Moto & Scooter
Fenomeno customizer: nell'atelier di TPR
Pagina principale
Anche se con numeri piccoli sono l'unico trend in crescita nel mondo della moto: le special, fatte su misura attraverso un dialogo da appassionato ad appassionato. Per farvi scoprire questo mondo e dove nascono queste moto siamo entrati nell'officina milanese della TPR
Per quanto balordo e malandato sia questo Paese, ci sono ancora cose che succedono soprattutto in Italia. Ad esempio che un ragazzo di famiglia contadina, con in testa l'idea di fare i jeans, si inventi dal nulla uno dei marchi più famosi del mondo. O che al contrario un ragazzo milanese di buona famiglia e buoni studi, con in testa l'idea di fare le moto come piacciono a lui, si licenzi dal confortevole "posto in banca", venda un appartamento e si metta a smontare motori e limare supporti in uno scantinato. Da solo e con un business plan che prevede di pareggiare i costi con quattro moto all'anno. E tutto questo quando? Nel 2009, giusto giusto all'inizio della crisi. Eppure oggi Pietro Figini di moto all'anno ne fa 20, più una cinquantina di "parziali": e le prenotazioni arrivano da tutta Europa.
Numeri piccoli, certo, ma segno che il fenomeno "special", per quanto di nicchia, è in costante crescita. Anche lui ha creato un marchio, TPR (sta per "Tiro Pesante Rapido", nome di una razza italiana di cavalli da tiro creata circa un secolo fa) ha assunto dei collaboratori e dallo scantinato si è trasferito in un incredibile atelier ricavato in una vecchia casa di ringhiera milanese, di quelle che pensi siano scomparse per sempre finché non ne rivedi una nascosta in un cortile, come in questo caso.
Numeri piccoli, certo, ma segno che il fenomeno "special", per quanto di nicchia, è in costante crescita. Anche lui ha creato un marchio, TPR (sta per "Tiro Pesante Rapido", nome di una razza italiana di cavalli da tiro creata circa un secolo fa) ha assunto dei collaboratori e dallo scantinato si è trasferito in un incredibile atelier ricavato in una vecchia casa di ringhiera milanese, di quelle che pensi siano scomparse per sempre finché non ne rivedi una nascosta in un cortile, come in questo caso.
Questa non è una fabbrica
In questa successione di cortili vecchio stile, popolati di piccoli studi di architettura, agenzie e gente di tutti i tipi, troviamo dunque la sede TPR, che è soprattutto un posto di incontro di appassionati: ci sono l'officina, lo showroom e un ristorantino; ma anche, più semplicemente, una griglia, un frigo con delle birre e qualche poltroncina per sedersi. Trabocca di pezzi vintage meravigliosi - vecchie colonnine di distributore, insegne, manifesti, moto a vari stadi di recupero o trasformazione, biciclette - e trasuda l'atmosfera amichevole e rilassata degli appassionati felici di poter vivere in mezzo all'oggetto della loro passione.
Nel 90% dei casi, questi oggetti sono special basate su Triumph Bonneville, con sovrastrutture e componentistica completamente riviste da Pietro e dal suo team di customizer. Le TPR sono uno dei migliori esempi della scuola italiana: moto leggere, snelle e spesso di aspetto volutamente grezzo, molto diverse dalle rutilanti americane e dalle complicate tedesche.
La loro base tecnica si allontana spesso dall'immancabile Harley-Davidson, per allargarsi ad altri marchi: di solito Triumph o Moto Guzzi, ma anche BMW, Ducati e qualche giapponese. Pietro ha scelto la Bonnie perché la ritiene "giusta" in termini sia di motore - affidabile e potente quanto basta - che di ciclistica, di vecchia scuola ma sana. "Il twin ha un ingombro da mono, gira e spinge meglio di un H-D e senza grosse modifiche ci tiri fuori tranquillamente 75 CV. Volendo è anche possibile spingersi a 90, però in generale per il genere di moto che facciamo noi non serve". Ma ciò che conta veramente è quello che Pietro vede dentro la Bonneville o al di là della Bonneville: quello che solo lui riesce a tirarci fuori. È sempre questo che fa la differenza: perché i preparatori sono molti, ma pochi hanno idee forti.
