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CFMOTO 700CL-X Sport VS Honda Hornet: confronto generazionale
La sfida tra la più ambiziosa naked cinese e la più evoluta media giapponese si traduce in un confronto tra due modi molto diversi di concepire la moto in termini non solo estetici, ma anche dinamici
Il 2022 si è chiuso con un Salone che a detta di molti è stato “il Salone dei cinesi”: cinesi le novità più appariscenti, cinesi gli stand più esuberanti, cinesi gli annunci più roboanti.
Al di là dell’apparenza, però, è sempre bene guardare alla sostanza: e così siamo andati a pescare nella combattutissima classe delle naked medie la più ambiziosa tra le proposte cinesi e una moto giapponese di riferimento. Parliamo della 700CL-X Sport di CFMOTO, azienda che punta a imporsi come il più premium dei brand della Cina, e della rediviva Honda Hornet, che viceversa rappresenta al meglio lo sforzo del Giappone di restare competitivo sul mercato.
Se la Hornet degli Anni 90 era sì aggressiva nel prezzo, ma doveva vedersela soprattutto con alternative giapponesi ed europee, la sua pronipote invece mette nel mirino proprio le sempre più vendute medie cinesi e italo-cinesi; e a fronte di dotazioni particolarmente complete, si propone con un prezzo decisamente aggressivo di 8.290 euro chiavi in mano, non molti più dei 7.870 della 700CL-S Sport.
Come vedete il confronto è piuttosto diretto, e allora andiamo a vedere che cosa offrono le due sfidanti.
Come sono fatte: la 700CL-X Sport
Partiamo dalla CFMOTO, secondo modello del trittico 700CL-X composto anche dalla Heritage e dalla Adventure. Questa versione Sport è di fatto una café racer in salsa moderna, sempre disegnata a Rimini dallo studio Modena 40 di Carles Solsona: ha i semimanubri, il torace muscoloso, la vita stretta e un codino cortissimo, dotazioni di pregio e una indubbia personalità: in attesa della NK800 sempre di CFMOTO, l’ammiraglia delle naked cinesi è senz’altro lei. La famiglia 700CL-X è spinta da un classico bicilindrico parallelo ispirato alle produzioni giapponesi, un bialbero fasato a 180° ma profondamente ammodernato: alesaggio aumentato per una cilindrata di 693 cc, pistoni forgiati, bielle con teste accoppiate per fratturazione, doppia sonda lambda e gestione Ride-By-Wire. Eroga 70,1 CV a 8.750 giri e 61 Nm di coppia a 6.500 giri. La centralina motore è fornita da Bosch, e l’elettronica prevede due mappe (Eco e Sport, molto ben distinte) e il cruise control (dal funzionamento molto impreciso), ma non per il momento il traction control. Il display è un semplice e leggibile LCD circolare; i fari sono full led, le frecce con spegnimento automatico e c’è la presa USB nel vano sella.
Il telaio a traliccio CFMOTO è in solido acciaio CrMo, con telaietto reggisella imbullonato e un pregevole forcellone in alluminio con capriata superiore e struttura cava: siamo lontani dal tipico amore cinese per l’acciaio a buon mercato, e il peso a secco dichiarato è contenuto in 195 kg a secco.
Il plus di questa versione Sport sta in sospensioni e freni: le prime KYB con forcella rovesciata da 41 mm completamente regolabile e mono montato con un leveraggio molto nascosto; è sempre regolabile nel precarico e nell’idraulica. I secondi sono affidati a Brembo, con un doppio disco anteriore da 300 mm abbinato a pinze Stylema a fissaggio radiale: fin troppa grazia per una moto da 180 km/h dichiarati. Non manca l’ABS, di provenienza Continental. Gli pneumatici qui non sono Pirelli come sulla Heritage, ma Maxxis SuperMaxx ST.
Come sono fatte: la Hornet
La Hornet è la Hornet, e fa quasi storia a sé nel panorama delle naked. Ha un nome mitico e arriva con grandi aspettative. Tanto per cominciare, ha fatto discutere con la scelta di passare da quattro a due cilindri – sempre in linea – e di non cedere alla tentazione del rétro ma di proporre una linea del tutto attuale, che gioca con l’idea dell’insetto ben più di quanto facesse la sua antenata. La scelta di un twin parallelo in questa categoria era in realtà quasi obbligata se si vuol competere in termini di gradevolezza su strada a costi ragionevoli. Dentro c’è tutta la tecnologia Honda: la compattissima distribuzione monoalbero Unicam, condotti di aspirazione ad alta turbolenza, una sofisticata gestione ride-by-wire. La cilindrata effettiva è di 755 cc, circa 60 cc più della rivale, ma i dati di targa sono nettamente superiori: 92 CV di potenza massima a 9.500 giri/min e 75 Nm di coppia a 7.250 giri.
