Motogp
Uno speed date coi piloti Suzuki
Cinque minuti contati di intervista, a raffica, con Toni Elias, Alex Rins e Andrea Iannone. Alla ricerca di domande davvero intelligenti e cattive da fare e con pochissimo tempo a disposizione. Vediamo com'è andata
Intervistare una persona è un’arte. Bisogna entrarci in sintonia, cercare di scavare in profondità, andare oltre le banalità e i messaggi che chi sta nelle retrovie (uffici stampa, relazioni esterne) vuole far veicolare. Ma per fare questo ci vogliono due fattori cruciali: il personaggio giusto e il tempo. Suzuki, in occasione dell’ultimo Eicma, ha escogitato un sistema tanto diabolico quanto divertente: ha messo a disposizione di me e altri colleghi tre suoi piloti di punta per una sorta di speed date giornalistico: brevi interviste di 5 minuti, al lordo delle presentazioni e degli immancabili preliminari, interrotte dall’implacabile suono di un campanello. Sarà stato amore a prima vista?
TRE PESCI GROSSI
Le prede erano dei pesci grossi del panorama motociclistico: Toni Elias (iridato Moto2 nel 2010 e campione AMA con la Suzuki) e la coppia di piloti che corrono in MotoGP, Alex Rins e Andrea Iannone. La mia tattica? Evitare di essere ovvio. Quindi, oltre alle domande sulla stagione appena finita e su quella 2018 che di fatto è già iniziata, ho cercato di giocarmi il tutto per tutto. Cinque minuti, al netto delle presentazioni, sono un battito d’ali, fidatevi. Le ovvietà ve le risparmio, le potete benissimo immaginare. Quindi andiamo dritti al sodo.
TONI ELIAS, CAMPIONE ANCHE A PAROLE
Toni Elias è il veterano del gruppo, almeno per anzianità (tra pochi mesi compie 35 anni). È spigliato, molto simpatico. Si vede che è uno che ci sa fare. Un pilota è sempre il miglior pr di se stesso: avere un buon rapporto coi giornalisti è fondamentale per creare un’immagine pubblica. Toni, quanto è noioso parlare coi giornalisti, nel delirio di Eicma? Lui ride e attacca: “Ma no dai, fa parte del mio lavoro. Poi finché siete simpatici va tutto bene…”. Vero che sei stato il pilota che Marc Marquez ha copiato per il suo stile di guida? “Vero, e mi fa piacere che me lo chiedi, perché all’epoca per il mio stile col gomito a terra sono stato molto criticato. Però non l’ho inventato io: intorno al 1993-94 rimasi colpito dal modo in cui guidava Jean Philippe Ruggia, uno dei primi a buttarsi in curva in quel modo lì”.
Quindi alla fine Marquez ti ha copiato e vinto più di te? “Vero (ride, ndr). E ricordo anche quando lui, che era ragazzino, si aggirava nel paddock chiedendomi: perché hai fatto così? Come mai pieghi in questo modo? Lui è sempre stato una spugna, abilissimo a carpire tutti i segreti altrui. Ed è anche così che si diventa campioni”. Poi ci metto la cattiveria: Toni, quest’anno hai vinto col team Suzuki-Yoshimura il campionato Superbike americano. Come ci si sente a essere l’unico pilota Suzuki che vince qualcosa? Lui prima ride poi rientra nei ranghi: “Sono solo contento per il team”, risponde secco ma gentile. Anche lui, come gli altri, è prima di tutto un pilota Suzuki. Avrei ancora molto da chiedergli, ma il campanello ci interrompe.
ALEX RINS, L’EDUCAZIONE PRIMA DI TUTTO
Piuttosto seccato per aver parlato meno del previsto (il mio cronometro segna due minuti e 50 secondi, mi lamento con l’ufficio stampa, il cui segnatempo è vittima della contrazione temporale gravitazionale. Ma alla fine gli arbitri sono loro. Sotto un altro. E parto con una gaffe: “Ciao Toni”. Peccato che Toni era appena passato. Mi correggo subito: “Chiedo scusa, Alex”. Alex Rins è uno dei classici prodotti della nuova scuola spagnola dei piloti replicanti, tanto efficaci in pista quanto ben impostati nelle apparizioni pubbliche: sorriso sulle labbra, dichiarazioni così così, insomma cose che non regalano titoloni a effetto, ma comunque efficaci e circostanziate, una timidezza piuttosto evidente quando fa fatica a guardarti dritto negli occhi. Di sottofondo, una grandissima educazione e un estremo rispetto (ai limiti della deferenza) nei confronti del giornalista. Alex, hai appena finito il tuo anno da Rookie… “In realtà manca ancora una gara”, dice lui, pensando a Valencia. Ma com’è andato il primo anno in Suzuki? “Bene, nonostante il brutto infortunio alla mano che mi ha tenuto fuori per quattro gare e che mi ha penalizzato per altre due al rientro”.
