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Altri sport
Il ritorno di Freddie Spencer
di Alan Cathcart, foto di Stefano Gadda
il 13/07/2011 in Altri sport
Il ragazzo prodigio della Honda, ultimo ad aver vinto nello stesso anno due titoli nel motomondiale , è tornato alle origini a Treviso guidando dopo 30 anni una moto da flat-track
Il ritorno di Freddie Spencer
A Freddie Spencer piace fare le cose in modo diverso. Anziché unirsi ai suoi numerosi colleghi che, di tanto in tanto, fanno un tuffo nel passato in occasione dei vari eventi organizzati in tutto il mondo guidando le stesse moto da Gran Premio con le quali hanno conquistato alcune vittorie - se non addirittura uno o più titoli mondiali quando erano nel pieno della giovinezza - l'ultimo pilota ad aver vinto due campionati del mondo nello stesso anno (ovvero il 1985, quando con la Honda si aggiudicò sia la 250 che la 500) preferisce ricordare i bei tempi andati cimentandosi anche sui tracciati non asfaltati. Una scelta che merita senza dubbio grande rispetto.
Ho avuto perciò la possibilità di parlare con Fast Freddie presso l'Ippodromo di Treviso, al termine di un weekend trascorso sull'ovale sterrato insieme a Marco Belli, campione europeo in carica di Flat Track, e a Graziano Rossi, ex pilota del Motomondiale nonché papà di Valentino, oltre che ex avversario dello stesso Freddie (anche se nel frattempo sono diventati amici). Il colloquio ha fatto luce su questo ritorno alle origini, effettuato stranamente in Italia piuttosto che negli Stati Uniti...
Alan Cathcart: Caro Freddie, com'è che sei venuto qui a Treviso per guidare di nuovo una flat tracker dopo tanto tempo?
Alan Cathcart: Caro Freddie, com'è che sei venuto qui a Treviso per guidare di nuovo una flat tracker dopo tanto tempo?
Freddie Spencer: Il merito è di Paolo Chiaia, proprietario della Zaeta, e di Marco Belli, suo socio oltre che ottimo pilota. Sono stato contattato per partecipare a un grande evento di moto storiche sul circuito di Varano, Paolo è venuto a saperlo e mi ha invitato qui. È un bravo ragazzo e mette un sacco di passione nel promuovere questo sport. Così, vedendomi offrire la possibilità di tornare al mio primo amore, il flat track, dopo quasi tre decenni, ho accettato al volo. L'ultima volta che ho corso nel flat track è stato nel 1981, alla Indy Mile, ma l'ultima volta che ho guidato una monocilindrica di grossa cilindrata come questa Zaeta è stato al Peoria TT, nel luglio di quello stesso anno. Sempre nel 1981, a inizio stagione, avevo quasi vinto la Ascot Park di Los Angeles con una moto analoga, ma l'ultima volta in assoluto che ho guidato una flat tracker, in realtà, è stato all'inizio del 1985, quando ne ho utilizzata una per allenarmi, cosa che, come ho avuto modo di apprendere dallo stesso Graziano, fa regolarmente anche Valentino. Quindi stiamo parlando di 26 anni dall'ultima volta che ho messo le ruote su un ovale sterrato!
AC: Hai cominciato a correre nel flat track quando eri molto giovane, come molti altri piloti americani della tua generazione?
FS: Certamente. È stato sul Lago di Lavon, Texas, in sella a una moto con il motore di un tosaerba Briggs & Stratton. Avevo 5 anni. Ricordo ancora la pista: c'era il rettilineo, due curve a sinistra, poi una salita, una bella curva a sinistra, un piccolo salto, una leggera curva a destra, una breve discesa e poi di nuovo il rettilineo. Con quella moto andavo ovunque, sporcandomi dalla testa ai piedi, e i miei genitori erano stanchi di questa situazione, così mi hanno portato in pista. È stato così che è iniziata la mia carriera agonistica! La prima corsa che ho disputato era di 5 giri: ogni volta che piegavo sulla destra, però, mi saltava la catena, dal momento che la Briggs & Stratton aveva una corona di trasmissione molto grande su quel lato. Mio padre mi ha raccontato che al mio rientro avevo le lacrime agli occhi e che, a quanto pare, ho detto: "Non voglio perdere mai più!" Così andò a comprarmi una Mini Trial 50 presso la J.W. Gorman Power Cycles e, in un certo senso, quella è stata la mia prima esperienza come pilota Honda! Dopo di che, ho corso nel flat track abbastanza intensamente per circa dieci anni.
