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Motogp

Kato: silenzi che pesano

il 08/04/2003 in Motogp

Sono quelli della Honda, della federazione Internazionale, della direzione di gara, della Dorna che non mostra le immagini dell’incidente. Le  cause: errore tecnico o umano?

Una delle ultime immagini di Kato prima dell'incidente di Suzuka. Il pilota, in coma profondo, se salva la vita  rimarrà tetraplegico

Daijiro Kato il pilota della Honda rimasto gravemente ferito nel corso del GP del Giappone, ha passato la notte nel reparto terapia intensiva dell’ospedale centrale di Yokkaishi, a pochi chilometri da Suzuka, teatro dell’incidente. Fausto Gresini, suo team manager ma anche fraterno amico, è rimasto a vegliarlo tutta la notte. Con lui la moglie del pilota, Carlo Merlini, responsabile amministrativo della squadra e Fabrizio Cecchini, suo capotecnico. La posizione della squadra, riassunta in un comunicato è ampiamente condivisibile. C’è l’amore per un pilota che rappresenta la storia di un gruppo di lavoro e per un uomo che ha di fronte a sé, nella migliore delle ipotesi, una vita dimezzata. Parlando con i medici emerge un quadro clinico disperato: il fortissimo trauma cranico, con il versamento di sangue nel cervello è uno choc dal quale difficilmente ci si può riprendere, se a questo aggiungiamo la lussazione delle due prime vertebre dorsali e l’allungamento del midollo osseo, possiamo intuire che la paralisi, quasi inevitabile, sarà totale.
Il dottor Costa ha fatto esempi: Reinhold Roth (che subì un trauma da impatto frontale simile), Guido Paci, Lorenzo Ghiselli. Stiamo parlando di due persone che non ci sono più e di un’altra che vive a percentuale ridotta. Sono parole pesanti, ma la verità è questa; ciò non toglie che con tutto il cuore anche noi speriamo in un miracolo che ci ridia Daijiro com’era al secondo giro del GP del Giappone.
Le parole saranno anche pesanti, ma i silenzi lo sono di più. Quello degli organizzatori della gara, ad esempio, quello della direzione di gara (che si è affidata ad un commento laconico e poco apprezzato di Paul Butler: “poteva capitare ovunque”). A questa versione credeva Franco Uncini che, per conto dell’IRTA, segue le procedure di sicurezza: “C’è un solo punto pericoloso nel mondiale, la curva di Suzuka dove sono caduti Barros e Melandri”. Ma Uncini, il venerdì, aveva anche detto: “Sarò tranquillo solo domenica sera a gara finita”. Lo pensa anche Valentino Rossi (che vuole usare il suo ascendente per far crescere la sicurezza e che ha anche aggiunto che a Suzuka non si correrà più), mentre Max Biaggi porta il ragionamento va più avanti: “Le quattro tempi hanno cambiato tutto: da una curva all’altra si arriva in un tempo brevissimo e quando si chiude il gas, la moto si scompone, fa il pendolo. Quindi, la via di fuga serve davanti, ma anche ai lati”.
Pesa il silenzio della Federazione Internazionale - il presidente Zerbi pare sia letteralmente sparito dopo la gara - pesa il silenzio della Dorna e l’assenza delle immagini sull’accaduto. Sembra impossibile ma dell’incidente, di quando inizia il crash, non c’è un solo fotogramma.
Noi abbiamo visto la moto di Kato e anche le foto del pilota a terra. Ci sono macchie rosse sulla carena, su un braccio e una gamba. E lì vicino le protezioni alle gomme che coprono in guard rail sono bianche, rosse e verdi a bande alternate. Lo ha visto Rossi che ha effettuato un sopralluogo domenica sera, lo vedrà Gresini che sta andando sul posto.
Quindi una barriera c’era e Kato l’ha toccata. Le immagini viste ovunque riportano un cartellone blu sullo sfondo, ma si riferiscono alla fine dell’incidente a quando il pilota era già esanime a terra. E’ inutile fare del sensazionalismo (si è visto in giro qualcosa di brutto già oggi sui giornali) ma qualcuno dovrebbe parlare.
La Honda, ad esempio. La moto numero 74 è stata sequestrata dall’autorità giudiziaria giapponese, ma la centralina di sicuro è stata letta. Non dagli uomini del team (che non lo possono fare) ma dai tecnici HRC che hanno l’accesso totale ai dati che sono in buona parte blindati, oltre che scritti in ideogrammi giapponesi.
Naturale che queste informazioni interessino anche alle altre squadre e ai piloti che corrono con la 211 che, però, non ha mai accusato anomalie di questo tipo. Quello che manca in questo dramma sono le cause: come è successo. Escluso il contatto con un altro pilota: tutti quelli che erano dalle parti di Kato in gara non hanno toccato la moto di Daijiro, si può parlare di un errore tecnico o umano.

