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Daijiro Kato non ce l'ha fatta

il 19/04/2003 in Motogp

In ricordo del campione della Honda scomparso un servizio sulla carriera e la gallery fotografica

Daijiro Kato non ce l'ha fatta

Oggi, nel pomeriggio, all'ospedale di Yokkaichi è finita l'ultima gara di Daijiro Kato. Il pilota giapponese, che era nato a Saitama nel 1976, è deceduto a causa di un arresto cardiaco nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale di Yokkaichi nel quale era ricoverato dopo il tragico incidente del 6 aprile nel corso del terzo giro del Gp di Giappone, nel quale aveva riportato gravissime ferite.

Già in pista Kato aveva subito un arresto cardiaco, ma era stato rianimato ed è sopravvissuto fino ad oggi. Le condizioni del pilota, che aveva subito un tremendo trauma cranico, la lussazione delle due prime vertebre cervicali, oltre ad altre fratture erano subito apparse gravissime. Dopo un lieve miglioramento della pressione arteriosa, il quadro si era stabilizzato, anche se l'attività del cervello era ridotta al minimo.
Daijiro Kato, campione del mondo della 250 nel corso della travolgente stagiione 2001 e pilota ufficiale Honda in MotoGp (sempre nel team Telefonica Movistar di Fausto Gresini) nella corrente stagione, lascia la moglie Makiko e due figli, uno di meno di due anni e una bambina nata il 26 marzo.
Fausto Gresini, affranto, si recherà in Giappone per presenziare ai funerali.
Il motociclismo perde uno dei migliori interpreti, ma anche un ragazzo tranquillo e silenzioso, rispettoso e amante dello sport. Motonline è vicino alla famiglia e alla squadra di Daijiro.

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Un titolo mondiale, quello della 250 nel 2001, 17 Gran Premi vinti, due Otto Ore di Suzuka, 5 volte secondo, 5 terzo, debutto nel GP di Giappone del 1996 da wild card, prima vittoria, sempre in Giappone, sempre da wild card, sempre in 250, 11 pole position, 11 giri veloci in gara. Era questo, in cifre Daijiro Kato, nato il 4 di luglio del 1976 a Saitama, in Giappone, morto oggi a Yokkaichi, quando, nel pomeriggio, il suo cuore ha smesso di battere.
Ma era molto di più. Un grande pilota, un campione vero, ma anche un ragazzo si rara educazione. Piccolo, chiuso, timido, ma buono come un pezzo di pane. Uno che correva per vincere, abituato al podio, ma anche legato a doppio filo a due ambienti diametralmente opposti: l'HRC (del quale era pilota ufficiale fin dagli inizi della carriera) e il team di Fausto Gresini. La gerarchica, colossale, Honda e il familiare team italiano che l'aveva accolto con un affetto e un calore che avevano lasciato il segno nell'animo del pilota. Lui che l'Italia l'aveva vista per poche ore, nel corso di una vacanza a Venezia, da noi aveva trovato un luogo incantevole per vivere. Ci stava bene a Porto Verde, a due passi da Riccione, stava bene a Faenza quando mangiava un piatto di pasta enorme e diceva: "dopo basta, che sennò tuta non entra"…
Tanti ricordi, troppi… Me lo presentò Gresini e mi fu subito simpatico. Poi lo vidi in pista, prima con la 250, poi con la 500 e infine con la quattro tempi, e capii che era un grande. Ho scritto molto di lui, e ho tirato fuori queste parti di articoli. Per ora lo ricordo così, ma non lo dimenticherò mai. Non sarò solo: una famiglia che lo ha perso, una squadra che lo amava e che è volata un Giappone per dargli l'ultimo saluto, tanti tifosi. Addio Daijiro, ti ricordo così.