AC: Fino al punto di diventare pilota ufficiale Bultaco, giusto?
FS: Giusto, all'età di 14 anni. Per me ha rappresentato un grande traguardo perché insieme all'ingaggio mi fornirono una tuta in pelle della ABC color camoscio che, sul rosso/marrone della Bultaco, all'epoca era veramente alla moda!
AC: Dopo essere passato alla categoria Esperti, sei riuscito a conquistare qualche vittoria nel campionato nazionale di Dirt Track?
FS: No, perché una volta raggiunti i 16 anni, nel 1977, ero già impegnato nella velocità, dove avevo deciso di concentrare i miei sforzi. In precedenza, prima ancora che Kenny (Roberts Senior, ndr) andasse in Europa, quando avevo 11 anni, lessi su Cycle News che Kent Andersson aveva vinto il campionato del mondo classe 125 con una Yamaha. Così, dissi a mio padre che stavano realizzando delle repliche di quella moto da vendere negli Stati Uniti e lui, quando avevo 12 anni, andò alla concessionaria di zona per ordinare una Yamaha 125. E' così che ho iniziato a correre nella velocità. Tra l'altro, un giorno ho conosciuto Kent Andersson di persona. Non lo dimenticherò mai: era il maggio del 1984, quando hanno costruito la nuova pista del Nurburgring e avevano chiamato un sacco di "vecchi" piloti per inaugurarlo. È lì che ho incontrato Jim Redman, Luigi Taveri e Phil Read. Poi, a un certo punto, mi si è avvicinato un tizio e mi ha detto: "Ciao Freddie, sono Kent Andersson", e io ho risposto: "Ma certo, Mr. Andersson, io so chi è lei!" Lui mi ha guardato in modo un po' stupito e ha replicato: "Sai chi sono?" "Certo che lo so, lei ha vinto il campionato del mondo con la Yamaha 125 e io mi sono fatto comprare la replica di quella moto, con gli stessi colori. In pratica, se ho iniziato a correre nei Gran Premi è per merito suo." Mentre gli dicevo queste parole era come se fossi tornato ragazzino, mentre da parte sua vedevo un velo di stupore sul suo volto!
FS: Certamente. È stato sul Lago di Lavon, Texas, in sella a una moto con il motore di un tosaerba Briggs & Stratton. Avevo 5 anni. Ricordo ancora la pista: c'era il rettilineo, due curve a sinistra, poi una salita, una bella curva a sinistra, un piccolo salto, una leggera curva a destra, una breve discesa e poi di nuovo il rettilineo. Con quella moto andavo ovunque, sporcandomi dalla testa ai piedi, e i miei genitori erano stanchi di questa situazione, così mi hanno portato in pista. È stato così che è iniziata la mia carriera agonistica! La prima corsa che ho disputato era di 5 giri: ogni volta che piegavo sulla destra, però, mi saltava la catena, dal momento che la Briggs & Stratton aveva una corona di trasmissione molto grande su quel lato. Mio padre mi ha raccontato che al mio rientro avevo le lacrime agli occhi e che, a quanto pare, ho detto: "Non voglio perdere mai più!" Così andò a comprarmi una Mini Trial 50 presso la J.W. Gorman Power Cycles e, in un certo senso, quella è stata la mia prima esperienza come pilota Honda! Dopo di che, ho corso nel flat track abbastanza intensamente per circa dieci anni.