Il motore è alloggiato anche qui in un telaio in acciaio con struttura a diamante, abbinato a sospensioni Showa: forcella a steli rovesciati SFF BPTM da 41 mm e ammortizzatore con leveraggio; non sono previste regolazioni se non il precarico del mono. I freni sono Nissin con pinze radiali a quattro pistoncini davanti, mentre le dimensioni dei pneumatici sono state scelte in funzione dell’agilità, con un 160/60 posteriore ormai inusuale su una moto di questa categoria. Contenuto il peso di soli 190 kg in ordine di marcia.
Allo stato dell’arte l’elettronica: ci sono ben 4 Riding Mode (di cui uno personalizzabile) che integrano 3 livelli di regolazione della potenza e del freno motore e 3 livelli del controllo di trazione HSTC, integrato con l’anti impennamento. Il display TFT da 5” offre la connettività del sistema Honda Smartphone Voice Control, e gli indicatori di direzione integrano il sistema di segnalazione della frenata di emergenza ESS (Emergency Stop System). In opzione c’è poi il quickshifter per il cambio, a 6 rapporti e con frizione assistita e antisaltellamento.
Come vanno: la 700CL-X Sport
Le CFMOTO sono state le prime moto ad allontanarsi con decisione da quel “touch & feel” che ha caratterizzato il “made in China” degli scorsi due decenni: materiali di qualità, verniciature curate, saldature ben fatte e il massimo ordine anche sottosella. La posizione in sella alla 700CL-X Sport è piuttosto particolare. Ha infatti i semi manubri e anche piuttosto spioventi, ma fissati molto in alto rispetto al solito. Le pance del serbatoio sono piuttosto larghe, e come sulla sorella Heritage la sella ha un incavo pronunciato, che consente a tutti di toccare bene a terra coi piedi. Nel complesso quindi la postura è con le braccia distese e i polsi poco caricati, meno protesa sull’avantreno rispetto a quello che sembra promettere l’aspetto da café racer. Una triangolazione quasi d’antan, rispetto a quella più convenzionale della Hornet.
Lo stacco della frizione richiede un minimo di assuefazione, anche se la situazione migliora regolando la distanza della leva dal manubrio. La spinta iniziale del motore è fluida e con una risposta al comando del gas piuttosto intuitiva. La guida a ritmo medio della CFMOTO, specie se in mappa Eco, regala belle soddisfazioni: rimanendo nella parte intermedia del contagiri la spinta è progressiva, e i 70 CV del twin cinese muovono la Sport con una bella verve, grazie anche alla significativa coppia massima che arriva puntuale intorno ai 6.500 giri invitando ad inserire il rapporto successivo per continuare a guadagnare velocità in maniera piacevole, accompagnati da un bel sound allo scarico.
Quando si decide di alzare il ritmo di guida la 700CL-X Sport, come era accaduto per la sorella Heritage, mostra invece una personalità davvero particolare. Le sospensioni sono tarate decisamente sul rigido, e soprattutto il monoammortizzatore senza leveraggi fatica un po’ a seguire le asperità in rapida sequenza affrontate in piena accelerazione. Si ha la sensazione che la ruota posteriore tenda a perdere per brevissimi istanti il contatto con l’asfalto, sporcando un po’ la spinta. C’è da dire che le sospensioni sono pluriregolabili e permettono quindi al pilota di personalizzarne la risposta in maniera significativa. Già col setting di serie, la forcella è parsa più equilibrata: fornisce il giusto sostegno anche nella guida dinamica, con l’avantreno che si accuccia disciplinato quando si chiama in causa il potente impianto frenante Brembo per poi distendersi in maniera controllata, permettendo di andare a prendere il punto di corda in ingresso curva con buon feeling.
Scendere in piega risulta comunque sempre facile e intuitivo, e richiede poca fatica fisica. Mantenere la linea in percorrenza risulta più facile se si sposta molto il busto per contrastare la tendenza della 700CL-X Sport ad allargare la traiettoria, tendenza probabilmente legata ai pneumatici Maxxis di serie che poco si trovano a loro agio con le temperature particolarmente basse del nostro test.
L’aspetto più peculiare della 700CL-X quando si alza il ritmo è comunque il carattere del motore. In mappa Sport, il primo motore cinese col ride-by-wire si trasforma, con un’entrata in coppia decisa al limite del brusco e un allungo perentorio quando si guida a gas spalancato. Sembra quasi un vecchio twin a carburatori preparato per le corse, con più del 70 CV dichiarati. Per contro, quando si cerca sensibilità la risposta al comando diventa un po’ vaga: la sensazione è che alla richiesta di coppia da parte del pilota corrisponda una spinta non sempre allineata. A volte ci si trova a dover incrementare la rotazione del comando del gas per acquistare la velocità voluta, altre bisogna parzializzare leggermente perché la moto spinge più di quello che avremmo voluto.