... Per noi italiani, abituati alle personalità debordanti dei nostri piloti, al loro carattere graffiante, alla loro lingua svelta e tagliente, il motteggiare di Daijiro, ma soprattutto le sue interminabili pause, i suoi silenzi, lasciano esterrefatti.
Non ha hobby, non ha passioni evidenti, se non lo shopping (scarpe da ginnastica soprattutto), non frequenta lo showbiz, non viaggia in fuoriserie. Quando è in Italia, vive ritiratissimo a Portoverde (due passi da Misano) una Montecarlo molto casereccia, nella quale il glamour è sconosciuto. Però, se chiedete ai nostri rider cosa ne pensano di Kato, tutti diranno la stessa cosa: è un gran pilota e, sotto sotto, lo temono anche.

... Kato è uno che scappa quando vede la faccia barbuta di Paolone Beltramo che gli porge il microfono. Non lo fa perché se la tira, ma solo perché il tutto è troppo brusco e forte per lui. In realtà Kato è dotato di favella: capisce l'italiano, lo parla anche un po' (ma solo con chi vuole) ed è di un'educazione assoluta. Nel paddock lui è un alieno. Quando una delle persone al mondo che lo conosce meglio, Fabrizio Cecchini, suo capotecnico da due anni, dice: "Sembra fatto dalla Honda, si vede che è stato allevato da loro con la mentalità da collaudatore interno. Un pilota dalla mostruosa forza mentale, quello che gli è riuscito meglio".

... Daijiro Kato, è nato il 4 luglio (manco fosse il titolo di un film) del 1976 a Saitama, figlio unico di un autotrasportatore appassionato di sport a motore. E' lui, il padre, il maestro che da il "la" alla sua carriera che, come tanti ragazzi giapponesi, è fatta di minimoto, minicross e campionati nazionali. A vent'anni è già nell'orbita HRC, corre da wild card al Gp del Giappone con un'Honda kit 250 e chiede con enorme cortesia ad un meccanico di un team "vero" del mondiale, se può attaccare la spina delle proprie termocoperte alle prese del loro box. Caso strano, il capotecnico di quel box è Fabrizio Cecchini, l'uomo con il quale lavora oggi in Moto Gp dopo aver vinto in maniera schiacciante il mondiale 250 del 2001.
Non crediamo che Kato creda al destino come lo può fare un italiano, ma qualcosa nell'aria c'è. Lui, che in tutta la carriera ha guidato una sola volta una moto che non fosse Honda, nel corso di un test comparativo sulle moto della concorrenza, si è trovato in Italia, in una squadra dove, per capirlo, si è inventata una lingua nuova: un'imitazione onomatopeica della moto, dei suoi rumori, dei suoi comportamenti.
Implacabile, metodico, Kato memorizza tutto, fa i tempi, torna al box e dice: "Per girare così è perfetta". Non ama le moto brutali ed è l'unico pilota che dichiara senza problemi: "Questa moto va troppo forte".

... Ma Kato è davvero un altro mondo. Ad esempio, al via della stagione in MotoGp, alla domanda: "stai imparando a guidare?", risponde "Io corro per vincere". Non è guascone se lo dice e nemmeno esagera. Lui la pensa così anche quando guarda, come se fossero estranei, la moglie e il figlio. Salvo irradiare amore per i due, una frazione di secondo dopo.
Dicono che non sia umano, ma lo è, eccome. Come tutti i giapponesi soffre la concorrenza dei compatrioti. Per lui battere un connazionale è meglio di una vittoria (in questo sono peggio di noi). Un ragazzo strano, svelto e silenzioso come un gatto, educato ad essere timido, ritroso, ma che si trova bene in Italia. Anche se non capisce una cosa: perché "loro" (gli italiani) quando corrono e danno il massimo in moto, strisciando sull'asfalto, sudano così tanto? Daijiro non suda, mai.
Questo giapponese con la faccia disegnata da un mago dei manga ha davvero i cromosomi dell'asso.
Durante una conferenza stampa, nel 2001, gli è stato chiesto cosa ne pensasse del fatto che l'HRC, sua padrona dal 1997, avesse deciso la promozione in MotoGp. La risposta è stato un unico, solitario, incredibile "Oh". Seguito dal nulla.

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