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Moto & Scooter

A volte ritornano: il caso BSA

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A volte ritornano: il caso BSA

Acquistato dagli indiani di Mahindra dopo lunghe peripezie, il marchio inglese sta tornando sui mercati europei con una monocilindrica ultra-classica, che è l'occasione per riflettere sul destino dei costruttori inglesi rilanciati dall'India

Da qualche anno la sigla BSA è tornata a circolare dopo essere stata a lungo dimenticata, triste contrappasso per quello che nel Dopoguerra era arrivato ad essere il più grande costruttore di moto del mondo. Travolta dalla concorrenza europea ma soprattutto giapponese, BSA scomparve già all’inizio degli Anni 70 ed è rimasta l’ultimo grande marchio inglese da resuscitare, dopo i rilanci di Triumph a fine Anni 80 e di Norton (quest’ultimo ancora problematico) qualche anno fa. Così come Husqvarna, BSA nasce come produttore di armi, in particolare fucili: da qui il nome, sigla di “Birmingham Small Arms” e il logo. All’inizio è proprio un consorzio di produttori di fucili, che con il calo delle commesse già a fine Ottocento inizia a riconvertire la produzione di tubi per canne di fucile in tubi per canne di bicicletta, più tardi (dal 1903) di motocicletta e infine addirittura di automobili.

Dalla gloria all'oblio

Durante i due conflitti mondiali BSA torna a concentrarsi temporaneamente sulle forniture militari, ma già tra le due Guerre era arrivata a produrre moto fino a 1.000 cc. Dopo il 1945 l’azienda cavalca la rinata richiesta di mobilità, ed è con l’acquisizione di Triumph nel 1951 che BSA diventa il primo costruttore del mondo. I suoi modelli di punta sono monocilindriche e bicilindriche tra i 350 e i 650 cc, in particolare le prime siglate Gold Star. Si tratta di moto tecnicamente valide e versatili (vengono usate anche in competizioni sia su strada che off-road), pur se evolute con lentezza e presto surclassate dalle giapponesi in termini sia di prestazioni che di affidabilità. A differenza di Triumph e Norton, BSA è stata protagonista di tentativi di rilancio poco convinti e comunque poco fortunati, fino a entrare nell’enorme movimento di “buy-back” di aziende inglesi da parte di aziende dell’ex colonia India. Acquistata da Mahindra nel 2016, BSA è finita in quello che è di fatto diventato un Gruppo comprendente anche i marchi Peugeot Motocycles (parzialmente ceduto a un fondo di investimento pochi giorni fa) e Jawa. Poco dopo, per restare in tema, TVS ha acquistato Norton.

vera e propria icona del motociclismo inglese, la Gold Star 500 è un'elegantissima monocilincrica prodotta da BSA per decenni: qui la versione del 1950

I piani si chiariscono

Visto che le aziende indiane non hanno la stessa aggressività di quelle cinesi, Mahindra ci ha messo un po’ a far capire le sue intenzioni riguardo a BSA. Le dichiarazioni iniziali sembravano indicare una gamma di moto premium realizzate in Inghilterra, un po' come ha provato a fare Norton; di fatto sembra invece che BSA debba riprendere il filo delle moto ultra-classiche e a basse prestazioni che tuttora piacciono molto in Asia (di gran lunga il più grande mercato del mondo), come le Royal Enfield per intenderci. A fine 2021, BSA ha infatti annunciato l’arrivo di una nuova Gold Star, una (non troppo) modern classic con estetica Anni 50 e spinta, coerentemente col nome, da un monocilindrico di 652 cc, bialbero 4 valvole e con doppia candela, ma con la corsa lunga come una volta e l’erogazione che ne consegue: potenza di 45 CV a 6.500 giri e coppia massima a soli 4.000 giri. La ciclistica conta su un classico telaio doppia culla in acciaio, con una forcella teleidraulica da 41 mm e doppio ammortizzatore posteriore; le ruote sono da 18” anteriore e 17” posteriore con pneumatici Pirelli Phantom e i freni sono Brembo, con disco singolo da 320 mm anteriore e da 255 mm posteriore. Costruzione solida e tanto acciaio, per un peso di 198 kg a secco e 213 kg con tutti i liquidi, mentre la sella lunga e piatta è posta ad appena 780 mm da terra.

Prima Inghilterra e Francia, poi l'Italia?

In Italia ancora non si è vista, ma la Gold Star è già stata presentata e sta andando in vendita in Inghilterra e in Francia, dove può contare sulla rete di distribuzione di Peugeot. Qui la Gold Star verrà venduta a un prezzo di 7.790 euro, allineata quindi alle 650 bicilindriche di Royal Enfield che sono il suo riferimento naturale (nonostante il motore a due cilindri le prestazioni sono allineate), pur restando almeno per ora diverse per look e impostazione. Al contrario di quanto si poteva pensare, non ci sono al momento sovrapposizioni con la gamma Jawa, a sua volta in fase di rilancio nell’Est europeo ma con cilindrate ancora più piccole e un taglio più “fashion” e giovanile. È però facile immaginare, nel mondo odierno delle piattaforme e delle sinergie, che il mono della Gold Star sbarcherà prima o poi su qualche modello del brand ex cecoslovacco.

Il colosso si muove

Pur facendo meno rumore degli esuberanti vicini cinesi, gli indiani si stanno insomma muovendo molto. Tutte le grandi aziende hanno investito pesantemente in tecnologia interna, in marchi dal passato glorioso e in partnership con costruttori specializzati in mobilità elettrica, e si stanno preparando a entrare con decisione anche nei sofisticati mercati occidentali: dove peraltro hanno mostrato di poter fare sorprendentemente bene anche con prodotti non pensati espressamente per noi, come le monocilindriche Royal Enfield il cui successo contro ogni previsione di marketing è diventato un piccolo “caso” commerciale. Riuscirà BSA a imporsi? Dipenderà dall’abilità commerciale di Mahindra, da come si orienterà il mercato nei prossimi anni e da cosa faranno di conseguenza gli altri attori europei: i marchi prestigiosi con un passato negli Anni 50 non mancano di certo, particolarmente in Italia. Aspettiamo di veder arrivare da noi la Gold Star, e poi ne riparleremo.

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