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Paton S1-R Lightweight: storie di un passato presente

Alfredo Verdicchio, foto Marcello Mannoni il 20/04/2018 in Anteprime

Realizzata a mano con materiali e componenti pregiati, la Paton S1-R Lightweight è la replica targata della moto che nel 2017 ha vinto il TT dell'Isola di Man, categoria lightweight

Paton S1-R Lightweight: storie di un passato presente
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Se Paton è uno di quei nomi che non vi dice nulla, ma proprio nulla, è semplicemente perché siete troppo giovani. Per chi invece è vintage non solo nel look ma anche nell'anagrafe, beh, solo sentir pronunciare Paton fa drizzare le antenne, con la mente che inizia a rovistare affannosamente tra gli scatoloni dei ricordi di un'adolescenza passata tra le prime cotte e i tanti pomeriggi spesi con le mani nel motore di qualsiasi motoretta che girava tra gli amici. Ricordi così vividi da sentirsi ancora l'odore di benzina addosso.

Paton
era un po' come noi ragazzi di una volta ma più in grande, un'azienda artigianale milanese che amava le moto e le corse. Che per decenni (la nascita è datata 1958) ha "trafficato" con i telai e i motori, realizzando moto da gara che negli Anni 60 riuscirono anche a giocarsela contro le squadre ufficiali. Una passione mai spenta, perché il tizzone che ardeva sotto le ceneri non aspettava altro che un'occasione per tramutarsi nuovamente in fuoco.
Occasione che è arrivata nel 2016 con l'acquisizione del marchio Paton da parte di SC-Project (azienda produttrice di scarichi che, tra i suoi clienti, annovera la Honda di un certo Marc Marquez, il neo Campione della MotoGP) e con la partecipazione (e la vittoria nel 2017) al Tourist Thropy dell'Isola di Man. Il tutto con lo sguardo rivolto verso un obiettivo importante: tornare al Motomondiale entro il 2019 e competere nella Moto2.

Cuore giapponese

Tutta questa storia ai giorni nostri prende la forma della S1-R Lightweight, una moto da gara omologata per la strada e realizzata quasi totalmente nella piccola factory a Cassinetta di Lugagnano (MI). Tra i pochi elementi "estranei", non prodotti direttamente da Paton o su sue specifiche, c'è il motore: il bicilindrico frontemarcia che si cela sotto le pance della carena in carbonio è il twin Kawasaki da 649 cc che equipaggiava le fortunate ER-6n. Qui eroga 80 CV, 8 in più rispetto alla naked giapponese, ma può essere ulteriormente potenziato con vari step. Questo seiemmezzo, nel suo piccolo, non ha mai nascosto quel dirompente DNA sportivo che accomuna un po' tutti i motori di Akashi, tanto da avere il cambio estraibile, una chicca che nel mondo delle competizioni vale oro.

Come del resto vale oro il successo dell'azienda milanese, che con questa moto ha vinto nella categoria Lightweight (bicilindriche 650 derivate dalle moto di serie) del TT 2017. Un successo non arrivato per caso perché, a parte i piloti di spessore ingaggiati (il vincitore Michael Rutter e Stefano Bonetti, entrambi esperti di road racing), la Paton S1-R Lightweight è una di quelle moto pensate per dare il meglio di sé proprio su percorsi scorrevoli, con tanti rettilinei, curve tonde, ad ampio raggio e veloci, da affrontare a manetta rannicchiati dietro il cupolino, sfruttando doti come la stabilità in percorrenza e la rapidità in inserimento di curva anche a gas spalancato.

Nel misto stretto, ma soprattutto lento, infatti, la S1-R Lightweight non si esalta – e non esalta – per nulla: da una parte la posizione in sella in perfetto stile da "sportiva all'italiana" Anni 70 (pilota sdraiato sul serbatoio ad agguantare semimanubri poco aperti) mette in difficoltà qualsiasi pilota non avvezzo con le sportive di una volta; dall'altra, la taratura di base rigidissima delle sospensioni rende la moto poco comunicativa alle basse velocità. Men che meno se si finisce sui percorsi collinari, dove ogni imperfezione si tramuta in colpi inferti sul pilota.

