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Hodgson: 'Io, sulle orme di Carl'
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Riportiamo il testo integrale dell’intervista rilasciata a caldo dal neo campione della SBK dopo la conquista del titolo ad Assen. Ci sono tutte le emozioni di un uomo sensibile, un padre felice e di un pilota che corre sulla scia del grande Fogarty
Che il titolo della Superbike andasse nelle capaci mani di Neil Hodgson non era un mistero per nessuno. L’inglese era il predestinato di questo mondiale dove la Ducati e le sue velocissime 999 l’hanno fatta da padrone. Però il momento della consacrazione di un nuovo campione rappresenta sempre un momento magico nello sport. Così come la prima foto, le prime parole dichiarate a caldo ai giornalisti dopo i festeggiamenti frastornanti sul podio.
Per questo vi riportiamo la sequenza di domande e di risposte della conferenza stampa tenuta da Hodgson dopo la vittoria del titolo. Ci sono tutte le emozioni di un pilota che ha conosciuto tanti alti e bassi e che ha portato a termine il suo compito con puntualità, di un uomo che è passato da un lavoro di muratore agli agi di una star, di un giovane padre che ha il coraggio di affermare che la nascita della figlia gli ha regalato, emozioni irripetibili.
- Che cosa significa per te questo titolo?
“Significa tutto, la ricompensa per 20 anni di duro lavoro”.
- Molti dicono che l’assenza di squadre ufficiali e piloti di calibro abbia svalutato il campionato. Sei d’accordo?
“No, l’anno scorso avevo battuto tutti tranne Colin e Troy che disponevano di moto ufficiali e di pneumatici Michelin. In molte occasioni, sono stato vicinissimo a battere anche loro e quindi ero sicuro che sarei diventato campione contro qualsiasi avversario quest’anno, se avessi avuto la moto migliore e le gomme migliori, e così è stato”.
- Quale sarà, secondo la tua opinione, il futuro del campionato Superbike?
“Penso che proprio quando il campionato avrebbe avuto bisogno di più slancio, abbia invece fatto un passo indietro, e non può davvero permetterselo”.
- Anche se era poco più di una formalità, ti rimaneva comunque da vincere il titolo. Ci sono stati momenti nel corso della stagione in cui hai perso la concentrazione, potendo contare su un margine di punti così cospicuo?
“Tutto è stato assolutamente perfetto fino a Misano dove ho perso 30 punti in un solo fine settimana. Ho cambiato mentalità, ho guidato in difesa invece che sempre all’attacco, ed è un peccato, ma i campionati si vincono con la regolarità”. - Ti è dispiaciuto non aver vinto gara uno?
“Sì, moltissimo. Ma posso dire di aver fatto il possibile ed ero molto teso sulla moto. Il mio corpo sembrava un pezzo di ferro e guidavo malissimo”.
- Il prossimo anno sarai in MotoGP?
“Pare che sarà così, però potrebbe ancora accadere di tutto, non è sicuro al 100%”.
- Come pensi che ti comporterai in MotoGP?
“Nel corso degli ultimi anni ho imparato che se non ti arrendi mai, puoi ottenere tutto. Quattro anni fa, non immaginavo che sarei diventato il Campione del Mondo della Superbike. Non sto dicendo che diventerò campione del mondo ma che spero di passare alla MotoGP e guidare in ogni giro di ogni gara dando il 100%”.
- Per te il passaggio alla MotoGP rappresenterà un problema?
“A dire la verità, io sarei contento anche di restare nel Mondiale Superbike, ma nel “vecchio” Mondiale Superbike, perché ci corro ormai da molti anni. Conosco la Ducati, i circuiti, la gente, e quindi il mio obiettivo potrebbe essere quello di vincere più titoli di Foggy, ma è una decisione obbligata perché devo andare a sfidare gli avversari più forti”.
- Pare che non correrai per una squadra ufficiale. Sarà un problema per t
“No, non credo, perché la Ducati sembra fortissima già quest’anno con la moto che poi passerebbe a me. Sicuramente, la pressione non sarebbe altrettanto esasperata rispetto a un team ufficiale. E avrei un obiettivo da raggiungere: se ottenessi dei buoni risultati avrei le credenziali perfette per il passaggio al team ufficiale”.
- Questa è stata la prima stagione che Ducati ha affrontato senza effettuare molti test pre-campionato. E’ stata dura per te?