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Errore tecnico: Le quattro tempi non grippano, quindi la ruota posteriore non si è bloccata per questo motivo. Allora si può pensare ad un blocco del cambio in staccata. Ipotesi plausibile, ma da quanto si sa, alla Honda questo non era mai successo. Un guasto alla frizione, che ha bloccato la ruota? Questo è un punto debole della Honda, come dimostra il “dritto” fatto a fine gara da Biaggi, ma in questo caso la ruota posteriore “attacca e stacca” e non si blocca di colpo. Ci sono foto di una pinza frenante e di un disco rotto, ma le immagini si riferiscono al “rottame” che, intravisto sotto il telone, aveva ben pochi pezzi integri. Quindi, questa rottura potrebbe essere avvenuta dopo.

Errore umano: Una staccata troppo violenta, magari una marcia in più tolta nella concitazione. La ruota potrebbe essersi bloccata per questo motivo, facendo schizzare Kato verso il lato della pista. Questa, naturalmente, sarebbe la versione più comoda per tutti. Oppure il pilota, per una sbandata si è trovato con la ruota anteriore sull’erba e, frenando, si è trovato sbalzato senza controllo.

Probabilmente solo il giorno in cui verranno resi i pubblici i dati della telemetria, ne potremo sapere di più. Non si può dire che la Honda abbia bloccato i suoi piloti. Oggi avrebbe dovuto girare a Suzuka Makoto Tamada con la 211 Pramac ma il giapponese non è salito in sella. Non per motivi tecnici, ma perché, dopo aver visitato Kato in ospedale, non se l’è sentita.

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Piuttosto la novità è la crescita di consapevolezza da parte dei piloti.
Max Biaggi ha detto che le piste debbono avere spazi di fuga “totali” cioè non solo davanti ma anche sui lati, ha anche aggiunto: “c’è bisogno di un serio controllo da parte di noi piloti”. Che vuol dire: “Se individuiamo un punto pericoloso, prima di correrci, uno di noi va a provare e da l’OK definitivo. Se non ci sono modifiche sostanziali non si corre”. E i presenti hanno aggiunto: se non correte voi (vale a dire Max, Valentino, Capirossi e qualche altro big) il grande affare MotoGp si ferma. L’incidente di Kato ha smosso le acque di un mondo in cui tutto sembrava filare alla perfezione, ma come sempre avviene, il granello di sabbia ha fatto inceppare tutto l’ingranaggio: quella che da Uncini e dai piloti veniva definita l’unica curva pericolosa del mondiale, è costata due incidenti, l’unica pista con troppi ostacoli vicino all’asfalto ha causato il dramma. I nodi sono venuti al pettine.
Resta solo da chiedersi perché non siano state esposte le bandiere rosse che bloccano la gara, perché siano stati così concitati i soccorsi a Kato. Certo il pilota aveva un arresto cardiaco ed era meglio portarlo il più velocemente possibile in ospedale. Ma c’erano anche gravi lesioni (non solo la lussazione delle vertebre cervicali) ad imporre prudenza. Forse la gara era da fermare. Ma anche questo non è successo. Speriamo che Kato si riprenda, ma speriamo anche che quanto successo faccia ragionare sui problemi che ha il motomondiale: la sicurezza, per esempio.

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