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Altri sport

MotoGP: la fiera delle vanità

il 23/06/2004 in Altri sport

Da una parte le imprese eccezionali di Valentino Rossi, dall’altra i conti che non tornano. Il motomondiale è all’apice della sua fama e soffre come non mai

di Luigi Rivola



La notizia è fresca: Kenny Roberts ha finito i soldi. In realtà è vecchia: già un anno fa si disse che la Proton non sarebbe stata della partita nel 2004, invece ha ricominciato, ma con un motore che a due mesi dal debutto si sapeva benissimo che era senza speranza.
E’ abbastanza patetico vedere come ci sia chi crede nell’impossibile. A cominciare dalla Dorna, che sogna di creare la Formula 1 delle moto scimiottando quella delle auto e non si rende conto che l’ipotesi è assolutamente improponibile: dove sono nel mondo motociclistico i capitali per sostenere un circo del genere? Perché se c’è chi pensa che per partecipare alla Formula 1 delle moto basti costruire una moto competitiva (cosa già di per sé costosissima) e i ricambi necessari a una stagione di corse, non ha capito proprio niente: ci vogliono almeno altrettanti capitali per sostenere tutto il baraccone che alimenta l’interesse della gente verso questo spettacolo, ed è un baraccone che divora ben altre risorse rispetto a quelle disponibili da parte di chi non ha la fortuna di chiamarsi Honda o Yamaha. In più c’è da dire che l’enorme (ma poi quanto, in realtà?) platea della Formula 1 è composta nella sua interezza da utenti attuali o futuri dell’automobile, mentre la stessa platea, portata a seguire la Formula 1 della moto, non si tradurrebbe che molto limitatamente in un aumento del mercato motociclistico, e certamente non tale da giustificare gli investimenti.

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La MotoGP è diventata la fiera delle vanità: delle Case che vi partecipano, che pur di essere presenti al grande festival dello spreco sono disposte a rischiare la bancarotta; dei piccoli sponsor, che pagano cifre esorbitanti per collocare su una carenatura o su una tuta un loro miniadesivo che non colpirà mai l’occhio di nessuno, ma che serve a garantirgli una presenza nel mondo dorato (ottonato?) del paddock, infine dei giornalisti, la cui vanità è appagata dall’essere a stretto contatto con i protagonisti, dal godere di alcuni esclusivi privilegi, senza pensare che gran parte del carrozzone poggia su di loro e sulla loro capacità di fungere da cassa di risonanza.
A due anni dall’inizio dell’avventura MotoGP, le Case cominciano a parlare di riduzione dei costi e delle potenze, proponendo palliativi che fanno sorridere. Ma davvero c’è qualche tecnico che pensa che riducendo la cilindrata da 990 a 900 cc cambieranno radicalmente i problemi di cui soffrono le MotoGP attuali? Tempo sei mesi e i 250 CV delle 990 saranno i 270 CV delle 900, e saremo daccapo. E i costi? La Honda sta prendendo sonore bastonate dalla Yamaha, con l’aggravante che ad infliggergliele è Valentino Rossi. Reagirà. Come? Proponendo in tempi brevissimi nuovi motori e incrementando gli investimenti fino ad ottenere l’unico risultato che le prema realmente: tornare a dominare la MotoGP. E lei se lo può permettere. Anche la Yamaha? Sì. La Suzuki e la Kawasaki? Meno, forse no. E la Ducati e l’Aprilia? Lasciamo perdere e pensiamo alla frettolosa retromarcia della KTM, che ha capito, senza bisogno di toccare con mano, che ogni anno, in occasione della chiusura del bilancio, dovrà accendere un cero alla Madonna per aver speso solo i miliardi necessari alla realizzazione di un prototipo.
La storia dovrebbe insegnare sempre: quando il Motomondiale proponeva prototipi sofisticatissimi a 4-5-6-8 cilindri, a due e a 4 tempi, alla fine a correre erano rimaste solo la Honda, la Yamaha e la MV. E allora, badate bene, i piloti costavano relativamente poco, di hospitality e balle varie non si parlava nemmeno, e i freni, le sospensioni, i comandi e le ruote delle migliori moto del mondo di quel periodo erano praticamente gli stessi Fontana, Borrani, Ceriani e Menani che si trovavano in vendita a prezzo equo dai motoricambisti. Per richiamare una nutrita partecipazione dovettero cambiare in senso restrittivo il regolamento sacrificando notevolmente lo sviluppo tecnologico. Oggi si fa esattamente l’opposto, ma oggi, come ieri, i soldi non crescono sugli alberi. O no?

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