“Non è stato facile, ma in un certo senso l’ho apprezzato come pilota perché mi ha costretto a lavorare moltissimo ogni fine settimana di gare. Non mi potevo permettermi di sprecare nemmeno un giro: dovevo concentrarmi ad ogni passaggio per ottenere la miglior risposta dalla moto e aumentarne la maneggevolezza. E’ una moto molto sensibile e potevo confrontarla solo con il modello dell’anno scorso, che aveva sei o sette anni di sviluppo alle spalle e faceva qualsiasi cosa volesse il pilota. Sulla 999 i parametri sono più ampi; la moto è incredibilmente veloce ed efficiente. Sarò avvantaggiato se passerò davvero alla MotoGP l’anno prossimo, perché le moto sono più sensibili”.
- Credi che saresti seduto lì oggi se non fossi ritornato a correre nel campionato britannico di Superbike, dove ti sei sicuramente temprato?
“No, probabilmente se avessi avuto l’occasione di disputare il Mondiale SBK nel 1999, le cose sarebbero andate in maniera diversa. Mi avrebbero forse cacciato via dopo tre o quattro anni dicendo che ero troppo vecchio! Sono stato buttato fuori a 25 anni e poi ho vinto il campionato a 26, quindi avevo ancora qualche anno buono a disposizione. Devo ringraziare immensamente la squadra GSE Racing. Era il team giusto al momento giusto e sarò sempre grato a Darrell Healey, che mi ha concesso questa opportunità. Sono stato fortunato a vincere il titolo con loro e a trovarmi in un team che voleva passare di livello e puntava a vincere il campionato del mondo. Lui ormai fa parte della mia famiglia, ed è un peccato che non abbia vinto con lui. GSE ha gettato le mie fondamenta, e poi Ducati Fila ha costruito la casa!”.
''Per premio mi regalo una Porsche''
- Che cosa ti ha detto Carl Fogarty sulla griglia di partenza prima di gara 2?
“A dire la verità è stato molto gentile, e mi ha fatto le congratulazioni. Di solito fa una battuta sarcastica, invece stavolta mi ha detto “Questa gara andrà molto meglio! Si vedeva che eri teso ma so che stavolta non avrai problemi.” E poi mi ha parlato di Holly Jean che è nata martedì scorso, il 2 settembre, perché è la stessa data di nascita della sua prima figlia, Danielle. Ci lega un’incredibile serie di coincidenze: due campioni del mondo, entrambi mancini, provenienti da due città a dieci miglia l’una dall’altra, che hanno cominciato da bambini allo stesso club di motocross…molto strano”.
- Credi che le tue Michelin abbiano fatto la differenza, anche se è mancato il solito grande lavoro di sviluppo?
“La gente pensa che non abbiano fatto molto lavoro di sviluppo, ma io ho fatto tre test per Michelin e loro sono arrivati con 20 pneumatici solo perché non sentivo l’anteriore come avrei voluto. Non avrebbero potuto lavorare di più. Debbono aver costruito 60 gomme da farmi provare, una cosa che non mi era mai successa prima. E non avrebbero neppure avuto bisogno di farlo, perché ero in testa al campionato e stavo andando bene. Però si sono accorti che avevo un problema e si sono messi al lavoro. All’inizio della stagione, il passaggio da Dunlop a Michelin mi preoccupava, invece mi sono trovato subito a mio agio. Sono i migliori pneumatici che abbia mai usato”.
- Sei diventato campione del mondo oggi e papà martedì scorso: come ti sei sentito nelle due occasioni?
“Devo dire che non sono nemmeno paragonabili! Diventare papà è stato molto, molto meglio! Ad essere onesto, non è che mi piacciano molto i neonati ed ero un po’ preoccupato martedì, ma la stranissima sensazione che ho provato quando Kathryn ha partorito non si avvicina a nulla… nemmeno a vincere gara due e diventare campione del mondo, scusate! Su una scala da 1 a 10, 10 era martedì e 1 è oggi, e lo penso veramente”.
- E’ vero che hai comprato una Porsche che guiderai solo ora che hai vinto il mondiale?
“Sì, è vero. Da bambino avevo un’auto giocattolo, una piccola Porsche, ed era il mio sogno. Sono andato a scuola e non ero molto intelligente, così non sono riuscito a superare diversi esami. Ho lasciato la scuola e ho cominciato a fare il muratore, e non speravo più di poterne avere una. Ma poi mi sono detto che se avessi realizzato il mio sogno di vincere un campionato del mondo, mi sarei comprato una Porsche 911 Turbo. Quando ritornerò all’Isola di Man, andrò a ritirarla”.
