Ci occupiamo stavolta di uno degli aspetti più caratterizzanti della MotoGP moderna: ha stravolto l'aspetto delle moto, ma rappresenta anche un cambiamento epocale perché ha introdotto per la prima volta forze non fornite dalle gomme. Analizziamo insieme come funziona e come verrà regolamentata dal 2027
Parliamo dell’aerodinamica dopo l’elettronica non solo perché è arrivata storicamente dopo sulle moto, ma anche perché in un certo senso lavora in senso opposto: dove l’elettronica per tenere la moto in traiettoria taglia la potenza, l’aerodinamica lo fa generando forze ulteriori rispetto a quelle garantite dagli pneumatici e dalla dinamica della moto. Più lavora l’aerodinamica, meno deve farlo l’elettronica.
Anche in questo caso c’è tanto da dire; e quel tanto è successo tutto in pochi anni. Il lavoro aerodinamico è stato sempre e soltanto volto a ridurre la resistenza (drag) fino a tutto il 2015 – ricorderete forse la primissima Desmosedici di Capirossi con l’enorme cupolino; poi già nel 2010, ancora in èra Preziosi, Ducati provò sulle Desmosedici di Hayden e Stoner delle piccole ali ai lati della carena, come soluzione per limitare l’effetto impennata sulle gobbe della pista del Sachsenring, che fu di fatto approvata da entrambi i piloti ma scomparve dalla gara successiva per non tornare più.
Nel 2016 il solito Gigi Dall’Igna le introdusse in modo più sistematico e complesso; di lì a poco anche Aprilia entrò ufficialmente in campo, portando un ex F1 come Massimo Rivola e mettendo un ingegnere aerodinamico come Romano Albesiano a capo del progetto tecnico: i risultati si sono visti, perché le due italiane sembrano oggi le più sofisticate dal punto di vista aerodinamico; forse i giapponesi hanno bisogno di più tempo per strutturarsi, come abbiamo già visto ai tempi dell’arrivo dell’elettronica.
Aerodinamica: una scienza "quasi esatta"
Cominciamo col dire che l’aerodinamica è una scienza “quasi esatta”, nel senso che è così complessa da essere difficile da studiare. L’aria è un fluido che si scalda e si raffredda velocemente, si comprime, si comporta in modo diverso nell’immediata vicinanza di un profilo e lontano da esso e insomma è, nella sua prevedibilità, piuttosto imprevedibile.
Questa difficoltà, ormai piuttosto ben compresa e maneggiata nelle auto, non lo è altrettanto sulle moto. Se l’auto ha un assetto praticamente fisso sull’asfalto e si può descrivere in regime di “piccoli spostamenti” rispetto all’asse, la moto compie infatti grandi spostamenti di piega e beccheggio e in più risente molto dei movimenti del pilota. Di conseguenza, nelle moto l’aerodinamica non punta a schiacciare il mezzo all’asfalto come sulle auto, ma a mantenere il più possibile la ruota anteriore a contatto con la pista.
Se guardiamo le odierne F1, queste sono ormai di una complessità aerodinamica tale da renderle comprensibili solo guardando le simulazioni di fluidodinamica computazionale. I principi a cui si rifanno sono tuttavia sempre due: le ali generano deportanza, cioè spinta verso il basso, e il fondo genera effetto-suolo, che è un altro tipo di deportanza affidato non a un’ala rovesciata ma a un convergente-divergente (effetto Venturi).
La fisica dell'ala e dell'effetto-suolo
Facciamo una micro-parentesi per dire che tutti questi fenomeni si spiegano in termini energetici: l’energia associata al flusso dell’aria (rispetto alla moto: velocità relativa) è descritta dal cosiddetto trinomio di Bernoulli: ρgh + ½ v2/g + p = costante. Questa formula esprime quantitativamente il fatto che l’energia non si crea e non si distrugge, ma i termini che la descrivono (rispettivamente energia potenziale legata alla quota, energia cinetica ed energia legata alla pressione) possono convertirsi uno nell’altro. Trascurando il termine legato alla quota, il termine cinetico e il termine pressorio hanno quindi somma costante: ovvero, se all’interno di una vena fluida la velocità tende ad aumentare, allora la pressione tenderà a diminuire.