Non è da tutti avere un proprio stile riconoscibile, anche se qualcuno è così bravo da arrivare a fare il grande passo, diventare costruttore o progettista e entrare nella storia: come Massimo Tamburini o Erik Buell, ma anche Carlo Talamo che ha regalato idee un po' a tutti. In modi diversi, tutti questi personaggi hanno cercato l'essenza della moto, un'essenza fatta in un modo che solo loro (all'epoca) vedevano e che poi è diventata patrimonio comune. Non tutti i customizzatori, però, vogliono diventare costruttori. Anzi: molti vogliono assolutamente restare al di qua della soglia dell'artigianato, termine che contiene al suo interno la radice "arte" e che consente di trattare ogni moto come un quadro: anche se piace a tutti, ce n'è una copia sola. Non dover fare due moto identiche significa anche lasciare spazio all'estro dell'acquirente, e questa è appunto l'altra gamba su cui si regge il mondo del custom, parola che in origine significa appunto "su misura". In un certo senso il custom è un punto di arrivo. È la risposta degli appassionati alla consapevolezza che la tecnica moderna ha raggiunto da un pezzo la maturità, che quello che offre oggi qualunque moto basta e avanza, e che una moto moderna non può andar male. Per cui è un po' come se telaio e motore fossero diventati quello che gli economisti chiamano una "commodity" - un aspetto che non fa più la differenza, diciamo - e la cosa veramente importante fosse come vestirli.
Un po' come con i telefoni cellulari, in cui ormai nessuno bada più molto all'elettronica che c'è dentro, perché quello che conta è l'interfaccia e le App che ci girano sopra. E così Pietro, pur essendo in grado di discutere di carburazioni e centraline, lo senti più volentieri parlare del numero di raggi di una ruota, della piega di uno scarico, della forma di un serbatoio.
L'essenza della moto
Anche il vestito, però, è una faccenda delicata, perché un preparatore è come uno stilista che cerca attraverso i vestiti l'essenza della donna. Solo che il preparatore cerca l'essenza della moto, e per Pietro l'essenza della moto sta in una certa idea di semplicità, che non rifiuta i materiali nobili (l'ergal e il titanio, ma anche la pelle) né la tecnologia (fari allo xeno o a led, contachilometri digitali) ma preferisce il metallo alla plastica e vuole ridurre al minimo i fronzoli, anche a costo di sacrificare un po' il comfort. L'essenza della moto sta lì, nel contatto con l'alluminio del serbatoio e il ferro del motore, ma sempre con una ciclistica svelta e pochi chili da portarsi a spasso. Sta in qualche vezzo che, a furia di tornare, è diventato un po' una firma, come le lastre traforate usate nei fianchetti e come paracalore o i manubri anodizzati gialli.
E l'idea di Pietro, come succede a chi è abbastanza bravo, coraggioso e fortunato, è piaciuta a molti. Nel 2013 sono state oltre 70 le moto complete consegnate, che in 4 anni di vita è decisamente un bel risultato. All'inizio i clienti arrivavano dai dintorni, partendo come sempre dagli amici: è anche naturale, visto che tutta l'azienda è impostata sul rapporto umano, da vecchia officina, tra preparatore e cliente. Ma grazie al passaparola e alle "vetrine" (oltre ad attirare l'attenzione delle riviste di settore, Pietro ha vinto nel 2011 il premio "Best in Show" a EICMA, per la categoria Cafe Racer con la sua "Too Much"), il giro è cresciuto rapidamente, e la clientela estera rappresenta ormai oltre il 60% del totale. "Ho appena avuto un inglese che veniva il sabato mattina in aereo da Londra, ogni tre settimane, per discutere delle modifiche alla sua moto". Per ottenere un risultato che davvero si senta proprio, che incarni e rappresenti l'indole e lo spirito di chi possiede la moto, serve ovviamente tempo. Il processo di realizzazione prevede all'inizio di mettere a fuoco l'idea, poi la moto viene disegnata e renderizzata per l'approvazione del cliente prima di realizzarla (per una TPR completa servono circa venti giorni). Ma molto più spesso la custom "vive", viene ripresa più e più volte per aggiornamenti, modifiche, sistematine. Con parti che arrivano, anche se TPR è a Milano, da tutta Italia: gli scarichi dalla Sicilia, le piastre da Roma, la selleria da Torino e così via. E con gli stessi materiali TPR realizza una serie di accessori coordinati alla moto: abbigliamento, stivali, borse o zaini protettivi che sono ormai diventati "costole" dell'azienda.