AC: Fino al punto di diventare pilota ufficiale Bultaco, giusto?
FS: Giusto, all'età di 14 anni. Per me ha rappresentato un grande traguardo perché insieme all'ingaggio mi fornirono una tuta in pelle della ABC color camoscio che, sul rosso/marrone della Bultaco, all'epoca era veramente alla moda!
AC: Dopo essere passato alla categoria Esperti, sei riuscito a conquistare qualche vittoria nel campionato nazionale di Dirt Track?
FS: No, perché una volta raggiunti i 16 anni, nel 1977, ero già impegnato nella velocità, dove avevo deciso di concentrare i miei sforzi. In precedenza, prima ancora che Kenny (Roberts Senior, ndr) andasse in Europa, quando avevo 11 anni, lessi su Cycle News che Kent Andersson aveva vinto il campionato del mondo classe 125 con una Yamaha. Così, dissi a mio padre che stavano realizzando delle repliche di quella moto da vendere negli Stati Uniti e lui, quando avevo 12 anni, andò alla concessionaria di zona per ordinare una Yamaha 125. E' così che ho iniziato a correre nella velocità. Tra l'altro, un giorno ho conosciuto Kent Andersson di persona. Non lo dimenticherò mai: era il maggio del 1984, quando hanno costruito la nuova pista del Nurburgring e avevano chiamato un sacco di "vecchi" piloti per inaugurarlo. È lì che ho incontrato Jim Redman, Luigi Taveri e Phil Read. Poi, a un certo punto, mi si è avvicinato un tizio e mi ha detto: "Ciao Freddie, sono Kent Andersson", e io ho risposto: "Ma certo, Mr. Andersson, io so chi è lei!" Lui mi ha guardato in modo un po' stupito e ha replicato: "Sai chi sono?" "Certo che lo so, lei ha vinto il campionato del mondo con la Yamaha 125 e io mi sono fatto comprare la replica di quella moto, con gli stessi colori. In pratica, se ho iniziato a correre nei Gran Premi è per merito suo." Mentre gli dicevo queste parole era come se fossi tornato ragazzino, mentre da parte sua vedevo un velo di stupore sul suo volto!
AC: Perciò da giovanissimo hai coniugato il flat track con la velocità?
FS: A 16 anni sono diventato pilota professionista, quindi ero in procinto di concentrarmi sulla velocità, che rappresentava l'80% della mia attività di pilota, ma al tempo stesso correvo nel flat track per ottenere la licenza Junior. Ho vinto un sacco di gare riservate agli Esordienti anche nel 1978, nonostante fossi già concentrato sulle corse in pista. Ho disputato circa dieci gare tra gli Esordienti e penso di averne vinte otto, tra l'altro in sella alle 250 monocilindriche di mio padre, una equipaggiata con motore Suzuki e telaio Trackmaster e l'altra con motore Bultaco e telaio C&J. E' stato un modo per continuare ad accumulare i punti necessari per passare alla categoria Senior che, quando ne ho avuto la possibilità, mi ha permesso di correre in Superbike. Poi, però, mio padre ha convinto Dick O'Brien ad affidarmi una Harley-Davidson XR750 da flat track. Dick era il vecchio responsabile del reparto corse Harley e il suo gesto, che naturalmente ho apprezzato molto, mi ha dato ulteriori motivazioni, tant'è che ho iniziato a vincere. Così ho avuto modo di correre con la Harley come Juniores nel 1979, anche se in realtà ero già impegnato con Erv (Kanemoto, ndr) nelle corse su pista, che rappresentavano il mio obiettivo principale. Fatta eccezione per Daytona, ho vinto tutte le gare della 250 AMA di quella stagione con la TZ 250, e in più ho avuto anche la possibilità di guidare la Kawasaki Superbike di Mike Baldwin, perché quest'ultimo si era fatto male a Loudon, rompendosi un dito. Ho vinto l'AMA National Junior Invitational di flat track al San Jose Mile, ho vinto a Sacramento e di nuovo a Des Moines. Probabilmente ho disputato 8 o 9 gare di flat track mentre ero comunque impegnato nella velocità, accumulando in modo piuttosto facile i punti che mi servivano per passare alla categoria Senior. Successivamente, ho iniziato a correre a tempo pieno nella Superbike con la Honda America e da lì sono passato ai Gran Premi; perciò il flat track ho avuto un ruolo davvero importante nella mia formazione sportiva.