Questo principio è sfruttato in F1 da tempo, in particolare quando si introdusse l’effetto suolo, che ha il vantaggio di generare carico aerodinamico senza quasi aggiungere resistenza, a differenza di quanto fanno i profili alari. L’arrivo del diffusore sulla Lotus 79 del 1978 è stato dirompente: la downforce aerodinamica è passata da meno di 400 kg a oltre 1.200 kg in un colpo solo, mettendo in crisi assetti, pneumatici e piloti. In MotoGP gli effetti non sono per ora stati così forti, proprio per la complessità della moto che rende difficile sfruttare l’effetto-suolo. Ma se guardiamo alla RS-GP 2024, vediamo che il fianco della carena è stato sviluppato proprio con questo scopo, come del resto il profilo sotto le pinze freno, ancora più importante perché genera deportanza direttamente sulla ruota, non filtrata dalle sospensioni: per quanto piccolo, l'effetto suolo è dunque un effetto importante anche sulle moto e su di esso si è iniziato a lavorare.
Aprilia ha introdotto questo concetto già nel 2023, seguita da Honda quest’anno – magari non lo si è notato perché meno sviluppato e perché Honda ha altri problemi; ma ne approfittiamo per dire che l’aerodinamica è ormai un elemento in più che entra nel progetto e nella messa a punto di una moto, e rende più difficile arrivare a un risultato ottimale. Se immaginiamo i tecnici di MotoGP come giocolieri, fino agli Anni 80 facevano girare tre sole palle: motore, ciclistica, gomme. Con l’arrivo della MotoGP si è aggiunta una quarta palla, l’elettronica, e da qualche anno una quinta, l’aerodinamica. È chiaro che chi insegue fa sempre più fatica.
Ali, alette e alettoni
Torniamo alla componente più vistosa del pacchetto aerodinamico: le superfici alari. Cominciamo col dire che le superfici alari generano non solo deportanza (downforce), ma anche resistenza (drag). In altre parole, frenano la moto. Questo è però un problema relativo: basta vedere le velocità massime del Mugello, in continua crescita. Le attuali MotoGP sono così potenti che alla fine del rettilineo del Mugello stanno ancora accelerando. I motori hanno margine, si largheggia con la potenza contando che l’elettronica intervenga quando serve e in fondo al rettilineo il motore sta ancora prevalendo su tutte le resistenze, di rotolamento e aerodinamiche. Le moto prese nel loro insieme sono infatti corpi tozzi, che non riescono a richiudere perfettamente le linee di flusso alle loro spalle tanto è vero che lasciano una scia.
Per il momento, quindi, trascuriamo la resistenza e concentriamoci sulla deportanza, che è la vera novità. La peculiarità della MotoGP rispetto alla F1 è l’assetto in curva, con gli elevatissimi angoli di piega a cui siamo ormai abituati. In queste condizioni, dato che le forze di deportanza sono perpendicolari all'ala, le superfici alari orizzontali non generano più forze dirette verso il basso, ma tendono a spingare verso l’esterno: questo spiega perché sulle MotoGP non sono orizzontali, ma inclinate verso il basso, in modo che a moto piegata tendano sempre a spingere verso il basso, aumentando il carico sulla gomma e quindi le forze di aderenza utili ad accelerare, frenare e curvare.
Le ali frontali sono le più esposte ed efficienti (quindi anche le più soggette a patire le scie): quando la moto si trova in rettilineo, si stima che queste ali generino oltre 20 kg di downforce per tenere la ruota anteriore per terra. Sfruttando il beccheggio della moto (affondamento in frenata) nella staccata in fondo al rettilineo, le stesse appendici frontali cambiano il loro angolo di incidenza e diventano aerofreni, aiutando gli impianti Brembo a ridurre gli spazi di arresto. La soluzione biplano (introdotta per prima da Ducati) pare particolarmente efficace per compiere le funzioni di anti-wheeling e aerofreno.
