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Maxienduro premium: la comparativa su strada... e in pista

Federico Garbin
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Le abbiamo guidate dappertutto: in autostrada e in città, in montagna e in off-road. Mancava solo la pista, per avere le ultime indicazioni su come si comportano le maxi più versatili in circolazione: eccovi accontentati!

Avete presente gli omini del Subbuteo? Tutto quello che conta è sotto, è il loro modo di stare in equilibrio, su quella pallina sulla quale appoggiano i loro piedini di plastica. BMW, con il suo boxer, da 100 anni (come ci indica la targhetta dorata sul manubrio di questa R 1250 GS Ultimate Edition), conquista i motociclisti con quel “trucco” lì. Il peso sotto, appunto. Batterla nel suo campo, su strada nelle curve fra lo stretto, è dura. E pensateci bene: è una moto da oltre 1.200 cc e più di duecentocinquanta chili pensata per godersi i tornanti in montagna, mettendo i sudori freddi ai possessori di tante sportive, con la carena o senza. Una contraddizione? Eppure...

BMW R 1250 GS

Sfida alla regina

Hanno il loro bel da fare Triumph e Ducati a star dietro alla bavarese del centenario. Con il suo V4 figlio della Superbike, l’italiana allunga in circuito. Beh, direte, sono mica moto da cordoli queste. Le abbiamo portate anche lì, invece, nel nostro test track di Vairano. Una pista molto tecnica, molto guidata, ostica con questi interassi, questi pesi, queste altezze. Ma un ottimo modo di tirar fuori le caratteristiche di ogni veicolo. Lì, Vairano appunto, il V4 di Borgo Panigale vola. Coppia sotto, perché il V4 Granturismo sembra quasi un bicilindrico (anche nel timbro di voce) e allungo infinito. Finisce prima il rettilineo, generalmente. E il godimento non finisce dove finiscono i cordoli. Per questa prova in pista, inoltre, abbiamo equipaggiato la nostra R 1250 GS e la nostra Tiger 1200 con i pneumatici Metzeler Tourance Next 2 che hanno saputo tirar fuori il meglio da due moto non pensate per questo utilizzo. Eppure, è bastato un giro per portare in temperatura le gomme e poco di più per sfruttarne tutto il potenziale. In questo caso, solo con la GS, grazie alla ottima luce a terra che offre. Allora giù, a cercare la massima inclinazione senza mai perdere feeling con l’asfalto. Anche con i coprivalvole a pochi centimetri dallo strisciare a terra. Meno libertà con la Tiger, ma solo perché il cavalletto limita l’angolo di piega.

La tigre in gabbia

Già, è davvero bella da guidare questa Multi; nonostante i 170 cavalli è una moto docile, addomesticata, tranquilla, almeno finché non la si stuzzica. Se la stuzzichi, ti sa strappare le braccia; ma quando le si chiede tutto, in pista, anche con le sospensioni settate nella modalità più racing muove sempre un po’, richiedendo una guida precisa e spostamenti del corpo controllati.  La GS invece riesce a stupire anche in pista dove il suo pacchetto ciclistico unico la rende rigorosa e poco impegnativa: certo non ha la spinta da uragano del V4 italiano, ma grazie al Telelever non affonda in frenata, e il baricentro basso le regala cambi di direzione sempre molto controllati. All’opposto la Tiger in pista entra malvolentieri: accusa molto i trasferimenti di carico e una luce a terra davvero ridotta, che mettono in difficoltà lei e il pilota. Chiede altro l'inglese.

Di nuovo sulla strada

E allora usciamo da Vairano e imbocchiamo l’autostrada, dove le nostre tre maxi sono più nel loro territorio. In particolare la Ducati che offre cruise control adattivo e blind spot detection (l’allarme sullo specchietto dell’angolo cieco): due plus enormi (opzionali) ereditati dal mondo delle quattro ruote, ma che ottimamente si sposano alle esigenze di sicurezza dei motociclisti e a cui non vorresti più rinunciare due minuti dopo averli provati. Soprattutto quando si ha voglia di inanellare chilometri: cruise inserito, borbottio del propulsore che gira basso in sottofondo e tutta la strada che vogliamo davanti. Gran protezione, gran bel comfort. Un neo? I consumi non sono ridotti, anche se con la deattivazione estesa della bancata posteriore le cose sono un po’ migliorate – perlomeno se si viaggia tra urbano ed extraurbano.

Il "miracolo" del boxer

Anche la GS, lo sappiamo, è una granfondista: buona parte del suo successo se lo è costruito proprio girando il mondo in lungo e in largo nelle ultime quattro decadi. E allora via, approfittiamo della prima sosta del nostro itinerario autostradale e scendiamo dalla Ducati per salire sulla tedesca. Un attimo per ritarare il sistema operativo (nostro) e le differenze si palesano: l’italiana ha una posizione di guida più incassata e avvolgente, ripara di più e a 130 km/h è meno rumorosa. Sulla BMW si è meno “dentro la moto”, e ci si sente da subito un po' più esposti, alti, appoggiati. Poi c’è il sottofondo: il brontolio dell’italiana è sommesso, la tedesca ha una “braaap” che ti avvolge sempre e mantiene alta la voglia di suonare quell’accordatissimo strumento che è questo motore. Non è solo colpa (o merito?) del terminale Akrapovič che fa bella mostra di sé sulla nostra Ultimate: è proprio una questione di carattere, di personalità, di architettura motoristica. Una questione di famiglia, o familiarità, se preferite. La risposta del gas della GS… che meraviglia. La migliore del lotto: la connessione fra manopola del gas e corpi farfallati è unica. Oltre ai pregi che abbiamo descritto prima, la GS è una delle poche moto al mondo completamente prive di on-off (altroché moda, le moto andrebbero provate le moto prima di giudicare). Che piacere titillare l’acceleratore e sentire il posteriore che si siede, l’anteriore che si alleggerisce, lo scarico che tuona. Il tutto alla velocità del pensiero. Sensazioni, queste, che vengono filtrate sulla Multi, e ancora più accomodate sulla Tiger.

