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Moto & Scooter

Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini

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Un giovane Massimo Tamburini al lavoro sulla HB1, la sua prima moto
Il prototipo Cagiva-Bimota con motore Ducati Pantah 650 del 1984
La Bimota DB1 di Morri, Martini, Marconi e Ugolini del 1985
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Telaio a traliccio, motore portante con forcellone infulcrato nel carter: soluzioni ciclistiche all'avanguardia
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Il pregiato alluminio Avional abbondava su piastre forcella, pedane e numerose altre parti
La DB1 R da gara a confronto con la DB1 di serie
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Il telaio era misto con gabbia portante in acciaio CrMo e telaietto in alluminio
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Doppio tappo per riempire rapidamente il serbatoio nelle gare Endurance
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
La versione SR del 1987 con motore potenziato, cerchi Mavic in magnesio scomponibili e altre dotazioni al top
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
La Ducati Paso in mostra al Museo Ducati di Borgo Panigale
La Paso con alle spalle la 750 F1, ultimo modello prima dell'era Castiglioni-Tamburini
La Paso aveva un telaio doppia culla in tubi quadri con telaietto saldato e motore non portante, una struttura convenzionale per l'epoca
La Paso 906 del 1988 con motore 904 due valvole, penultima incarnazione prima della 907 i.e.
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Tamburini e la sua squadra con la 916 di Carl Fogarty
Tamburini con una 916 racing
Claudio Castiglioni e Massimo Tamburini con la MV F4
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Il gruppo di lavoro ristretto della Ducati 916; Tamburini è al centro con la cravatta

Dopo che Ducati e Bimota si erano scambiati i progettisti mettendoli al lavoro su moto simili, il risultato arrivò al Salone di Milano del 1985, dove la Bimota DB1 di Federico Martini risultò più riuscita della Ducati Paso 750 del genio di Rimini

Sanguigno, competitivo, perfezionista, e indubbiamente geniale, Massimo Tamburini di sfide nella sua vita può dire di averne perse poche: dalla fondazione di Bimota, imposta all'attenzione mondiale a suon di sportive leggendarie, al rilancio prima di Ducati con la 916 e poi di MV Agusta con la F4 e la Brutale, il tecnico riminese ha lasciato nella storia della moto un segno indelebile. C'è però una occasione nella quale il fuoriclasse romagnolo non brillò in un confronto diretto. Si tratta di una sfida “in casa” con la sua vecchia azienda, in uno di quegli strani incroci di destini che a volte succedono. Siamo a metà degli anni 80, la Cagiva dei fratelli Castiglioni ha appena rilevato la Ducati dalla VM Motori, di fatto una proprietà statale.
Claudio Castiglioni e Massimo Tamburini ai tempi di MV: un rapporto che andava al di là di quello professionale

Rilanciare la Ducati

Per rilanciare il blasone ormai decaduto del marchio bolognese si decide di connotarlo in senso soprattutto sportivo, cavalcando gli ancora recenti successi di Mike Hailwood con la 900 SS e Marco Lucchinelli con la 750 F1. I Castiglioni avviano il progetto “Desmoquattro” che porterà alla 851 i.e., ma sanno che i risultati non arriveranno subito: mentre c'è bisogno di un nuovo modello in tempi brevi. Gianfranco Castiglioni contatta allora la Bimota, commissionandole il progetto di una sportiva stradale con il classico motore Ducati ad aria (il Pantah 650, un Desmo due valvole ad aria) e anticipando il 50% delle spese. Siamo nel 1984 e di quella Bimota non fanno già più parte due dei tre fondatori: Valerio Bianchi se n'era andato ancora prima che l'azienda si spostasse dalla termoidraulica alle motociclette, e Massimo Tamburini ha appena lasciato a seguito di contrasti con Giuseppe Morri, unico rimasto a gestire l’azienda.
Il prototipo Cagiva-Bimota con motore Ducati Pantah 650 (1984)

