertire senza arrivare a mettersi nei guai. Serve allora il Traction Control su una moto da 15 CV? Meno che su una supersportiva o una maxi Adventure, ovviamente, perché con basse potenze e velocità tutti i fenomeni sono meno rapidi e bruschi. Ma serve: questi sistemi possono essere meno raffinati, ma si rivolgono del resto a utenti meno esperti: e in generale un sistema capace di monitorare la gomma e fare in modo che la spinta del motore non arrivi in nessun caso a farla pattinare è una bella sicurezza. Soprattutto in prospettiva, visto che la diffusione della mobilità elettrica metterà grandi coppie a disposizione anche dei veicoli a basse prestazioni.

Editoriale Domus Spa Via G. Mazzocchi, 1/3 20089 Rozzano (Mi) - Codice fiscale, partita IVA e iscrizione al Registro delle Imprese di Milano n. 07835550158
R.E.A. di Milano n. 1186124 - Capitale sociale versato € 5.000.000,00 - Tutti i Diritti Riservati - Privacy - Informativa Cookie completa - Gestione Cookies - Lic. SIAE n. 4653/I/908