AC: Ricordo di averti visto correre all'Houston Astrodome, nel gennaio del 1981, quando avevi a disposizione una Honda 250 a 2 tempi con raffreddamento a liquido, mentre tutti erano in sella a moto raffreddate ad aria. Faceva parte dei vantaggi che comportava l'essere un pilota Honda?
FS: Beh, in effetti lo era, anche se in realtà si trattava della prima gara dell'anno e non riuscimmo a sfruttare appieno il potenziale della moto. Quest'ultima forniva una poderosa spinta in uscita di curva, ma paradossalmente ciò costituiva un problema. La trazione utile, infatti, arrivava solo a moto perfettamente dritta, ma se hai presente come era fatto l'Astrodome, ti ricorderai che i rettilinei erano piuttosto corti e le curve erano abbastanza strette, trattandosi di un circuito al coperto. Ad ogni modo, abbiamo portato avanti un ottimo lavoro di messa a punto che, nel proseguo della stagione, ha dato i suoi frutti.
FS: A 16 anni sono diventato pilota professionista, quindi ero in procinto di concentrarmi sulla velocità, che rappresentava l'80% della mia attività di pilota, ma al tempo stesso correvo nel flat track per ottenere la licenza Junior. Ho vinto un sacco di gare riservate agli Esordienti anche nel 1978, nonostante fossi già concentrato sulle corse in pista. Ho disputato circa dieci gare tra gli Esordienti e penso di averne vinte otto, tra l'altro in sella alle 250 monocilindriche di mio padre, una equipaggiata con motore Suzuki e telaio Trackmaster e l'altra con motore Bultaco e telaio C&J. E' stato un modo per continuare ad accumulare i punti necessari per passare alla categoria Senior che, quando ne ho avuto la possibilità, mi ha permesso di correre in Superbike. Poi, però, mio padre ha convinto Dick O'Brien ad affidarmi una Harley-Davidson XR750 da flat track. Dick era il vecchio responsabile del reparto corse Harley e il suo gesto, che naturalmente ho apprezzato molto, mi ha dato ulteriori motivazioni, tant'è che ho iniziato a vincere. Così ho avuto modo di correre con la Harley come Juniores nel 1979, anche se in realtà ero già impegnato con Erv (Kanemoto, ndr) nelle corse su pista, che rappresentavano il mio obiettivo principale. Fatta eccezione per Daytona, ho vinto tutte le gare della 250 AMA di quella stagione con la TZ 250, e in più ho avuto anche la possibilità di guidare la Kawasaki Superbike di Mike Baldwin, perché quest'ultimo si era fatto male a Loudon, rompendosi un dito. Ho vinto l'AMA National Junior Invitational di flat track al San Jose Mile, ho vinto a Sacramento e di nuovo a Des Moines. Probabilmente ho disputato 8 o 9 gare di flat track mentre ero comunque impegnato nella velocità, accumulando in modo piuttosto facile i punti che mi servivano per passare alla categoria Senior. Successivamente, ho iniziato a correre a tempo pieno nella Superbike con la Honda America e da lì sono passato ai Gran Premi; perciò il flat track ho avuto un ruolo davvero importante nella mia formazione sportiva.
AC: Ricordo di averti visto correre all'Houston Astrodome, nel gennaio del 1981, quando avevi a disposizione una Honda 250 a 2 tempi con raffreddamento a liquido, mentre tutti erano in sella a moto raffreddate ad aria. Faceva parte dei vantaggi che comportava l'essere un pilota Honda?