Com’è stato il salto di categoria dalla Moto2? “Non è stato affatto facile, in MotoGP c’è tanta elettronica che lo scorso anno non dovevo preoccuparmi di gestire”. E il prossimo anno cosa pensi di fare? “Devo ancora imparare molto e fare esperienza, spero di fare qualche podio”. Ma il gap di risultati di Suzuki rispetto ai big, come lo vedi? “La moto non ha niente da invidiare alle altre ufficiali, penso che pecchiamo di inesperienza, ma è solo questione di tempo. Il team, Davide Brivio e i giapponesi mi fanno sentire bene, quasi in famiglia”. Din din din, si passa a Iannone.
ANDREA IANNONE E IL PROVOCATORE
Capisco che sia difficile, al termine di una stagione che definire negativa è un eufemismo, con l’ultima gara e i test alle porte, affrontare un gruppo di giornalisti a cui ripetere le solite cose. Soprattutto se poi incontri uno “ignorante” come me. Andrea Iannone arriva all’appuntamento molto concentrato sui messaggi che riceve sul suo telefonino. Sono l’ultimo “scoglio” della giornata. Tutti gli avranno chiesto le stesse cose, immagino. Allora parto con la strategia inversa: fatti una domanda a piacere. “C’è qualcosa che i miei colleghi oggi non ti hanno chiesto?”. Lui guarda davanti a sé e dopo una lunga pausa (teniamo sempre presente che abbiamo 5 minuti scarsi di fronte a noi) scuote la testa e dice: “No, sinceramente no”. Archiviato quest’anno, cosa possiamo aspettarci dal 2018? “Vorrei un campionato all’altezza delle nostre aspettative”. E quali sono i reali valori di questa Suzuki e di Iannone? “Quelli che abbiamo visto quest’anno, anche se abbiamo lavorato molto nell’ombra in vista del 2018”.
Capisco che gli argomenti sono finiti, che mettere il dito nella piaga della stagione 2017 non mi farà tirare fuori da Iannone niente per cui i lettori si strapperanno i capelli dall’entusiasmo. E allora mi gioco la domanda di gossip, senza tirare mai fuori il nome di Belen: “Quanto hanno pesato i problemi della vita privata sull’andamento della stagione?”. Iannone si blocca e con sguardo di sufficienza dice: “Niente”. Però è un dato di fatto che se uno ha una vita privata tormentata, non può avere la necessaria tranquillità per dare il 100 per cento in pista. “Assolutamente no – prosegue masticando l’immancabile gomma – serve solo per fra scrivere voi e basta”. Va bene Andrea, ma allora di cosa parliamo? Della vita privata no, della stagione 2017 abbiamo detto tutto, sul 2018 mi sembri stringato. E allora concludiamo stancamente su Valencia, sul “sono contento per come stiamo lavorando” e su quello che tutti sanno. Piuttosto che fare un’intervista moscia, meglio non farla. Suona il campanello, ciao ciao e torniamo a guardare lo smartphone.
CON CHI ESCO DOMANI?
Alla fine di questo speed date, con chi vorrei andare a bere una birra? La prima scelta resta Elias, la seconda Rins. Iannone lo lascio a Belen. Ma alla fine è meglio così, anche per lui.
TRE PESCI GROSSI
Le prede erano dei pesci grossi del panorama motociclistico: Toni Elias (iridato Moto2 nel 2010 e campione AMA con la Suzuki) e la coppia di piloti che corrono in MotoGP, Alex Rins e Andrea Iannone. La mia tattica? Evitare di essere ovvio. Quindi, oltre alle domande sulla stagione appena finita e su quella 2018 che di fatto è già iniziata, ho cercato di giocarmi il tutto per tutto. Cinque minuti, al netto delle presentazioni, sono un battito d’ali, fidatevi. Le ovvietà ve le risparmio, le potete benissimo immaginare. Quindi andiamo dritti al sodo.
TONI ELIAS, CAMPIONE ANCHE A PAROLE
Toni Elias è il veterano del gruppo, almeno per anzianità (tra pochi mesi compie 35 anni). È spigliato, molto simpatico. Si vede che è uno che ci sa fare. Un pilota è sempre il miglior pr di se stesso: avere un buon rapporto coi giornalisti è fondamentale per creare un’immagine pubblica. Toni, quanto è noioso parlare coi giornalisti, nel delirio di Eicma? Lui ride e attacca: “Ma no dai, fa parte del mio lavoro. Poi finché siete simpatici va tutto bene…”. Vero che sei stato il pilota che Marc Marquez ha copiato per il suo stile di guida? “Vero, e mi fa piacere che me lo chiedi, perché all’epoca per il mio stile col gomito a terra sono stato molto criticato. Però non l’ho inventato io: intorno al 1993-94 rimasi colpito dal modo in cui guidava Jean Philippe Ruggia, uno dei primi a buttarsi in curva in quel modo lì”.