- Come è stato vincere davanti a 30.000 Union Jack e tifosi britannici?
“Assolutamente fantastico! Sognavo di farlo fin da quando ho cominciato a muovere i primi passi nell’imponente ombra di Carl Fogarty. Vedevo scene così e desideravo esserne io il protagonista, e oggi, sono arrivato qui ed è successo. Non sono tutti tifosi di Hodgson, naturalmente, ma questa accoglienza per me significa tanto ed è molto speciale”.
- Come sarà il Campionato del Mondo Superbike l’anno prossimo, con le modifiche al regolamento?
“E’ difficile dirlo, perché non so quanto gli altri costruttori sosterranno le squadre ufficiali. Io spero che le squadre ufficiali avranno successo e che le Superbike continueranno ad andare forte. Fa male pensare ad un continuo declino”.
- Deve essere strano per te venire dalle 500 e ritornare ai GP dopo tanti anni…
“E’ strano come si risolvono le cose. Mi sento un po’ preso in giro perché mi ritenevo un buon pilota da due tempi. Nel 1995 ero stato il migliore dei privati alla mia prima stagione, avevo solo 21 anni e vedevo un ottimo futuro davanti a me. Invece è andato tutto storto perché sono salito sulla moto più desiderata del paddock, una Ducati ufficiale, ed è stata la mossa sbagliata perché non ero pronto. Pensavano che fossi la persona giusta, invece non lo ero e ho perso l’ingaggio. Se ti trovi in una situazione dove sei convinto di non poter vincere, allora sicuramente non vinci, e avevo persone intorno che pensavano di essere migliori di me, e lo erano solo perché erano convinte di esserlo. Se pensi di poter battere gli altri, ce la fai. E’ una cosa mentale, ne sono convinto. Troy Bayliss avrà sempre successo perché non gli importa: si diverte. Troy è forte mentalmente. Io mi sento sempre un passo indietro rispetto a Troy. Ero il suo compagno di squadra nel 1999 quando vinse il titolo, e io lo vinsi l’anno dopo. Poi è passato al team Ducati ufficiale, e io sono arrivato un paio di anni dopo. Ha vinto il mondiale, e ora l’ho vinto io. E’ passato alla MotoGP e sta andando bene…”. - Pensi che sarai avvantaggiato visto che hai già corso nei GP?
“Sicuramente, perché so com’è. Ho già corso tre anni in quel campionato, sono andato al GP di Assen e conoscevo praticamente tutti…non mi preoccupa da quel punto di vista”.
- E’ un handicap per il piloti britannici avere un campionato nazionale di Superbike così forte dovendo poi correre nei GP?
“No, non credo, anzi credo sia meglio avere un buon campionato nazionale di Superbike perché la Superbike sarà sempre il serbatoio della MotoGP. Ora non ci sono grandi promesse all’orizzonte, ma quando ce ne saranno, se saranno vincenti in Gran Bretagna poi potrebbero avere un futuro interessante nella MotoGP”.
“A dire la verità è stato molto gentile, e mi ha fatto le congratulazioni. Di solito fa una battuta sarcastica, invece stavolta mi ha detto “Questa gara andrà molto meglio! Si vedeva che eri teso ma so che stavolta non avrai problemi.” E poi mi ha parlato di Holly Jean che è nata martedì scorso, il 2 settembre, perché è la stessa data di nascita della sua prima figlia, Danielle. Ci lega un’incredibile serie di coincidenze: due campioni del mondo, entrambi mancini, provenienti da due città a dieci miglia l’una dall’altra, che hanno cominciato da bambini allo stesso club di motocross…molto strano”.
- Credi che le tue Michelin abbiano fatto la differenza, anche se è mancato il solito grande lavoro di sviluppo?
“La gente pensa che non abbiano fatto molto lavoro di sviluppo, ma io ho fatto tre test per Michelin e loro sono arrivati con 20 pneumatici solo perché non sentivo l’anteriore come avrei voluto. Non avrebbero potuto lavorare di più. Debbono aver costruito 60 gomme da farmi provare, una cosa che non mi era mai successa prima. E non avrebbero neppure avuto bisogno di farlo, perché ero in testa al campionato e stavo andando bene. Però si sono accorti che avevo un problema e si sono messi al lavoro. All’inizio della stagione, il passaggio da Dunlop a Michelin mi preoccupava, invece mi sono trovato subito a mio agio. Sono i migliori pneumatici che abbia mai usato”.
