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Motogp
MotoGP: perché bisogna cambiare mentalità
di Paola Baronio
il 07/09/2010 in Motogp
La decisione di non fermare le gare domenica a Misano è stata negativa per l'immagine del nostro sport. Forse è giunto il momento che organizzatori dei campionati e gestori dei circuiti pensino a nuove regole che escano da logiche ormai obsolete
Le convenzioni dell'informazione vogliono che oggi sia il giorno dei commenti ai fatti della domenica e raccontati il lunedì.
Solo che domenica a Misano c'è scappato il morto e oggi un ragazzo di 19 anni di grande talento e che non c'è più ci sorride dalle prime pagine dei giornali che dedicano all'accaduto commenti di ogni tipo, compreso quello dell'immancabile psichiatra con girocollo e capello brizzolato.
La presenza della morte autorizza a considerazioni che esulano dal contesto nel quale è avvenuto l'incidente, con un ritorno d'immagine quasi sempre negativo per il nostro sport che invece ha una grande tradizione e una sua etica che non può essere svilita in un'intervista telefonica di pochi minuti con l'esperto tuttologo di turno.
Solo che domenica a Misano c'è scappato il morto e oggi un ragazzo di 19 anni di grande talento e che non c'è più ci sorride dalle prime pagine dei giornali che dedicano all'accaduto commenti di ogni tipo, compreso quello dell'immancabile psichiatra con girocollo e capello brizzolato.
La presenza della morte autorizza a considerazioni che esulano dal contesto nel quale è avvenuto l'incidente, con un ritorno d'immagine quasi sempre negativo per il nostro sport che invece ha una grande tradizione e una sua etica che non può essere svilita in un'intervista telefonica di pochi minuti con l'esperto tuttologo di turno.
Noi eravamo al Santamonica e abbiamo raccontato su motonline.com la morte di Shoya Tomizawa praticamente in diretta, abbiamo sentito i pareri a caldo dei piloti e quelli più ragionati dei responsabili di tutti i settori coinvolti nell'organizzazione del motomondiale. E ovviamente abbiamo discusso l'accaduto con i colleghi in redazione una volta tornati da questa brutta trasferta.
Siamo tutti concordi nel ritenerlo una tragica fatalità e che il rischio sia parte integrante di uno sport che ha scritto le sue pagine più esaltanti proprio quando l'azzardo è stato estremo, quando si sbilancia il rapporto tra controllo e follia.
Siamo tutti concordi nel ritenerlo una tragica fatalità e che il rischio sia parte integrante di uno sport che ha scritto le sue pagine più esaltanti proprio quando l'azzardo è stato estremo, quando si sbilancia il rapporto tra controllo e follia.
La coscienza civile della società nel 2010 impone che di fronte alla morte ci si fermi
Secondo me però a Misano la gara della MotoGP andava sospesa e su questo punto scattano le divergenze di opinioni anche nell'ambito di un gruppo di lavoro coeso come il nostro. Il collega e pilota Andrea Padovani mi ricorda che chi va in pista si assume tutte le responsabilità che derivano dalla pratica di uno sport pericoloso, compresa quella che si possa perdere la vita.
Padovani è tra quelli che ritiene che gli incidenti gravi e la morte non debbano interferire con le dinamiche della gara. "E' così che funziona, sono le regole del gioco", mi sintetizza Andrea che la pensa come il grande Giacomo Agostini. "Certo, io sono della vecchia guardia", premette il Pado.
Ecco, secondo me i tempi sono cambiati e la sensibilità corrente ora considera inaccettabili certe logiche. Nel bene e nel male siamo diversi da 40-50 anni fa. Abbiamo una reattività e reazioni più acute rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto e che avevano con la morte un'assiduità a noi fortunatamente sconosciuta. La coscienza civile della società nel 2010 impone che di fronte alla morte ci si fermi. Punto. Non a caso i giovani piloti giunti sul podio hanno tutti dichiarato che i loro risultati non contavano niente di fronte a quanto era successo.
