Moto & Scooter
Coppia e potenza: che cosa vogliono dire (e come vanno lette)?
Sono i due indicatori che servono a capire la potenza di un mezzo a motore. Ma come vanno interpretati? Scopritelo in questa guida
Siamo così abituati a parlare di potenza fin da bambini che è difficile mettersi poi a ragionare in termini di coppia: e di fatto quasi nessuno lo fa. Eppure per un motore la coppia è in un certo senso la grandezza fisica “più fondamentale”, e la potenza viene solo dopo.
Siamo obbligati a parlare di coppia proprio perché si tratta di una grandezza fondamentale: una coppia non è mai riconducibile a una forza, ma è qualcosa di strutturalmente diverso. Si può semplificare dicendo che la forza serve a muovere un oggetto, mentre la coppia serve a farlo ruotare. Ogni volta che apriamo una porta, alla maniglia applichiamo una forza, ma il risultato è una rotazione: questo succede perché la forza non è allineata all’asse attorno al quale avviene la rotazione (la distanza è detta “braccio della forza”), e di conseguenza nasce una coppia, che si misura come “forza x braccio” (i famosi Nm, dove N sta per Newton e m sta per metri).
LA COPPIA
All’interno di un motore a combustione, il meccanismo all’origine della formazione della coppia è ovviamente legato alla combustione. In un motore a benzina la combustione è di tipo esplosivo, e la pressione dei gas sul cielo del pistone si traduce in una forza. Contrariamente a quanto di potrebbe pensare, il braccio non è legato alla biella ma alla manovella, la cui lunghezza (pari alla metà della corsa) è appunto pari alla distanza dall’asse di rotazione, che corrisponde all’asse dell’albero motore. La biella si occupa invece sostanzialmente di “trasportare” la forza (o almeno una sua parte) alla manovella.
In realtà le cose sono complicate dal fatto che la manovella ruota, per cui il braccio della forza varia da zero (quando la manovella è “verticale”, cioè al PMI e al PMS) a un massimo quando la manovella è “orizzontale”, o meglio a 90° rispetto alla direzione della forza. Non solo: anche la forza esercitata dai gas sul pistone varia durante un ciclo, per effetto dello sviluppo della combustione e dell’apertura e chiusura delle valvole (o dei travasi nel motore 2T).
Di conseguenza la coppia prodotta durante ogni ciclo varia in modo molto marcato. La combustione esplosiva è molto breve, e si può assumere che in un motore monocilindrico la coppia venga prodotta in un arco che corrisponde a circa 140°–160° di rotazione della manovella. Dato che in un motore 4T il ciclo completo avviene in due giri di manovella (720°), questo significa che le forze di inerzia e gli attriti assorbono coppia durante i rimanenti 560°–580° di rotazione. Per evitare che il motore sia eccessivamente “zoppicante”, viene aggiunto il volano, una massa rotante che stabilizza il ciclo, “assorbendo coppia” nelle fasi attive e “restituendola” in quelle passive. Il volano è fondamentale per i motori monocilindrici, ma lo diventa sempre meno al crescere del numero dei cilindri dato che è possibile distribuire via via meglio le fasi attive all’interno del ciclo.
COME LEGGERE LA CURVA DI COPPIA
In realtà il funzionamento del motore non è sempre lo stesso, perché la combustione ha dei tempi caratteristici che variano molto poco, e ci sono inoltre fenomeni fluidodinamici legati al movimento dei gas freschi e di scarico attraverso i condotti e le valvole o alla stessa inerzia della colonna gassosa che fanno sì che la coppia prodotta non sia la stessa ad ogni regime. Ecco perché la forma della curva di coppia è in genere quella di una campana, con un massimo che corrisponde al regime di funzionamento ottimale del motore, di solito anche quello a cui corrispondono i consumi più bassi (parliamo di consumi specifici, quindi per unità di potenza prodotta).
Una curva di coppia dice molto del funzionamento del motore. La curva ideale è per molti punti di vista costante come quella di un motore elettrico: avere una coppia costante a tutti i regimi significa che la potenza aumenta solo per effetto dell’aumento del numero di giri, una condizione di perfetta linearità di erogazione che corrisponde ad un motore sempre pieno e sempre facile da usare. Il cervello umano è infatti programmato per aspettarsi fenomeni lineari, e se l’erogazione è lineare non deve lavorare per compensare le irregolarità del motore. Proprio rendere più lineare possibile l’erogazione è una delle ragioni per cui è stato introdotto il Ride-by-Wire, con risultati anche notevoli come si vede dalla curva della Triumph Trident 660.
Una curva così regolare, nella quale la forma a campana è a malapena visibile, è perfetta per una moto destinata anche a un pubblico di neofiti ma farà piacere a tutti. La si ottiene rinunciando alle prestazioni massime a vantaggio della regolarità di erogazione.
Viceversa, un 125 2T da cross ricerca la massima potenza possibile, anche a prezzo di qualche “buco” come si vede ad esempio nell’andamento del motore Yamaha YZ125 qui sotto. Dopo la flessione a 8.500 giri/min inizia una parte molto ripida della curva, che si traduce in una grande rapidità nel salire di giri: quello che una volta si chiamava “l’entrata in coppia”, ma che è ormai un ricordo del passato perché una erogazione del genere è gratificante in pista, ma difficile da gestire e richiede grande concentrazione. Va bene per un mezzo da competizione, molto meno per una moto da usare su strada. Il motore YZ125 ha due impulsi di coppia ben marcati a 6.000 e a 8.500 giri/min: di sicuro non è noioso, ma è anche impegnativo da guidare, perché dove c’è una botta di coppia… significa che appena prima c’è un buco.