Tre cilindri, il terzo incomodo

Ecco, a proposito di Tiger: la tre cilindri inglese potrebbe sembrare l’anello di congiunzione fra le altre due, almeno sulla carta avendo tre cilindri, il che già la pone in posizione mediana. E invece no, è un prodotto ancora diverso rispetto alle due avversarie. Meno smaliziato, meno esasperato se vogliamo. Ma, in fondo, questo lo sapete già. Per chi non l’ha mai provata, beh, merita il giro. Rispetto alle concorrenti è più alta, sembra più leggera, più in piedi, più stretta e snella sui fianchi. Dico la parolaccia: più “off”. Sensazione, quella di sentirla più fuoristrada, che svanisce presto perché il tre cilindri è sempre pacioso, docile, rotondo nella sua progressione. Non ha la rabbia del boxer, non ha il carattere bivalente del V4 italiano e neppure ricorda un monocilindrico. Per andare al piccolo trotto, è quella che stanca meno: sulla Tiger potete mettere una marcia – alta, ça va sans dire – e godervi la salita al passo senza ulteriori pensieri. Comodi, perché ha un’ergonomia molto amichevole, e sicuri. Frena bene, con una bella risposta pronta ed efficace, e ha sospensioni in grado di accontentarvi in ogni situazione. Peccato ancora una volta per la luce a terra: con una ciclistica così, può venir voglia di esagerare un po'. Nel caso, sappiate che i piolini delle pedane sono sacrificabili e arrivare a strisciarli per terra è piuttosto facile, non appena prenderete confidenza con la solida ciclistica. Della Tiger piace anche la stabilità perché, se nello stretto non “danza” come la GS, nei curvoni veloci è in grado di garantire un ottimo rigore, con avantreno e retrotreno molto ben accordati. I trasferimenti di carico su strada sono minimi e mai scomposti.

Si sale in quota

La luce a terra non manca sulla Ducati, e se vi viene voglia potete guidarla quasi come una Panigale (occhio in questo caso alle borse); l'angolo di piega è alto anche sulla BMW, a discapito dei cilindroni che sappiamo bene dove sono e quanto sporgono. Ma il bello della GS è che, essendo alta, le teste iniziano a preoccupare comunque più tardi che su una R 1250 RS, ad esempio. Ma è tempo di lasciare anche l’autostrada per metterci alla conquista del Passo San Marco, dove cercheremo di capire qualcosa di più delle nostre maxi-crossover nel terreno a loro più congeniale. Intanto ricapitoliamo. Autostrada: vince la Ducati per i motivi sopra elencati: ottimo passo, rapportatura finale che mette l’accento sull’elasticità del motore senza lasciarlo mai in affanno e grande comfort, per il silenzio, per il riparo aerodinamico, per le vibrazioni minime e per il plus dei radar.

In cima al passo: una per salire... e un'altra per scendere

Salita al Passo San Marco: striscia di asfalto stretta e ripida, tornanti uno via l’altro: vince la BMW, perché ti lancia fuori dalle curve come una fionda, ha un cambio elettronico che è una goduria e un tiro ai bassi che entusiasma anche i detrattori dei cilindri contrapposti. Curva impostata, piega, cambiata sottocoppia in uscita e… il sorriso una volta tolto il casco non ve lo toglie proprio nessuno. Vi troverete a suonarla come uno strumento. Già, la GS è figlia di un continuo affinamento che l’ha portata ad essere un punto di riferimento in queste situazioni. Non assomiglia a nessun’altra e nessun’altra le somiglia. In cima al passo: la strada si allarga, curve e pendenze si ammorbidiscono. Fa caldo, la stanchezza si fa sentire, la fame morde. Vi viene voglia di rilassarvi. La risposta è in inglese: Tiger. Con lei andate sul velluto: il tre cilindri da 150 cavalli ha la coppia dove serve e la cura dimagrante che ha subito con quest’ultima evoluzione ne ha esaltato i pregi e minimizzato i difetti. Che erano principalmente inerenti al peso, appunto. Bella moto, obbediente, generosa e instancabile. Non è la più sportiva, chiaro, ma non le manca nulla per essere una fedele compagna di avventura nei secoli dei secoli. Anche in questo caso, un plauso alle Metzeler Tourance Next 2 della nostra Triumph e della GS; i pneumatici hanno infatti confermato le sensazioni che ci avevano regalato in pista riuscendo a mettere l’accento sulle qualità dinamiche delle due moto.  

In conclusione

Personalità profondamente diverse tra loro quindi, per moto progettate sostanzialmente per accontentare esigenze più o meno identiche. Esigenze tra le quali non c'è di certo il track day ma abbiamo visto che, con un paio di gomme giuste, queste crossover sanno comunque far divertire, soprattutto la Ducati e la BMW. La GS resta disarmante per la facilità con cui fa tutto, e alle voci in cui non è prima arriva seconda. La Multi mette in campo un altro pacchetto eccezionale, con la straordinaria capacità degli italiani di pensare, sviluppare e produrre moto che hanno nelle vene sangue in fiamme. E gli inglesi che, tra una tazza di tè e un biscottino al burro, rispondono con il loro triple, un motore che è un portento di gusto nella guida su strada, e una raffinatezza tecnica a livello delle migliori. Allora, dove si va domani?
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