E allora perché correre? Perché farlo quella domenica? Non sarebbe stato meglio annullare la gara, o rimandarla?
Non me la sento di questionare sulle dinamiche di certe decisioni, prese in condizioni estreme, con tempi ridotti. Senza punti di riferimento davvero fermi, circostanziati. Non mi sembra giusto.
Prendo però atto che l'effetto di avere disputato le gare è stato nefasto e che si stanno scatenando un mare di polemiche pretestuose che recano un grave danno d'immagine alla MotoGP. Azzardo a dire che con il senno di poi non so se gli uomini dell'organizzazione che domenica, dopo essersi guardati negli occhi, hanno deciso di concerto di fare proseguire il programma di gare, oggi sarebbero altrettanto compatti.
E mi domando se non sia il caso di pensare a un codice di comportamento da applicare in casi come quello di domenica. A nuovi regolamenti che tengano conto dell'effetto di certe decisioni non solo nell'immediato. Che tengano conto della sensibilità della gente, del contesto anche mediatico con il quale si misura il motomondiale.
Non è facile, bisogna entrare in tanti aspetti e magari ragionare su molte ipotesi. Ma forse sono maturati i tempi per rivedere certe mentalità e certe "leggi".
E se non si vogliono prendere in considerazione gli aspetti legati all'emotività e alla sensibilità, si considerino almeno, cinicamente, gli aspetti pratici: quanto sta costando, in termini di immagine, questa gestione della morte di Shoya Tomizawa?
Padovani è tra quelli che ritiene che gli incidenti gravi e la morte non debbano interferire con le dinamiche della gara. "E' così che funziona, sono le regole del gioco", mi sintetizza Andrea che la pensa come il grande Giacomo Agostini. "Certo, io sono della vecchia guardia", premette il Pado.
Ecco, secondo me i tempi sono cambiati e la sensibilità corrente ora considera inaccettabili certe logiche. Nel bene e nel male siamo diversi da 40-50 anni fa. Abbiamo una reattività e reazioni più acute rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto e che avevano con la morte un'assiduità a noi fortunatamente sconosciuta. La coscienza civile della società nel 2010 impone che di fronte alla morte ci si fermi. Punto. Non a caso i giovani piloti giunti sul podio hanno tutti dichiarato che i loro risultati non contavano niente di fronte a quanto era successo.
E allora perché correre? Perché farlo quella domenica? Non sarebbe stato meglio annullare la gara, o rimandarla?
Non me la sento di questionare sulle dinamiche di certe decisioni, prese in condizioni estreme, con tempi ridotti. Senza punti di riferimento davvero fermi, circostanziati. Non mi sembra giusto.
Prendo però atto che l'effetto di avere disputato le gare è stato nefasto e che si stanno scatenando un mare di polemiche pretestuose che recano un grave danno d'immagine alla MotoGP. Azzardo a dire che con il senno di poi non so se gli uomini dell'organizzazione che domenica, dopo essersi guardati negli occhi, hanno deciso di concerto di fare proseguire il programma di gare, oggi sarebbero altrettanto compatti.
E mi domando se non sia il caso di pensare a un codice di comportamento da applicare in casi come quello di domenica. A nuovi regolamenti che tengano conto dell'effetto di certe decisioni non solo nell'immediato. Che tengano conto della sensibilità della gente, del contesto anche mediatico con il quale si misura il motomondiale.
Non è facile, bisogna entrare in tanti aspetti e magari ragionare su molte ipotesi. Ma forse sono maturati i tempi per rivedere certe mentalità e certe "leggi".
E se non si vogliono prendere in considerazione gli aspetti legati all'emotività e alla sensibilità, si considerino almeno, cinicamente, gli aspetti pratici: quanto sta costando, in termini di immagine, questa gestione della morte di Shoya Tomizawa?
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