I problemi della piega
Veniamo alla piega. Qui si sommano tre effetti: la velocità è più bassa che in rettilineo, le ali hanno posizioni diverse rispetto al flusso d’aria e il pilota si sposta verso l’interno della curva. Grazie al fatto che le ali sono inclinate verso il basso, e che il pilota copre l’ala interna, alla massima piega l’ala interna annulla quasi completamente il suo effetto (arrivando anche allo stallo), mentre quella esterna rimane quasi parallela all’asfalto generando carico: la maggiore aderenza della gomma anteriore, in particolare, aiuta a curvare. Al contrario, un’ala orizzontale in piega spingerebbe verso l’esterno, creando una forza centrifuga che costringerebbe la gomma a consumare risorse preziose per curvare e accelerare.
Questi fenomeni si ripetono elemento per elemento, con qualche differenza legata alle scelte dei progettisti. Aprilia come abbiamo visto cerca effetto suolo con l'appendice sotto le pinze freno e una carena estesa, che però condiziona molto l’intera moto (non può essere forata, gli sfoghi dei radiatori si alzano) mentre Ducati usa dei convogliatori per accelerare e convogliare la vena d’aria anteriore sotto le pance carena. Pare anche che in rettilineo rendano più difficile succhiare la scia generando turbolenza.Sul codino, Ducati usa delle “pinne” che agiscono solo quando la moto è in piega, mentre Aprilia e poi KTM hanno mostrato un alettone di tipo automobilistico orizzontale che lavora a moto dritta, quando il pilota si sposta di sella per iniziare la staccata. Un altro aspetto che caratterizza le ultime MotoGP, rendendole meno attraenti rispetto alle loro antenate, è la marcata distanza della carena dalla ruota, che serve ad evacuare efficacemente l’aria che ha impattato contro i radiatori.
Più forze in gioco, più fatica alla guida
L’aerodinamica sta spostando sempre più in là il limite delle moto, permettendo accelerazioni più brucianti, frenate più brevi e percorrenze in curva ancora più veloci, arrivando lentamente a superare il limite fisico - nel senso del limite atletico - di chi questi mezzi li deve gestire in pista.
Questo perché l’elevata efficienza aerodinamica aumenta come abbiamo visto l'intensità delle forze agenti sulla moto. Inoltre causa maggior resistenza sia nei cambi di direzione ad alta velocità che nei curvoni, e piegare la moto per impostare la curva è diventato più difficile. Il risultato è che i piloti, per quando tirati fino all’ultimo grammo di massa muscolare disponibile, stanno accusando sempre più problemi fisici con numerosi casi di sindrome compartimentale.
Inoltre è diventato difficile superare uscendo dalla scia all’ultimo, perché l’effetto delle scie disturba troppo in frenata: abbiamo visto negli ultimi mesi diversi tamponamenti più o meno sfiorati per problemi di questo tipo. I piloti devono uscire molto dalla scia per avere “aria pulita”, ma così facendo si allontanano dalla traiettoria ideale.
Orizzonte 2027: ali più strette, spettacolo più largo
Su tutti questi aspetti interverrà il regolamento 2027, che vedrà un approccio organico al problema dopo le incertezze iniziali che hanno prima vietato le ali, poi riammesse fissando però una larghezza massima e obbligandole ad avere un bordo esterno arrotondato, oltre a limitare a due il numero di pacchetti aerodinamici in tutto l’anno per contenere i costi.
Dal 2027 tutta l’aerodinamica (aerobody) sarà più strettamente controllata, e i suoi effetti ridotti. La larghezza della parte superiore della carenatura anteriore sarà più stretta di 50 mm e il muso sarà arretrato di 50 mm, riducendo gli effetti aerodinamici dove conta, ovvero sui rettilinei e nelle zone di frenata, per favorire i sorpassi. Nella parte posteriore, l’aerodinamica alle spalle del pilota, attualmente libera, dal 2027 farà parte dell’omologazione e ai team sarà consentito di aggiornarla una sola volta a stagione. In questo modo si spera di venire incontro ai piloti salvaguardando un certo grado di creatività aerodinamica.
Questo è infatti il tema al cuore di tutti i regolamenti: contenere i costi, promuovere la competitività di più squadre possibile e salvare la creatività dei tecnici. Ci riuscirà il nuovo regolamento? Lo vedremo. Per quanto ci riguarda, appuntamento con la prossima puntata dedicata a due elementi molto più "classici": ciclistica e pneumatici. Non mancate!
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