FS: Beh, in effetti lo era, anche se in realtà si trattava della prima gara dell'anno e non riuscimmo a sfruttare appieno il potenziale della moto. Quest'ultima forniva una poderosa spinta in uscita di curva, ma paradossalmente ciò costituiva un problema. La trazione utile, infatti, arrivava solo a moto perfettamente dritta, ma se hai presente come era fatto l'Astrodome, ti ricorderai che i rettilinei erano piuttosto corti e le curve erano abbastanza strette, trattandosi di un circuito al coperto. Ad ogni modo, abbiamo portato avanti un ottimo lavoro di messa a punto che, nel proseguo della stagione, ha dato i suoi frutti.
AC: Che importanza ha avuto il flat track nella tua carriera? Ha in qualche modo influenzato il tuo stile di guida con le moto da Gran Premio?
FS: Ha certamente influenzato il mio stile, quindi ha avuto un'influenza molto importante. Se dopo trent'anni di lontananza dagli ovali sterrati sono qui a Treviso è anche per rendere omaggio a questa disciplina, che a me ha dato tanto e che considero una delle espressioni più pure del motociclismo agonistico. Si tratta di uno sport bellissimo, che aiuta a sviluppare una grande sensibilità nel controllo della moto. In realtà, infatti, gestire la derapata della ruota posteriore con una moto da flat track non è poi così diverso che farlo con una moto da Gran Premio. Quando ero all'apice della mia carriera agonistica sapevo esattamente fino a dove potevo spingermi, proprio grazie all'esperienza maturata nel flat track. E' una disciplina davvero bella e divertente da praticare. Si inizia aumentando progressivamente la velocità e poi si "gioca" con il commando del gas. Bastava guardare il sorriso che avevo sotto il casco mentre provavo la moto di Marco (Belli, ndr) per capire che cosa si prova!
AC: Com'è la Zaeta se confrontata con i grossi monocilindrici di una volta? Ti senti ancora a tuo agio su una moto di questo tipo?
FS: Assolutamente. Non ho apportato alcuna modifica alla moto, nonostante il tracciato sia piuttosto tecnico e impegnativo, proprio perché si tratta di un'ottima moto. In verità, devo dire che nonostante fosse molto tempo che non praticavo questo sport, le flat tracker moderne non sono poi così diverse da quelle che usavo io a suo tempo. Diciamo che le moto hanno mantenuto più o meno le stesse caratteristiche di guida, sia come prestazioni che come sensazioni. Giro dopo giro, infatti, stavo riprendendo i vecchi automatismi, ma poi ho avuto un problema con la protezione in acciaio dei miei stivali. Purtroppo, Ken Maely non è più lì, munito di saldatore, a riparare gli stivali di noi piloti, come accadeva una volta. Ken rappresentava una garanzia per tutti e ha lasciato un grande vuoto quando è morto nel 2003. Ad ogni modo, visto che mi piacerebbe ripetere questa esperienza nel flat track, penso che dovrò trovare qualcuno in grado di realizzare delle protezioni su misura!
AC: Insomma, stai dicendo che lo spirito di questo sport è rimasto quello di un tempo?
FS: Assolutamente. Basta applicarsi un po' e il feeling torna a essere lo stesso. Pian piano riemergono le varie sfumature che accompagnano il funzionamento di una moto da flat track, che sono ovviamente diverse rispetto a quelle di una GP. Lo dimostra il fatto che, dopo così tanti anni di inattività, durante i quali non ho avuto mai occasione di provare una vera moto da corsa, mi sono bastati pochi giri per tornare a guidare di traverso. Basta aumentare progressivamente la velocità di percorrenza in curva fino a quando la moto non inizia a muoversi. Paradossalmente, quello è il momento in cui la moto diventa più stabile e si ottiene una sensazione di maggior controllo, mentre finché la ruota posteriore non derapa, a causa della bassa velocità, una flat traker risulta più nervosa.
