Motogp
Pedrosa, campione che sa soffrire
Tre titoli consecutivi per il ventenne spagnolo che correrà il prossimo anno nella MotoGP. Una carriera nel segno della precocità ma anche della lotta al dolore: nel 2003 le caviglie fratturate, quest’anno la corsa con la spalla lesionata
Dani Pedrosa regge commosso la bandiera spagnola. Il campione della 250 ha superato con questo successo un momento difficile iniziato a Motegi e che rischiava di vanificare i risultati dell'intera stagione
Phillip Island (Aus) - Vince e piange, e sappiamo il perché. Il suo momento no, iniziato dopo la caduta di Motegi, con la spalla che gli faceva male, molto più di quello che si sapesse, è finito in un istante: quando ha visto Stoner a terra. Lì si è riaccesa la luce di un pilota che da tre anni è campione del mondo. Non uno qualunque, ma un sicuro talento.
I numeri ci aiutano: classe 1985, vent'anni appena compiuti, 76 partenze in Gp, 22 vittorie (14 in 250), tre mondiali consecutivi (2 in 250), 39 podi, 17 pole, 18 giri veloci in gara, 1147 punti.
Debutto in Giappone nel 2001, e nessuno si accorse del suo talento, ma un anno dopo, nella stessa gara, la prima pole. Il più giovane campione del mondo della 250 a 19 anni e 18 giorni, 21 gare prima di compiere 20 anni: un ruolino di marcia da paura.
La paura che forse ha avuto prima della vittoria di Phillip Island, quando Stoner sembrava volare e lui, la paura che forse avrà il prossimo anno quando correrà con la Honda MotoGp, pilota ufficiale. Ma lui la paura l'ha sempre vinta, come quando vinceva con le minimoto, oppure quando emergeva dalle selezioni della Movistar Activa Cup, con la sapiente regia di Alberto Puig, il suo scopritore e manager, il padre padrone di questo ragazzo catalano che a vederlo fa tenerezza.
Puig è un ex pilota che era l'opposto di Daniel: irruento e creativo, e al suo pilota ha chiesto di non essere come lui.
Vince ma non incanta, forse. Ma noi abbiamo negli occhi Rossi e la sua solare classe. Pedrosa è più tattico, meno evidente, ma sempre concreto. E poi dopo la vittoria si accontenta di una bandierina e una maglietta. Non ha le coreografie di Vale e nemmeno il suo carisma, ma vince, eccome. Ed è giovanissimo, si sa sacrificare fino all'incredibile, sa soffrire (e lo ha dimostrato quando dopo pochi mesi era in stampelle, pronto a salire sulla 250 dopo essersi spezzato due caviglie, proprio a Phillip Island nel 2003) e fa soffrire. Gli avversari. E, inevitabile, arriva il trionfo.
Ma come nasce una vittoria mondiale, la terza di fila? Qui Pedrosa per la prima volta, si apre senza incertezze. Ad esempio, come si affronta un "match ball" decisivo? "Prima della gara avevo anche pensato alla possibilità di tornare a casa con il titolo, però ho preferito pensare solo alla gara. Infatti a a me questa pista non è mai piaciuta e sabato sera, dopo le prove ero davvero preoccupato".
- Come mai?
"Non sono riuscito a trovare una buona messa a punto, mi sembrava di non riuscire ad avere un gran feeling con la mia moto. In gara è stato diverso: avevo un gran motore e l'ho sfruttato al meglio. Sapevo che la mia moto era più veloce di quella di Porto, quindi volevo solo stargli incollato fino all'ultimo curvone".
- Quando hai fatto questa scelta?
"Quando ho visto cadere Stoner che è caduto perché stava spingendo troppo all'inizio della gara".
- Cosa hai pensato quando l'hai visto a terra?
"Che dovevo impedire a Porto di andarsene. Sapevo che ci avrebbe provato e che poteva farcela. Quindi sono partito all'attacco e sono stato attaccato a lui. C'è stato un momento in cui ho pensato che venti punti sarebbero stati sufficienti, che sarebbe stato meglio evitare di prendere altri rischi; però, sapevo anche che avrei potuto vincere e volevo provarci. Nell'ultimo giro mi sono detto: stai attaccato a Porto, fino alla fine e credici. Ed è andata bene".
- Se ne parla ma non è mai arrivata comunicazione ufficiale: come sta la tua spalla, è vero che hai avuto fastidi?
"Dopo la caduta in Giappone sapevo che mi ero procurato una piccola frattura all'omero; ma ho deciso di non dire niente. Non ne ho parlato nemmeno alla mia squadra, perché non volevo creare una situazione che destabilizzasse il team; io ero calmo. Però in Malesia e in Qatar sono iniziate a circolare tante voci sulla mia condizione fisica. E questo mi ha fatto innervosire. Prima di venire qui sono stato in una clinica specializzata di Barcellona, mi hanno detto che avrei potuto correre, ho svolto un lavoro di fisioterapia appropriato e, quando sono arrivato in Australia, ero molto più tranquillo. Sapevo che avrei potuto correre alto livello".