Bocciatura a sorpresa

Il prototipo viene così sviluppato da Federico Martini, arrivato in Bimota da Ducati al posto di Tamburini. Martini viene assistito dai giovani ingegneri Pier Luigi Marconi e Roberto Ugolini, gli stessi che avevano già lavorato sulla Tesi: Marconi si occuperà dal telaio (un traliccio che sarà il primo telaio Bimota progettato al CAD) e Ugolini dello stile. Quando il progetto viene presentato ai Castiglioni, la proposta viene però bocciata: non è chiaro se perché il prototipo (che lasciava il motore in vista, un po’ come sulla successiva Gilera KZ 125) non piaceva o per dissapori tra Claudio Castiglioni e Giuseppe Morri. A quel punto Morri offre a Gianfranco Castiglioni di rifondergli il denaro anticipato in cambio della proprietà del progetto. L'accordo viene fatto e a Rimini si mettono al lavoro per completare lo sviluppo di quella che sarebbe diventata la prima Bimota italiana al 100%: la DB1, sigla che seguendo la nomenclatura sempre seguita dall’azienda stava per “modello Bimota con motore Ducati N.1”.
La DB1 R e la DB1 stradale

Arriva la Paso

Nel frattempo, ai Castiglioni resta il problema sua di sviluppare rapidamente una sportiva stradale più moderna della F1 e più accessibile della sua raffinata erede, la 851 i.e. da Superbike. In Ducati è appena arrivato Massimo Tamburini, che nel frattempo avava seguito per una stagione il team Gallina in 500, e il suo primo incarico è proprio quello: tirar fuori qualcosa di buono dal vecchio “pompone”. In pochi mesi Tamburini realizza la Paso, che dedica allo scomparso pilota Renzo Pasolini, suo conterraneo e quasi coetaneo. Anche se non quanto la 851, la Paso è un modello molto importante per la storia di Ducati, che per la prima volta da molti anni mostra la capacità di realizzare un modello al passo coi tempi dal punto di vista tecnico (telaio in tubi quadri, forcellone in alluminio con leveraggio progressivo, sospensioni Marzocchi di prima scelta) e anzi all'avanguardia dal punto di vista del design, che sfoggia la prima carenatura “sigillata” battendo sul tempo la attesissima Honda CBR600F, che arriva a Colonia nel 1986 mentre la Paso viene presentata al Salone di Milano del 1985.
La Ducati Paso 750 del 1985: la carenatura sigillata e le linee modernissime fecero scalpore

Milano 1985: il faccia a faccia

In quello stesso Salone del 1985 fa bella mostra di sé anche la DB1. Molto diversa dal prototipo Cagiva-Bimota, ha anche lei una carenatura sigillata, che ne fa il terzo modello sportivo ad adottare questa soluzione nel giro di pochi mesi. Dal punto di vista commerciale è una moto ancor più di nicchia della Paso: arriva da un piccolo marchio di provincia, è raffinata ma costosissima e con prestazioni (all’epoca il principale motivo di acquisto) che restano lontane da quelle delle rivali giapponesi. Così, se la Honda venderà centinaia di migliaia di CBR600F, la Paso non arriverà a 10.000 pezzi considerando tutte le serie fino alla 907 i.e.; e la DB1, venduta al prezzo di listino di due CBR600F, resterà una rarità: nemmeno 700 pezzi (comprese le versioni J con motore 400 e le ancora più ricercate S ed SR), che ne fanno oggi una moto molto ricercata. Pur con numeri così bassi, la DB1 rappresenta per Bimota un grande successo, che consente all'azienda riminese di uscire dall'amministrazione controllata in cui era entrata a fine 1983.
La pubblicità della Bimota DB1 ne sottolineava l'aspetto avveniristico

Ciclistica: contemporaneità contro avanguardia

Dal punto di vista tecnico e dello schietto fascino, poi, la DB1 è senz'altro una moto più riuscita della Paso. Nonostante il rischio di apparire pacchiana, la livrea tricolore in stile Alitalia (quando ancora la compagnia di bandiera era motivo di orgoglio e non un simbolo di dissesto, e anche Aprilia ci giocava) fa un buon servizio nel sottolineare le linee movimentate della carenatura, sicuramente la più riuscita tra tutte le "sigillate" di quel periodo. Appena sbarcata in Giappone, la DB1 diventa quel che si dice un “instant classic”, un’icona dello stile italiano. Sotto le plastiche, poi, non c'è una ciclistica al risparmio come quella Honda o comunque piena di ragionevolezza industriale come quella della Paso, ma la consueta profusione di “chicche” e soluzioni all’avanguardia in perfetto stile Bimota: mentre la Paso ha un classico telaio a doppia culla, la DB1 ha un traliccio di ispirazione racing che usa il motore come elemento stressato. Il forcellone è infulcrato nel basamento e molta della componentistica come il manubrio e i comandi a pedale è realizzata nel leggero alluminio "Avional 14". Sospensioni e freni sono al top dell’offerta di Marzocchi e Brembo, sempre nell'ottica di offrire un prodotto tutto italiano. Le ruote in alluminio sono realizzate dalla stessa Bimota, le gomme sono le prime radiali /60 mai viste e con la loro oggi inconsueta misura da 16” rendono la DB1 più svelta di qualunque Ducati dell'epoca – ma anche ben più nervosa. In cerca di maneggevolezza, anche Tamburini mette sulla Paso delle 130/60-16 e 160/60-16, ma deve fare i conti con un peso di 195 kg a secco, ben 30 kg più della moto riminese.
Specialissima come ogni Bimota, la DB1 anticipò soluzioni come il telaio a traliccio con motore portante e forcellone infulcrato nel carter
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
La tipica strumentazione circolare a fondo bianco delle sportive dell'epoca e la bellissima piastra forcella in Avional
Il freno posteriore aveva un'asta di reazione e davanti non mancava il sistema anti-dive per la forcella
Il telaietto reggisella era in alluminio; questa è una versione R destinata alla pista
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini

L'incrocio di destini

In quel Salone di Milano del 1985, tutto sommato lontano dai riflettori che in quegli anni sono tutti rivolti alle novità del Sol Levante, si gioca quindi un derby storico tra Massimo Tamburini, ex Bimota passato a Ducati, e Federico Martini, ex Ducati passato a Bimota. E la storia, vista con gli occhi di oggi, dà in questa occasione ragione al team Bimota. La sfida sullo stesso tema tecnico (sportiva all'italiana con motore "Desmodue") che ha portato da una parte alla Paso e dall'altra alla DB1 resterà così come una delle pochissime, se non l'unica, che il tecnico riminese non abbia vinto a mani basse, pur concedendogli come detto l'attenuante di una diversa libertà progettuale (e connessi vincoli di costo) in un'azienda già consolidata come Ducati rispetto all'atelier Bimota. Indubbiamente Tamburini ha poi tratto da questa vicenda ulteriore slancio per realizzare i suoi successivi progetti, reclamando e ottenendo quei margini di manovra che inizialmente non aveva avuto. Margini che avrebbe sfruttato nello sviluppo della rivoluzionaria 916 pochi anni dopo; ma restando a quel 1985, la prima sfida tra una Ducati di Tamburini e una Bimota non più di Tamburini la vince senz'altro la Bimota e bisogna dare il giusto credito a Morri, Martini, Marconi e Ugolini per il loro straordinario risultato.
Giuseppe Morri e Federico Martini con la DB1 R da corsa e una DB1 di serie
Dopo la Paso: il gruppo di lavoro ristretto della Ducati 916, Tamburini è al centro con la cravatta
Un giovane Massimo Tamburini al lavoro sulla HB1, la sua prima moto
Il prototipo Cagiva-Bimota con motore Ducati Pantah 650 del 1984
La Bimota DB1 di Morri, Martini, Marconi e Ugolini del 1985
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Telaio a traliccio, motore portante con forcellone infulcrato nel carter: soluzioni ciclistiche all'avanguardia
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Il pregiato alluminio Avional abbondava su piastre forcella, pedane e numerose altre parti
La DB1 R da gara a confronto con la DB1 di serie
Il telaio era misto con gabbia portante in acciaio CrMo e telaietto in alluminio
Il telaio era misto con gabbia portante in acciaio CrMo e telaietto in alluminio
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Il telaio era misto con gabbia portante in acciaio CrMo e telaietto in alluminio
Doppio tappo per riempire rapidamente il serbatoio nelle gare Endurance
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
La versione SR del 1987 con motore potenziato, cerchi Mavic in magnesio scomponibili e altre dotazioni al top
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
La Ducati Paso in mostra al Museo Ducati di Borgo Panigale
La Paso con alle spalle la 750 F1, ultimo modello prima dell'era Castiglioni-Tamburini
La Paso aveva un telaio doppia culla in tubi quadri con telaietto saldato e motore non portante, una struttura convenzionale per l'epoca
La Paso 906 del 1988 con motore 904 due valvole, penultima incarnazione prima della 907 i.e.
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini
Tamburini e la sua squadra con la 916 di Carl Fogarty
Tamburini con una 916 racing
Claudio Castiglioni e Massimo Tamburini con la MV F4
Bimota DB1: l’unica sfida persa da Massimo Tamburini

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