Quindi alla fine Marquez ti ha copiato e vinto più di te? “Vero (ride, ndr). E ricordo anche quando lui, che era ragazzino, si aggirava nel paddock chiedendomi: perché hai fatto così? Come mai pieghi in questo modo? Lui è sempre stato una spugna, abilissimo a carpire tutti i segreti altrui. Ed è anche così che si diventa campioni”. Poi ci metto la cattiveria: Toni, quest’anno hai vinto col team Suzuki-Yoshimura il campionato Superbike americano. Come ci si sente a essere l’unico pilota Suzuki che vince qualcosa? Lui prima ride poi rientra nei ranghi: “Sono solo contento per il team”, risponde secco ma gentile. Anche lui, come gli altri, è prima di tutto un pilota Suzuki. Avrei ancora molto da chiedergli, ma il campanello ci interrompe.
ALEX RINS, L’EDUCAZIONE PRIMA DI TUTTO
Piuttosto seccato per aver parlato meno del previsto (il mio cronometro segna due minuti e 50 secondi, mi lamento con l’ufficio stampa, il cui segnatempo è vittima della contrazione temporale gravitazionale. Ma alla fine gli arbitri sono loro. Sotto un altro. E parto con una gaffe: “Ciao Toni”. Peccato che Toni era appena passato. Mi correggo subito: “Chiedo scusa, Alex”. Alex Rins è uno dei classici prodotti della nuova scuola spagnola dei piloti replicanti, tanto efficaci in pista quanto ben impostati nelle apparizioni pubbliche: sorriso sulle labbra, dichiarazioni così così, insomma cose che non regalano titoloni a effetto, ma comunque efficaci e circostanziate, una timidezza piuttosto evidente quando fa fatica a guardarti dritto negli occhi. Di sottofondo, una grandissima educazione e un estremo rispetto (ai limiti della deferenza) nei confronti del giornalista. Alex, hai appena finito il tuo anno da Rookie… “In realtà manca ancora una gara”, dice lui, pensando a Valencia. Ma com’è andato il primo anno in Suzuki? “Bene, nonostante il brutto infortunio alla mano che mi ha tenuto fuori per quattro gare e che mi ha penalizzato per altre due al rientro”.
Com’è stato il salto di categoria dalla Moto2? “Non è stato affatto facile, in MotoGP c’è tanta elettronica che lo scorso anno non dovevo preoccuparmi di gestire”. E il prossimo anno cosa pensi di fare? “Devo ancora imparare molto e fare esperienza, spero di fare qualche podio”. Ma il gap di risultati di Suzuki rispetto ai big, come lo vedi? “La moto non ha niente da invidiare alle altre ufficiali, penso che pecchiamo di inesperienza, ma è solo questione di tempo. Il team, Davide Brivio e i giapponesi mi fanno sentire bene, quasi in famiglia”. Din din din, si passa a Iannone.
ANDREA IANNONE E IL PROVOCATORE
Capisco che sia difficile, al termine di una stagione che definire negativa è un eufemismo, con l’ultima gara e i test alle porte, affrontare un gruppo di giornalisti a cui ripetere le solite cose. Soprattutto se poi incontri uno “ignorante” come me. Andrea Iannone arriva all’appuntamento molto concentrato sui messaggi che riceve sul suo telefonino. Sono l’ultimo “scoglio” della giornata. Tutti gli avranno chiesto le stesse cose, immagino. Allora parto con la strategia inversa: fatti una domanda a piacere. “C’è qualcosa che i miei colleghi oggi non ti hanno chiesto?”. Lui guarda davanti a sé e dopo una lunga pausa (teniamo sempre presente che abbiamo 5 minuti scarsi di fronte a noi) scuote la testa e dice: “No, sinceramente no”. Archiviato quest’anno, cosa possiamo aspettarci dal 2018? “Vorrei un campionato all’altezza delle nostre aspettative”. E quali sono i reali valori di questa Suzuki e di Iannone? “Quelli che abbiamo visto quest’anno, anche se abbiamo lavorato molto nell’ombra in vista del 2018”.
Capisco che gli argomenti sono finiti, che mettere il dito nella piaga della stagione 2017 non mi farà tirare fuori da Iannone niente per cui i lettori si strapperanno i capelli dall’entusiasmo. E allora mi gioco la domanda di gossip, senza tirare mai fuori il nome di Belen: “Quanto hanno pesato i problemi della vita privata sull’andamento della stagione?”. Iannone si blocca e con sguardo di sufficienza dice: “Niente”. Però è un dato di fatto che se uno ha una vita privata tormentata, non può avere la necessaria tranquillità per dare il 100 per cento in pista. “Assolutamente no – prosegue masticando l’immancabile gomma – serve solo per fra scrivere voi e basta”. Va bene Andrea, ma allora di cosa parliamo? Della vita privata no, della stagione 2017 abbiamo detto tutto, sul 2018 mi sembri stringato. E allora concludiamo stancamente su Valencia, sul “sono contento per come stiamo lavorando” e su quello che tutti sanno. Piuttosto che fare un’intervista moscia, meglio non farla. Suona il campanello, ciao ciao e torniamo a guardare lo smartphone.
CON CHI ESCO DOMANI?
Alla fine di questo speed date, con chi vorrei andare a bere una birra? La prima scelta resta Elias, la seconda Rins. Iannone lo lascio a Belen. Ma alla fine è meglio così, anche per lui.