In questa successione di cortili vecchio stile, popolati di piccoli studi di architettura, agenzie e gente di tutti i tipi, troviamo dunque la sede TPR, che è soprattutto un posto di incontro di appassionati: ci sono l'officina, lo showroom e un ristorantino; ma anche, più semplicemente, una griglia, un frigo con delle birre e qualche poltroncina per sedersi. Trabocca di pezzi vintage meravigliosi - vecchie colonnine di distributore, insegne, manifesti, moto a vari stadi di recupero o trasformazione, biciclette - e trasuda l'atmosfera amichevole e rilassata degli appassionati felici di poter vivere in mezzo all'oggetto della loro passione.
Nel 90% dei casi, questi oggetti sono special basate su Triumph Bonneville, con sovrastrutture e componentistica completamente riviste da Pietro e dal suo team di customizer. Le TPR sono uno dei migliori esempi della scuola italiana: moto leggere, snelle e spesso di aspetto volutamente grezzo, molto diverse dalle rutilanti americane e dalle complicate tedesche.
La loro base tecnica si allontana spesso dall'immancabile Harley-Davidson, per allargarsi ad altri marchi: di solito Triumph o Moto Guzzi, ma anche BMW, Ducati e qualche giapponese. Pietro ha scelto la Bonnie perché la ritiene "giusta" in termini sia di motore - affidabile e potente quanto basta - che di ciclistica, di vecchia scuola ma sana. "Il twin ha un ingombro da mono, gira e spinge meglio di un H-D e senza grosse modifiche ci tiri fuori tranquillamente 75 CV. Volendo è anche possibile spingersi a 90, però in generale per il genere di moto che facciamo noi non serve". Ma ciò che conta veramente è quello che Pietro vede dentro la Bonneville o al di là della Bonneville: quello che solo lui riesce a tirarci fuori. È sempre questo che fa la differenza: perché i preparatori sono molti, ma pochi hanno idee forti.
Non è da tutti avere un proprio stile riconoscibile, anche se qualcuno è così bravo da arrivare a fare il grande passo, diventare costruttore o progettista e entrare nella storia: come Massimo Tamburini o Erik Buell, ma anche Carlo Talamo che ha regalato idee un po' a tutti. In modi diversi, tutti questi personaggi hanno cercato l'essenza della moto, un'essenza fatta in un modo che solo loro (all'epoca) vedevano e che poi è diventata patrimonio comune. Non tutti i customizzatori, però, vogliono diventare costruttori. Anzi: molti vogliono assolutamente restare al di qua della soglia dell'artigianato, termine che contiene al suo interno la radice "arte" e che consente di trattare ogni moto come un quadro: anche se piace a tutti, ce n'è una copia sola. Non dover fare due moto identiche significa anche lasciare spazio all'estro dell'acquirente, e questa è appunto l'altra gamba su cui si regge il mondo del custom, parola che in origine significa appunto "su misura". In un certo senso il custom è un punto di arrivo. È la risposta degli appassionati alla consapevolezza che la tecnica moderna ha raggiunto da un pezzo la maturità, che quello che offre oggi qualunque moto basta e avanza, e che una moto moderna non può andar male. Per cui è un po' come se telaio e motore fossero diventati quello che gli economisti chiamano una "commodity" - un aspetto che non fa più la differenza, diciamo - e la cosa veramente importante fosse come vestirli.
Un po' come con i telefoni cellulari, in cui ormai nessuno bada più molto all'elettronica che c'è dentro, perché quello che conta è l'interfaccia e le App che ci girano sopra. E così Pietro, pur essendo in grado di discutere di carburazioni e centraline, lo senti più volentieri parlare del numero di raggi di una ruota, della piega di uno scarico, della forma di un serbatoio.
L'essenza della moto
Anche il vestito, però, è una faccenda delicata, perché un preparatore è come uno stilista che cerca attraverso i vestiti l'essenza della donna. Solo che il preparatore cerca l'essenza della moto, e per Pietro l'essenza della moto sta in una certa idea di semplicità, che non rifiuta i materiali nobili (l'ergal e il titanio, ma anche la pelle) né la tecnologia (fari allo xeno o a led, contachilometri digitali) ma preferisce il metallo alla plastica e vuole ridurre al minimo i fronzoli, anche a costo di sacrificare un po' il comfort. L'essenza della moto sta lì, nel contatto con l'alluminio del serbatoio e il ferro del motore, ma sempre con una ciclistica svelta e pochi chili da portarsi a spasso. Sta in qualche vezzo che, a furia di tornare, è diventato un po' una firma, come le lastre traforate usate nei fianchetti e come paracalore o i manubri anodizzati gialli.
