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The Black Douglas Motorcycle Sterling: sulle tracce dei pionieri
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Un salto nel passato per rivivere e riscoprire, in sella a questa "sottocanna" Sterling, quel piacere antico di andare in moto, sepolto da troppo tempo dall'irrefrenabile corsa alle prestazioni. Due le versioni 125 cc (9.950 euro) e 230 cc (11.500 euro)
Il boom delle moto ispirate ai "tempi d'oro" è ancora in pieno fermento, con mezzi che spuntano fuori come funghi da ogni dove. Vintage, rétro, classic, storiche, d'antan, i termini per definirle si sprecano, ma davanti a una Sterling Autocycle Countryman DeLuxe si rimane davvero senza parole. Fino ad ora nessuno aveva tirato così indietro le lancette del tempo, almeno per quanto riguarda la produzione in serie.
Tanto indietro che le forme Anni 20 richiamano alla mente il fenomeno dello SteamPunk, filone narrativo fantascientifico forte di ambientazioni stile Rivoluzione Industriale inglese ottocentesca, in cui personaggi fantasy addomesticano tecnologie all'avanguardia per il tempo, basate sullo sfruttamento del vapore (steam, in inglese) come forza motrice. Un'atmosfera che calza perfettamente sulla Sterling della prova, realizzata dalla The Black Douglas Motorcycle Co, azienda anglosassone nel nome e nello stile, ma con fondamenta e creatività tutta italiana. Infatti, la Sterling è pensata, realizzata e montata pezzo per pezzo nella zona industriale di Vignate, in provincia di Milano dove, guarda caso come nella Londra Vittoriana, nei periodi freddi non è difficile imbattersi nella scighera (nebbia, in dialetto milanese). Se si vuole, si può riceverla a casa smontata, per poi assemblarla nel proprio garage: bastano pochi attrezzi, et voilà, ecco la Sterling.
Tutto è realizzato artigianalmente, dal telaio al serbatoio in alluminio da 9 litri che cela tutto il cablaggio elettrico, dalle verniciature (la gamma colori tende all'infinito) alle selle in pelle dal look invecchiato. Fino ai due scatolotti sotto il posto di guida, uno per il comando d'accensione, l'altro con funzione di vano per i documenti, gli attrezzi... e l'ombrello, per essere pronti a ogni evenienza. L'idea di realizzare una perfetta replica di una sottocanna (si chiama così questa tipologia di moto) nasce dall'esigenza del proprietario della TBD, Fabio Cardoni, di ritornare alle origini, a una guida più calma. Per questo, per ora, esiste solo nelle versioni 125 e 230, spinte da motori ad aria poco potenti ma perfetti per riscoprire un rapporto più naturale e diretto con il paesaggio che scorre (non corre, badate bene) intorno.
La prova
Tra i due propulsori, il 230 è quello che convince di più per la maggiore prontezza ai bassi regimi e non per i quasi 2 CV in più. E vi assicuriamo che una volta in sella, l'ultima cosa che vien voglia di fare con la Sterling è correre. Guidare una sottocanna è come andare in giro su di una bicicletta, con tutti i suoi pro (facilità e leggerezza) e i suoi contro (rigidezza e iperreattività). Con una sella alta (e leggermente regolabile tramite un eccentrico), stretta e lunga, la Sterling sparisce da sotto gli occhi e superati i 70 km/h sembra di correre come il vento. La coppia di freni a tamburo, poi, invoglia a prendere la giusta confidenza col mezzo e a non strafare col gas perché, oggi come allora, anche gli spazi di arresto sono quel che sono. Niente dischi di grosso diametro o ABS a dare una mano. Una scelta tecnica dettata dal rispetto estetico delle moto Anni 20 e in linea con la filosofia insita nel progetto. Un "limite" cui ci si abitua comunque una volta entrati nel mood di una guida rilassata e non votata al cronometro.
Il telaio è di tipo hardtail, cioè rigido, privo di forcellone oscillante e annessa sospensione posteriore. La funzione ammortizzante viene infatti svolta dalle molle poste sotto la sella del pilota, disponibili con diverse tarature a seconda del peso di chi guida. Una soluzione semplice nella tecnica che nella pratica non si rivela così malaccio sulle asperità, grazie anche alla presenza di pneumatici dalla spalla alta poco rigidi e alla seduta eretta che permette alla schiena di lavorare al meglio e non solo di subire i colpi. Certo, le buche profonde sempre meglio schivarle, ma avvallamenti e sconnessioni varie poco accentuate restano alla portata. Discreta anche la capacità ammortizzante della forcella di tipo Girder, nota anche come "a parallelogramma", soluzione ancora valida che, con i dovuti aggiornamenti, si ritrova ancora oggi in uso su moto moderne, pesanti e potenti.