AC: Adesso, dunque, dobbiamo aspettarci che tu raggiunga John Kocinski in California per sfidarlo presso il Ferris Speedway, dove l'ex campione del mondo della 250 e della Superbike è solito cimentarsi nel tempo libero?
FS: No, non credo che lo farò! Lascerò che John si sfoghi con i piloti più giovani, ma in ogni caso mi sono divertito molto durante questo weekend, tornado a praticare il flat track, questo è poco ma sicuro!
FS: Ha certamente influenzato il mio stile, quindi ha avuto un'influenza molto importante. Se dopo trent'anni di lontananza dagli ovali sterrati sono qui a Treviso è anche per rendere omaggio a questa disciplina, che a me ha dato tanto e che considero una delle espressioni più pure del motociclismo agonistico. Si tratta di uno sport bellissimo, che aiuta a sviluppare una grande sensibilità nel controllo della moto. In realtà, infatti, gestire la derapata della ruota posteriore con una moto da flat track non è poi così diverso che farlo con una moto da Gran Premio. Quando ero all'apice della mia carriera agonistica sapevo esattamente fino a dove potevo spingermi, proprio grazie all'esperienza maturata nel flat track. E' una disciplina davvero bella e divertente da praticare. Si inizia aumentando progressivamente la velocità e poi si "gioca" con il commando del gas. Bastava guardare il sorriso che avevo sotto il casco mentre provavo la moto di Marco (Belli, ndr) per capire che cosa si prova!
AC: Com'è la Zaeta se confrontata con i grossi monocilindrici di una volta? Ti senti ancora a tuo agio su una moto di questo tipo?
FS: Assolutamente. Non ho apportato alcuna modifica alla moto, nonostante il tracciato sia piuttosto tecnico e impegnativo, proprio perché si tratta di un'ottima moto. In verità, devo dire che nonostante fosse molto tempo che non praticavo questo sport, le flat tracker moderne non sono poi così diverse da quelle che usavo io a suo tempo. Diciamo che le moto hanno mantenuto più o meno le stesse caratteristiche di guida, sia come prestazioni che come sensazioni. Giro dopo giro, infatti, stavo riprendendo i vecchi automatismi, ma poi ho avuto un problema con la protezione in acciaio dei miei stivali. Purtroppo, Ken Maely non è più lì, munito di saldatore, a riparare gli stivali di noi piloti, come accadeva una volta. Ken rappresentava una garanzia per tutti e ha lasciato un grande vuoto quando è morto nel 2003. Ad ogni modo, visto che mi piacerebbe ripetere questa esperienza nel flat track, penso che dovrò trovare qualcuno in grado di realizzare delle protezioni su misura!
AC: Insomma, stai dicendo che lo spirito di questo sport è rimasto quello di un tempo?
FS: Assolutamente. Basta applicarsi un po' e il feeling torna a essere lo stesso. Pian piano riemergono le varie sfumature che accompagnano il funzionamento di una moto da flat track, che sono ovviamente diverse rispetto a quelle di una GP. Lo dimostra il fatto che, dopo così tanti anni di inattività, durante i quali non ho avuto mai occasione di provare una vera moto da corsa, mi sono bastati pochi giri per tornare a guidare di traverso. Basta aumentare progressivamente la velocità di percorrenza in curva fino a quando la moto non inizia a muoversi. Paradossalmente, quello è il momento in cui la moto diventa più stabile e si ottiene una sensazione di maggior controllo, mentre finché la ruota posteriore non derapa, a causa della bassa velocità, una flat traker risulta più nervosa.
AC: Adesso, dunque, dobbiamo aspettarci che tu raggiunga John Kocinski in California per sfidarlo presso il Ferris Speedway, dove l'ex campione del mondo della 250 e della Superbike è solito cimentarsi nel tempo libero?
FS: No, non credo che lo farò! Lascerò che John si sfoghi con i piloti più giovani, ma in ogni caso mi sono divertito molto durante questo weekend, tornado a praticare il flat track, questo è poco ma sicuro!
Il ritorno di Freddie Spencer
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