Perché allora non si fa di meglio? Perché un piccolo 2T è un motore con poco spazio di manovra: non ha la distribuzione a valvole ma i travasi, molto più imprecisi; e non ha l’iniezione elettronica (magari RbW) ma il carburatore, molto meno flessibile. L’obiettivo è sempre quello di trovare la potenza massima più alta, e attorno a quello si fa il possibile per ottenere la curva migliore possibile; ma di fatto si prende un po’ quel che viene. I più recenti 250 4T a iniezione, con valori di potenza massima molto simili, presentano curve decisamente più regolari (e sono quindi anche più facili da guidare). Per restare in casa Yamaha, ecco la YZ250F: sopra gli 8.000 giri/min, quindi ai regimi più frequentemente usati su una moto da cross, la curva è piatta o leggermente decrescente.
Una curva del genere rende la moto facile da guidare perché è “stabile”: se il motore aumenta di regime la coppia diminuisce, quindi il motore tende a rallentare e a riportarsi nel regime iniziale. Questo è in generale preferibile, a maggior ragione nell’impiego stradale in cui capita spesso di usare il motore a regime fisso, e non si vuole che tenda a “scappar via” al primo sobbalzo o al primo metro in discesa. Solo quando questo non è possibile, di solito con le cilindrate medio-piccole o quando comunque si privilegia il feeling sportivo, si accettano curve prevalentemente ascendenti, che però costringono di solito a guidare “impiccati” come avviene appunto con le 125 2T da cross. Ma persino la MotoGP ormai è alla ricerca di curve più regolari e piatte possibile.
LA POTENZA
Capita l’origine della coppia, passiamo alla potenza. Lo scopo di un motore è quello di produrre lavoro, e questo viene fatto quando una forza produce uno spostamento. Di fatto lo spostamento del pistone ad opera dei gas viene “trasformato” in uno spostamento utile; più precisamente, la rotazione della manovella viene trasformata in una rotazione della ruota posteriore attraverso la trasmissione.
La potenza è la quantità di lavoro prodotta nell’unità di tempo. Per capirci, se occorre un certo lavoro per arrivare in cima a una salita, una moto con più potenza riuscirà a produrre quel lavoro in meno tempo, salendo a una velocità maggiore. Infatti la potenza può essere definita in più modi, ma uno dei più pratici è proprio “forza x velocità”, o in equivalentemente “coppia x velocità di rotazione”.
COME LEGGERE LA CURVA DI POTENZA
La curva di potenza può infatti essere derivata da quella di coppia moltiplicando punto per punto il valore della coppia erogata con quello della velocità di rotazione in quel punto (espressa in radianti/secondo e non in giri/minuto, ma si tratta solo di un fattore di proporzionalità). Per questo l’andamento delle due curve è sempre simile, anche se non coincide. Questo dipende dal fatto che sul grafico il numero di giri continua a crescere sempre allo stesso ritmo e di conseguenza il suo contributo alla potenza continua a crescere, mentre la coppia può salire e scendere.
In particolare, la potenza massima si trova di solito più in alto della coppia massima, proprio perché il prodotto “coppia x velocità di rotazione” continua per un po’ ad aumentare grazie all’effetto positivo della velocità di rotazione anche quando la coppia ha iniziato a calare. Per la stessa ragione, i cali di coppia tendono a essere in parte compensati quando si guarda la potenza (ed è per questo che si parla di “buco di coppia” e non di “buco di potenza”).
Se prendiamo la Triumph Trident 660, vediamo come la curva di potenza corrispondente alla sua curva di coppia così piatta sia una curva apprezzabilmente lineare. La potenza massima si colloca a un regime molto lontano dalla coppia massima (10.500 giri/min contro 6.500 giri/min circa).
Viceversa, sulla Yamaha YZ125 la curva di potenza è molto più irregolare, con una campana accentuata e un andamento che riflette quello della curva di coppia. In conseguenza di questo fatto (la coppia aumenta e diminuisce molto rapidamente attorno al punto di massimo), i picchi di coppia e di potenza sono vicinissimi: circa 500 giri/min di distanza.
La curva di potenza della YZ250F, invece, è più lineare e più piena al centro: si dice che il motore ha più “schiena”. Un motore con più schiena aiuta a uscire dalle curve, ma questo lo avevamo già capito dall’andamento della curva di coppia.
Come avrete capito, non esiste una curva di coppia o di potenza “migliore” o “peggiore” in assoluto. Tutto dipende dal tipo di uso che si vuol fare della moto. Certo un andamento lineare, o comunque regolare, è sempre preferibile. E quando si tratta di moto nello stesso segmento, l’ideale è confrontare le curve.
L'INGANNO DEI DATI ACQUISITI AL BANCO
Bene: c’è un’ultima, importantissima avvertenza. Le curve di coppia e potenza acquisite al banco di riferiscono al motore “a pieno carico”, cioè più o meno a full gas. Di conseguenza indicano il massimo che il motore è in grado di dare a ciascun regime di rotazione; soprattutto nel caso di moto stradali di cilindrata da media in su, è però raro che si guidi a gas spalancato, e il comportamento del motore a gas parzializzato, come pure nei transitori (cioè mentre sale o scende di regime) non è veramente catturato dalle prove al banco, soprattutto quando viene gestito dai sistemi di iniezione RbW con le loro sofisticate mappature.
Se quindi fino al tempo dei carburatori e delle potenze “ragionevoli” le curve al banco erano strumenti molto utili per descrivere il comportamento dei motori, oggi lo sono sempre meno. Soprattutto quando parliamo di potenze come i 160, 180 o i 200 CV e oltre delle moderne maxi, potenze di fatto costantemente imbrigliate da RbW, traction control, wheelie control e tutti gli altri filtri elettronici, è buona norma prendere il banco come un’indicazione del potenziale del motore, e non come un criterio di scelta.
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