Su tutto poi c’è l’incredibile cambio di carattere che si percepisce quando da metà gas si srotola la manopola per cercare il fondo corsa. La 700CL-X sembra allora quasi una vecchia due tempi: cambia il suono, l’aspirazione diventa profonda e la moto si proietta in avanti con una veemenza all’inizio inaspettata. Certo parliamo sempre di 70 CV di potenza massima, perciò non si ha mai la sensazione di essere in balia di una belva fuori controllo, e alla fine si impara ad apprezzare questa personalità tutt’altro che spenta di questa CFMOTO, che potremmo paragonare a quella di una moto ancora da sgrezzare ma che tutto sommato non ci è dispiaciuta per nulla.
La bicilindrica cinese non è insomma priva di difetti che però, nel pacchetto completo, la rendono una moto viva, che manifesta una significativa necessità di interazione da parte del pilota per rendere al meglio. Meno perdonabile, da una moto di questo livello e dotata di ride by wire, l’assenza del controllo di trazione.
Come vanno: la Hornet
Saliamo sulla Hornet dopo averne parlato e sentito parlare tantissimo, e immediatamente ci è chiara una cosa: è una Honda nel senso migliore del termine, di quelle che ti fanno sentire a tuo agio dopo due metri e che sfoderano un’armonia tra motore, ciclistica ed elettronica che solo le moto di Tokyo riescono a raggiungere. Già la posizione in sella sfiora la perfezione: manubrio non troppo largo e aperto il giusto, pedane correttamente distanziate dalla sella che si piazza a 800 mm da terra. Comodi e con tutto sotto controllo.
Il motore al minimo non ha un timbro particolarmente accattivante, ma fa muovere la Hornet come se fosse un propulsore elettrico. Sale di giri fluidissimo e lavora in perfetta sinergia con il cambio dagli innesti precisi e una frizione morbidissima, le poche volte che la si usa quando si ha a disposizione un quickshifter così: impeccabile sia salire che a scendere, e a qualunque ritmo di guida.
Grazie anche al peso sotto ai 200 kg in ordine di marcia, la Hornet è agile e poco impegnativa a bassa velocità, con il suo bicilindrico che accetta qualsiasi comando da parte del pilota, fosse anche di riprendere velocità da poco più di mille giri indicati in un rapporto alto.
Tra le curve la nuova naked Honda rimane facile, intuitiva e molto divertente. Le sue sospensioni hanno una taratura di perfetto compromesso, filtrano facilmente anche le asperità in rapida sequenza ma danno un corretto sostegno nella guida più sportiva. Nei tratti guidati la Hornet risponde puntuale ai comandi del pilota e fa sempre tutto con estrema facilità. Svelta e precisa nello scendere in piega, una volta agganciato il punto di corda segue la linea senza alcuna difficoltà. I cambi di direzione sono una vera goduria, perché la media Jap digerisce i destra-sinistra senza batter ciglio e questo è, anzi, uno degli aspetti più divertenti della sua guida. Senz’altro la svelta gomma posteriore da 160/60 aiuta in questo frangente e diremmo quindi che la polemica sul “gommino” posteriore può essere archiviata come un problema soltanto estetico.
Solo se ci si spinge verso i limiti – alti – della Hornet capiamo che le sospensioni iniziano a fare un po’ fatica a gestire i trasferimenti di carico dati da frenate aggressive e prolungate fino all’ingresso curva, seguite da forti riaperture del gas in uscita. Stiamo del resto parlando di ritmi da NON tenere su strade di tutti i giorni, quindi nulla di grave.
Un capitolo a parte lo merita il motore per la sua doppia personalità: un velluto se si guida lasciando la lancetta del contagiri nella parte intermedia della sua corsa, un vero furetto se si decide di spingersi verso la parte alta, fino al sopraggiungere del limitatore. Il bicilindrico giapponese spinge davvero forte, e i suoi 92 cavalli si sentono tutti. Superata la soglia della coppia massima diventa sportivo e invoglia ad insistere col gas per godere della facilità con la quale fa acquistare velocità alla moto con una spinta che non si placa nemmeno all’approssimarsi del taglio. Specialmente in mappa Sport, la Hornet è una Hornet: anche la polemica sull’assenza del motore a quattro cilindri può quindi essere archiviata.
Cosa resta da dire? Resta la madre di tutte le polemiche, quella sull’aspetto poco in linea con la “tradizione Hornet”. Ma se la Honda degli Anni 90 non temeva di produrre ancora moto non del tutto educate come la CBR900RR, la CR250 o appunto la Hornet 600, la Hornet attuale è in linea con la ben più morigerata Honda di oggi: poco appariscente e assolutamente equilibrata. E se questa CB750 sembra un po’ una super-CB500, mantiene però una doppia anima che alla sorella minore manca, con tutt’altra possibilità di soddisfare pruriti sportivi e istinti ribelli.