Leggerissima, maneggevole e con un angolo di sterzo esagerato che permette di fare inversione in un fazzoletto, in movimento la Sterling mostra sempre un leggero "nervosismo" nel rispondere a ogni piccola variazione di traiettoria. Così per i primi cinque minuti di guida si resta un po' tesi, sul chi va là. Poi, ci si ricorda di quando si scorrazzava con i ciclomotori a pedale, si resetta il cervello, ci si scioglie e ci si lascia trasportare. Con pneumatici larghi tre dita piegare come lo intendiamo oggi non se ne parla proprio, così com'è da abbandonare l'idea di una schivata all'ultimo momento.
La Sterling non va forzata ma trattata con i guanti, rifacendosi a uno stile di guida armonioso e rotondo che richiami il più classico dell'aplomb britannico, così da non intaccare una stabilità di marcia che alla fine si rivela tutt'altro che precaria, grazie all'interasse importante e all'uso di grandi ruote da 21". Capito questo, la sottocanna italiana regala emozioni sconosciute, un'esperienza di guida quasi onirica, che ti catapulta in un'altra epoca dove ci si immagina vestiti in tema a salutare con un semplice gesto del capo chiunque passi. Roba dell'altro mondo. Anzi, d'altri tempi.
Tra i due propulsori, il 230 è quello che convince di più per la maggiore prontezza ai bassi regimi e non per i quasi 2 CV in più. E vi assicuriamo che una volta in sella, l'ultima cosa che vien voglia di fare con la Sterling è correre. Guidare una sottocanna è come andare in giro su di una bicicletta, con tutti i suoi pro (facilità e leggerezza) e i suoi contro (rigidezza e iperreattività). Con una sella alta (e leggermente regolabile tramite un eccentrico), stretta e lunga, la Sterling sparisce da sotto gli occhi e superati i 70 km/h sembra di correre come il vento. La coppia di freni a tamburo, poi, invoglia a prendere la giusta confidenza col mezzo e a non strafare col gas perché, oggi come allora, anche gli spazi di arresto sono quel che sono. Niente dischi di grosso diametro o ABS a dare una mano. Una scelta tecnica dettata dal rispetto estetico delle moto Anni 20 e in linea con la filosofia insita nel progetto. Un "limite" cui ci si abitua comunque una volta entrati nel mood di una guida rilassata e non votata al cronometro.
Il telaio è di tipo hardtail, cioè rigido, privo di forcellone oscillante e annessa sospensione posteriore. La funzione ammortizzante viene infatti svolta dalle molle poste sotto la sella del pilota, disponibili con diverse tarature a seconda del peso di chi guida. Una soluzione semplice nella tecnica che nella pratica non si rivela così malaccio sulle asperità, grazie anche alla presenza di pneumatici dalla spalla alta poco rigidi e alla seduta eretta che permette alla schiena di lavorare al meglio e non solo di subire i colpi. Certo, le buche profonde sempre meglio schivarle, ma avvallamenti e sconnessioni varie poco accentuate restano alla portata. Discreta anche la capacità ammortizzante della forcella di tipo Girder, nota anche come "a parallelogramma", soluzione ancora valida che, con i dovuti aggiornamenti, si ritrova ancora oggi in uso su moto moderne, pesanti e potenti.
Leggerissima, maneggevole e con un angolo di sterzo esagerato che permette di fare inversione in un fazzoletto, in movimento la Sterling mostra sempre un leggero "nervosismo" nel rispondere a ogni piccola variazione di traiettoria. Così per i primi cinque minuti di guida si resta un po' tesi, sul chi va là. Poi, ci si ricorda di quando si scorrazzava con i ciclomotori a pedale, si resetta il cervello, ci si scioglie e ci si lascia trasportare. Con pneumatici larghi tre dita piegare come lo intendiamo oggi non se ne parla proprio, così com'è da abbandonare l'idea di una schivata all'ultimo momento.
La Sterling non va forzata ma trattata con i guanti, rifacendosi a uno stile di guida armonioso e rotondo che richiami il più classico dell'aplomb britannico, così da non intaccare una stabilità di marcia che alla fine si rivela tutt'altro che precaria, grazie all'interasse importante e all'uso di grandi ruote da 21". Capito questo, la sottocanna italiana regala emozioni sconosciute, un'esperienza di guida quasi onirica, che ti catapulta in un'altra epoca dove ci si immagina vestiti in tema a salutare con un semplice gesto del capo chiunque passi. Roba dell'altro mondo. Anzi, d'altri tempi.
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