- Sei diventato campione del mondo oggi e papà martedì scorso: come ti sei sentito nelle due occasioni?
“Devo dire che non sono nemmeno paragonabili! Diventare papà è stato molto, molto meglio! Ad essere onesto, non è che mi piacciano molto i neonati ed ero un po’ preoccupato martedì, ma la stranissima sensazione che ho provato quando Kathryn ha partorito non si avvicina a nulla… nemmeno a vincere gara due e diventare campione del mondo, scusate! Su una scala da 1 a 10, 10 era martedì e 1 è oggi, e lo penso veramente”.
- E’ vero che hai comprato una Porsche che guiderai solo ora che hai vinto il mondiale?
“Sì, è vero. Da bambino avevo un’auto giocattolo, una piccola Porsche, ed era il mio sogno. Sono andato a scuola e non ero molto intelligente, così non sono riuscito a superare diversi esami. Ho lasciato la scuola e ho cominciato a fare il muratore, e non speravo più di poterne avere una. Ma poi mi sono detto che se avessi realizzato il mio sogno di vincere un campionato del mondo, mi sarei comprato una Porsche 911 Turbo. Quando ritornerò all’Isola di Man, andrò a ritirarla”.
- Come è stato vincere davanti a 30.000 Union Jack e tifosi britannici?
“Assolutamente fantastico! Sognavo di farlo fin da quando ho cominciato a muovere i primi passi nell’imponente ombra di Carl Fogarty. Vedevo scene così e desideravo esserne io il protagonista, e oggi, sono arrivato qui ed è successo. Non sono tutti tifosi di Hodgson, naturalmente, ma questa accoglienza per me significa tanto ed è molto speciale”.
- Come sarà il Campionato del Mondo Superbike l’anno prossimo, con le modifiche al regolamento?
“E’ difficile dirlo, perché non so quanto gli altri costruttori sosterranno le squadre ufficiali. Io spero che le squadre ufficiali avranno successo e che le Superbike continueranno ad andare forte. Fa male pensare ad un continuo declino”.
- Deve essere strano per te venire dalle 500 e ritornare ai GP dopo tanti anni…
“E’ strano come si risolvono le cose. Mi sento un po’ preso in giro perché mi ritenevo un buon pilota da due tempi. Nel 1995 ero stato il migliore dei privati alla mia prima stagione, avevo solo 21 anni e vedevo un ottimo futuro davanti a me. Invece è andato tutto storto perché sono salito sulla moto più desiderata del paddock, una Ducati ufficiale, ed è stata la mossa sbagliata perché non ero pronto. Pensavano che fossi la persona giusta, invece non lo ero e ho perso l’ingaggio. Se ti trovi in una situazione dove sei convinto di non poter vincere, allora sicuramente non vinci, e avevo persone intorno che pensavano di essere migliori di me, e lo erano solo perché erano convinte di esserlo. Se pensi di poter battere gli altri, ce la fai. E’ una cosa mentale, ne sono convinto. Troy Bayliss avrà sempre successo perché non gli importa: si diverte. Troy è forte mentalmente. Io mi sento sempre un passo indietro rispetto a Troy. Ero il suo compagno di squadra nel 1999 quando vinse il titolo, e io lo vinsi l’anno dopo. Poi è passato al team Ducati ufficiale, e io sono arrivato un paio di anni dopo. Ha vinto il mondiale, e ora l’ho vinto io. E’ passato alla MotoGP e sta andando bene…”. - Pensi che sarai avvantaggiato visto che hai già corso nei GP?
“Sicuramente, perché so com’è. Ho già corso tre anni in quel campionato, sono andato al GP di Assen e conoscevo praticamente tutti…non mi preoccupa da quel punto di vista”.
- E’ un handicap per il piloti britannici avere un campionato nazionale di Superbike così forte dovendo poi correre nei GP?
“No, non credo, anzi credo sia meglio avere un buon campionato nazionale di Superbike perché la Superbike sarà sempre il serbatoio della MotoGP. Ora non ci sono grandi promesse all’orizzonte, ma quando ce ne saranno, se saranno vincenti in Gran Bretagna poi potrebbero avere un futuro interessante nella MotoGP”.
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