Il segreto del campione del mondo viene fuori, ancora una volta c'è dolore e sofferenza di mezzo, ma anche una vittoria, quella che porta al titolo. Adesso due uscite da campione a Istanbul e Valencia e poi il nuovo, la MotoGp. Vent'anni appena compiuti. Daniel va veloce.
I numeri ci aiutano: classe 1985, vent'anni appena compiuti, 76 partenze in Gp, 22 vittorie (14 in 250), tre mondiali consecutivi (2 in 250), 39 podi, 17 pole, 18 giri veloci in gara, 1147 punti.
Debutto in Giappone nel 2001, e nessuno si accorse del suo talento, ma un anno dopo, nella stessa gara, la prima pole. Il più giovane campione del mondo della 250 a 19 anni e 18 giorni, 21 gare prima di compiere 20 anni: un ruolino di marcia da paura.
La paura che forse ha avuto prima della vittoria di Phillip Island, quando Stoner sembrava volare e lui, la paura che forse avrà il prossimo anno quando correrà con la Honda MotoGp, pilota ufficiale. Ma lui la paura l'ha sempre vinta, come quando vinceva con le minimoto, oppure quando emergeva dalle selezioni della Movistar Activa Cup, con la sapiente regia di Alberto Puig, il suo scopritore e manager, il padre padrone di questo ragazzo catalano che a vederlo fa tenerezza.
Puig è un ex pilota che era l'opposto di Daniel: irruento e creativo, e al suo pilota ha chiesto di non essere come lui.
Vince ma non incanta, forse. Ma noi abbiamo negli occhi Rossi e la sua solare classe. Pedrosa è più tattico, meno evidente, ma sempre concreto. E poi dopo la vittoria si accontenta di una bandierina e una maglietta. Non ha le coreografie di Vale e nemmeno il suo carisma, ma vince, eccome. Ed è giovanissimo, si sa sacrificare fino all'incredibile, sa soffrire (e lo ha dimostrato quando dopo pochi mesi era in stampelle, pronto a salire sulla 250 dopo essersi spezzato due caviglie, proprio a Phillip Island nel 2003) e fa soffrire. Gli avversari. E, inevitabile, arriva il trionfo.
Ma come nasce una vittoria mondiale, la terza di fila? Qui Pedrosa per la prima volta, si apre senza incertezze. Ad esempio, come si affronta un "match ball" decisivo? "Prima della gara avevo anche pensato alla possibilità di tornare a casa con il titolo, però ho preferito pensare solo alla gara. Infatti a a me questa pista non è mai piaciuta e sabato sera, dopo le prove ero davvero preoccupato".
- Come mai?
"Non sono riuscito a trovare una buona messa a punto, mi sembrava di non riuscire ad avere un gran feeling con la mia moto. In gara è stato diverso: avevo un gran motore e l'ho sfruttato al meglio. Sapevo che la mia moto era più veloce di quella di Porto, quindi volevo solo stargli incollato fino all'ultimo curvone".
- Quando hai fatto questa scelta?
"Quando ho visto cadere Stoner che è caduto perché stava spingendo troppo all'inizio della gara".
- Cosa hai pensato quando l'hai visto a terra?
"Che dovevo impedire a Porto di andarsene. Sapevo che ci avrebbe provato e che poteva farcela. Quindi sono partito all'attacco e sono stato attaccato a lui. C'è stato un momento in cui ho pensato che venti punti sarebbero stati sufficienti, che sarebbe stato meglio evitare di prendere altri rischi; però, sapevo anche che avrei potuto vincere e volevo provarci. Nell'ultimo giro mi sono detto: stai attaccato a Porto, fino alla fine e credici. Ed è andata bene".
- Se ne parla ma non è mai arrivata comunicazione ufficiale: come sta la tua spalla, è vero che hai avuto fastidi?
"Dopo la caduta in Giappone sapevo che mi ero procurato una piccola frattura all'omero; ma ho deciso di non dire niente. Non ne ho parlato nemmeno alla mia squadra, perché non volevo creare una situazione che destabilizzasse il team; io ero calmo. Però in Malesia e in Qatar sono iniziate a circolare tante voci sulla mia condizione fisica. E questo mi ha fatto innervosire. Prima di venire qui sono stato in una clinica specializzata di Barcellona, mi hanno detto che avrei potuto correre, ho svolto un lavoro di fisioterapia appropriato e, quando sono arrivato in Australia, ero molto più tranquillo. Sapevo che avrei potuto correre alto livello".
Il segreto del campione del mondo viene fuori, ancora una volta c'è dolore e sofferenza di mezzo, ma anche una vittoria, quella che porta al titolo. Adesso due uscite da campione a Istanbul e Valencia e poi il nuovo, la MotoGp. Vent'anni appena compiuti. Daniel va veloce.