E l'idea di Pietro, come succede a chi è abbastanza bravo, coraggioso e fortunato, è piaciuta a molti. Nel 2013 sono state oltre 70 le moto complete consegnate, che in 4 anni di vita è decisamente un bel risultato. All'inizio i clienti arrivavano dai dintorni, partendo come sempre dagli amici: è anche naturale, visto che tutta l'azienda è impostata sul rapporto umano, da vecchia officina, tra preparatore e cliente. Ma grazie al passaparola e alle "vetrine" (oltre ad attirare l'attenzione delle riviste di settore, Pietro ha vinto nel 2011 il premio "Best in Show" a EICMA, per la categoria Cafe Racer con la sua "Too Much"), il giro è cresciuto rapidamente, e la clientela estera rappresenta ormai oltre il 60% del totale. "Ho appena avuto un inglese che veniva il sabato mattina in aereo da Londra, ogni tre settimane, per discutere delle modifiche alla sua moto". Per ottenere un risultato che davvero si senta proprio, che incarni e rappresenti l'indole e lo spirito di chi possiede la moto, serve ovviamente tempo. Il processo di realizzazione prevede all'inizio di mettere a fuoco l'idea, poi la moto viene disegnata e renderizzata per l'approvazione del cliente prima di realizzarla (per una TPR completa servono circa venti giorni). Ma molto più spesso la custom "vive", viene ripresa più e più volte per aggiornamenti, modifiche, sistematine. Con parti che arrivano, anche se TPR è a Milano, da tutta Italia: gli scarichi dalla Sicilia, le piastre da Roma, la selleria da Torino e così via. E con gli stessi materiali TPR realizza una serie di accessori coordinati alla moto: abbigliamento, stivali, borse o zaini protettivi che sono ormai diventati "costole" dell'azienda.
Il successo di TPR, e di altri piccoli e giovani atelier sparsi per lo stivale, indica in modo evidente la crescita dell'interesse verso il mondo delle scrambler, delle cafe racer e più in generale delle special all'italiana. Il pubblico di queste particolarissime motociclette si sta formando all'interno del più ampio pubblico dei motociclisti, all'interno del fenomeno di progressiva separazione tra chi vede la moto come un (sia pur impareggiabile) mezzo di trasporto e chi la vede come oggetto d'amore, pezzo di vita o estensione della propria personalità che dir si voglia.
Il numero di questi motociclisti è dunque in crescita, e con esso la richiesta di moto diverse: moto che ti accompagnino, crescano, cambino insieme a te. Certo, la passione e l'artigianato di qualità si pagano, e per una TPR ci vogliono, se non si ha già una Bonnie, dai 15.000 ai 25.000 euro a seconda della sua complessità e raffinatezza. Ma è sempre possibile (se non meglio) partire dal basso: anche da una moto usata, anche vecchia, e imboccare la strada dei piccoli interventi passo passo. Dopotutto viviamo in un paese balordo e malandato ma, per fortuna, ancora traboccante di passione. Se ora siete curiosi non vi resta che entrare nell'atelier della TPR, guarda la gallery! Per informazioni: www.tpr-italianfactory.com
Il numero di questi motociclisti è dunque in crescita, e con esso la richiesta di moto diverse: moto che ti accompagnino, crescano, cambino insieme a te. Certo, la passione e l'artigianato di qualità si pagano, e per una TPR ci vogliono, se non si ha già una Bonnie, dai 15.000 ai 25.000 euro a seconda della sua complessità e raffinatezza. Ma è sempre possibile (se non meglio) partire dal basso: anche da una moto usata, anche vecchia, e imboccare la strada dei piccoli interventi passo passo. Dopotutto viviamo in un paese balordo e malandato ma, per fortuna, ancora traboccante di passione. Se ora siete curiosi non vi resta che entrare nell'atelier della TPR, guarda la gallery! Per informazioni: www.tpr-italianfactory.com
Gallery