Moto & Scooter
La prima volta sulla Ducati 916. Che poi non era una 916...
I ricordi di un giovane tester degli Anni 90. Il tifo per Lucchinelli in gara a Monza sulla 748, la mirabolante 916 SPS che quasi gli fece rovinare un’amicizia, un corpo a corpo a Vallelunga sulla 998 con il Testastretta…
La prima volta che ho guidato una Ducati 916 non era una 916, era una 748. Ma che importa. Era bella uguale. Forse di più, gialla. Era il 1995 e avevo da poco messo piede in una redazione. Non facevo il giornalista, ero il fattorino. Le moto non le guidavo quasi mai. Andavo a prenderle col furgone, poi le guidavano gli altri. E io sbavavo. Ma quella volta, con quella 748 lì che mi faceva prudere le mani, mi ingegnai.
Una prova segreta
La moto andava portata agli stabilimenti Cagiva di Schiranna, sul lago di Varese, perché al tempo la Ducati era di proprietà dei Castiglioni. Martino Bianchi dell’ufficio stampa mi aspettava entro le 18.00. Mi ingegnai, dunque, accumulando ad arte un ritardo nelle consegne della giornata. Erano ormai le 16.00. A quel punto, dissi a Deborah, la nostra segretaria di redazione. “Non ce la farò mai in tempo se la carico col furgone. La Ducati la guido io fino a Varese, poi torno in treno. Mi arrangio, non preoccuparti”. Aggiudicato. Non ci potevo credere, stringevo i mezzi manubri di quella moto che avevo appena visto in gara a Monza guidata da Lucchinelli nella Supersport. Era estrema. Un’asse da stiro. Ai bassi la voce era quella piena di tutte le Ducati, ma andando verso la zona rossa il “piccolo” pompone da 748 cc iniziava a urlare con tono sempre più alto, quasi nasale. E io, con il naso infilato nel piccolo cupolino e lo sguardo fisso al grande contagiri (inserito nel supporto di spugna come si usava ai tempi…), sentivo rimbombare tutto. Rimasi ipnotizzato. E che freni. Mettevo due dita sulla leva e il Ducatone si accucciava come attratto da una forza magnetica del suolo. Mai provato nulla del genere.
La metamorfosi
Poi da fattorino diventai tester, altre 748 e altre 916 vennero nella mia vita. Ricordo una 916 SPS, con motore 996 mi pare da 126 CV, non era la versione pronto gara da Superbike, ma quasi. Costava un patrimonio. Il mio amico Mauro possedeva una 916 “normale”. In accelerazione lo sverniciai, ma davvero, al doppio della velocità. Al semaforo dopo gli chiesi se lui lo aveva dato tutto il gas. Si incazzò. Sì, lo aveva dato tutto e non sopportava che io, con quella moto che non era nemmeno mia, andassi in giro a fare il fenomeno. Quella SPS con le sospensioni “buone” era ancora più estrema e professionale: difficile da far girare come tutte le Ducatone del tempo - la guida di corpo non era un vezzo ma una necessità – ma poi stava lì. Nella configurazione da 996, poi, il bicilindrico a elle assumeva un carattere bestiale. Vibrava di più, lo scampanio della frizione a secco si mischiava al tuonare dagli scarichi che scaldavano il codino. Roba da uomini.
Perché la 998 era una moto giapponese
In confronto l’ultima della serie che provai, la 998, era una moto giapponese. Lo scrissi al tempo rischiando il linciaggio del popolo di Borgo Panigale e lo riscrivo ora. Era giapponese, ma nel senso buono del termine. Non vibrava. Ai bassi scalciava molto meno. Era arrivato il Testastretta, più efficace del Desmoquattro ma forse meno emozionante. Il carattere primordiale del bestiale pompone bolognese lasciava spazio a una moto globalmente più facile. Aveva un’erogazione piena come sempre, di certo ancora più vigorosa, e ti tirava fuori dalle curve con la forza di venti braccia, come il Pastamatic. Adesso non mi ricordo più le modifiche alle geometrie in dettaglio, ma la 998 girava meglio della 916, era più intuitiva.
Ne parlavo qualche tempo fa al telefono con Giulio Fabbri, ricordando i bei tempi in cui ci incrociavamo in pista, ognuno per il proprio giornale. Giulio, oggi Product Communications Manager di Ducati, al tempo era un giovanissimo tester. E alla presentazione della 998 a Vallelunga forse mi infilò in staccata… Ho un nebuloso ricordo dei Cimini affrontati a fuoco. Altri tempi, altre moto. I 123 CV della 998 erano una potenza tutto sommato ragionevole e ti permettevano ancora di “giocare”, almeno in circuito.
E poi arrivò la Ducati 999
Pensavo fosse l’ultima volta in cui avrei stretto gli amati manubri di quella che era la moto più bella del mondo. Invece il destino mi riservò un’altra chance. Dopo il lancio della nuova 999 nel 2002, in Ducati lasciarono per qualche tempo in listino ancora la 998. In un battibaleno mettemmo in piedi una doverosa prova comparativa, che scattammo a Varano de’ Melegari. La 999 era più immediata, a confronto la 998 richiedeva malizia ed esperienza. Io quel giorno dovevo solo guidare e farmi fotografare, il pezzo lo avrebbe scritto un altro. E per fortuna. Perché io ero ancora innamorato della moto che stava per andarsene via per sempre, lasciandoci in eredità la sua eterna bellezza. Quella moto che, motociclisticamente parlando, mi aveva fatto diventare uomo. E fa niente se era una 748.
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