Chi scrive non è proprio un peso piuma, eppure sia in uscita di curva, sia in staccata, i trasferimenti di carico risultano sempre minimi, proprio per via dell'impostazione pistaiola delle sospensioni. Poi, come per magia, appena le curve si aprono e la strada si fa più scorrevole e meno rovinata, ecco che la Paton cambia faccia, si fa più "amica", affilata ed efficace. La posizione in sella diventa perfetta, ci si sente meno impacciati e di conseguenza viene sempre più voglia di spingere forte su manubri e pedane per piegare e sfruttare il grip eccellente delle Metzeler Racetec RR montate di serie. D'incanto la S1-R LW si tuffa fulminea nelle curve senza mai risultare nervosa: i 158 kg dichiarati, che sono già pochi di loro, svaniscono lasciando in eredità un'agilità nei cambi di direzione da supermono (tipologia di monocilindrica supersportiva leggerissima in voga negli Anni 90).

Dr. Jekyll e Mr. Hyde

La Paton passa da Dottor Jekyll a Mr Hyde in un lampo, una trasformazione che i più "sgamati" apprezzeranno di sicuro. E al diavolo se quando si va piano (tipo nel traffico cittadino) i polsi dopo un po' iniziano a cigolare o, peggio ancora, la cervicale inizia a "bussare": darci dentro con la S1-R è come fare un divertentissimo viaggio nel passato ma godendo del meglio che l'attuale produzione motociclistica possa offrire. Dalle piastre di sterzo AEM Factory, ai semimanubri e le pedane ValterMoto, dalle sospensioni Öhlins completamente regolabili (FGRT 204 la forcella; TTX30 i due ammortizzatori) all'impianto frenante a firma di Brembo e TK: la prima con le pinze M4-108 ad attacco radiale (abbinate a una pompa radiale con interasse variabile), la seconda con i dischi in acciaio di derivazione Moto2. Le ruote forgiate sono di produzione OZ Racing, anch'esse di derivazione Moto2.

Il tutto unito dal lavoro degli uomini del reparto corse Paton: il telaio a traliccio in tubi di acciaio è realizzato internamente dalla stessa Paton ed è abbinato a un forcellone in alluminio costruito dalla Febur secondo specifiche richieste dell'atelier milanese. "Fatti in casa" sono anche la carenatura dalle forme Anni 70, il serbatoio in alluminio battuto a mano e le parti in carbonio. A livello di elettronica, ci sono due mappe motore (una aggressiva, l'altra più lineare), mentre mancano il controllo di trazione e l'ABS (la moto è Euro3, non ha l'obbligo dell'antibloccaggio).

Mancanze che tutto sommato non pesano: l'impianto frenante è sì potente ma anche tanto dosabile e il twin giapponese, anche se potenziato, impressiona non tanto in cattiveria, quanto per l'erogazione, molto progressiva e corposa su tutto l'arco di rotazione (sempre nei limiti degli 80 CV di cui è capace la moto), fino alla zona rossa del contagiri. Mai un tentennamento, una flessione o un cambio di carattere agli alti regimi che possa impensierire l'amatore che vuole la S1-R più come oggetto che come moto da sfruttare.

E anche la risposta al gas, prontissima, non è mai brusca o fastidiosa. Un'erogazione resa ancora più coinvolgente dal sound cupo e metallico del 2-in-1-in-2 in titanio by SC-Project, un'opera d'arte bella a vedersi e a sentirsi: se sul cavalletto la "voce" della S1-R è quella tipica del twin Kawasaki, quando si spalanca il gas l'urlo dello scarico entra nel casco portando il pilota nell'inebriante dimensione del racing. Perché per divertirsi, a volte, bastano pochi giochi, ma buoni.

Certo, tutto questo ha un prezzo: 29.480 euro. E per chi volesse di più, sono disponibili vari componenti optional per impreziosire ulteriormente la moto. Come ad esempio la carena in fibra di carbonio montata sulla S1-R della nostra prova (quella standard è in vetroresina), la frizione antisaltellamento Suter, il Quick Shifter, i cerchi OZ Racing "Piega". Infine, a 42.900 euro (c.i.m.) si può acquistare la "Race Edition", con tutto di serie e con il motore potenziato fino a 100 CV.
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