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Moto & Scooter
Yamaha SBK 2010: la coppia scoppia!
di Alan Cathcart, foto di Kel Edge
il 19/01/2011 in Moto & Scooter
Irregolare un po' in tutto, non solo begli scoppi, la R1 è la Superbike che più ha messo in difficoltà il nostro Alan, che sentenzia: per farla andar forte bisogna andarci piano...
Difendere un titolo mondiale è spesso ancora più difficile che vincerlo. Così, dopo che Ben Spies e la R1 hanno regalato alla Yamaha il primo titolo Superbike nel 2009, risultato che la Casa dei tre diapason stava rincorrendo da ben 22 anni, l'azienda giapponese ha provato a ripetere il successo la scorsa stagione. Tuttavia, il fatto che Spies sia "emigrato" in MotoGP non ha certo facilitato le cose, pur essendo stato sostituito dal due volte iridato della SBK James Toseland all'interno del Team Sterilgarda. Inoltre, la decisione di chiamare Cal Crutchlow, al debutto nella Superbike dopo aver vinto il titolo Supersport l'anno precedente, al posto di Tom Sykes ha messo la Yamaha nella condizione di avere due piloti bisognosi di prendere confidenza con le caratteristiche uniche della R1 con motore "Long Bang" derivato dalla MotoGP.
Alla fine, la classifica del campionato 2010 ha visto un Toseland in netta difficoltà e, viceversa, un Crutchlow che ha concluso al quinto posto, anche se la sensazione è che avrebbe potuto fare addirittura di più. Infatti, ci sono voluti due terzi della stagione prima che Cal e il suo ingegnere di pista, Markus Eschenbacher, venissero a capo della situazione, individuando un assetto che permettesse al britannico di non consumare troppo la gomma posteriore durante la gara a causa della particolare erogazione della Yamaha SBK. Una volta colto questo obiettivo, Crutchlow è diventato subito più consistente, ottenendo una doppia vittoria a Silverstone (che pur essendo il circuito "di casa" risultava nuovo per tutti…) e un'altra affermazione in Gara-1 a Magny-Cours, ultima tappa stagionale che ha incoronato Max Biaggi campione del mondo 2010.
Nel corso della seconda metà della stagione, Cal e la Yamaha hanno totalizzato più punti di tutti eccetto Biaggi e la sua Aprilia. Crutchlow si è guadagnato comunque il titolo di "Rookie of the Year" dopo aver conquistato dieci podi e aver siglato sei Superpole e otto "fastest lap" in gara (più di chiunque altro), a dimostrazione della velocità della sua R1 sul giro singolo.
Nel 2011, però, tutto è cambiato di nuovo tutto all'interno del Team Yamaha SBK, con Crutchlow che ha seguito le orme di Spies andando in MotoGP e Toseland che è rimasto tra le derivate di serie ma passando alla BMW. Le nuove reclute della squadra sono dunque Eugene Laverty, giovane pilota dell'Ulster proveniente dalla Supersport, e l'ex campione del mondo della 250 Marco Melandri, al debutto in Superbike dopo una lunga militanza nei GP.
Nel corso della seconda metà della stagione, Cal e la Yamaha hanno totalizzato più punti di tutti eccetto Biaggi e la sua Aprilia. Crutchlow si è guadagnato comunque il titolo di "Rookie of the Year" dopo aver conquistato dieci podi e aver siglato sei Superpole e otto "fastest lap" in gara (più di chiunque altro), a dimostrazione della velocità della sua R1 sul giro singolo.
Nel 2011, però, tutto è cambiato di nuovo tutto all'interno del Team Yamaha SBK, con Crutchlow che ha seguito le orme di Spies andando in MotoGP e Toseland che è rimasto tra le derivate di serie ma passando alla BMW. Le nuove reclute della squadra sono dunque Eugene Laverty, giovane pilota dell'Ulster proveniente dalla Supersport, e l'ex campione del mondo della 250 Marco Melandri, al debutto in Superbike dopo una lunga militanza nei GP.
La Yamaha è stata così gentile da invitarmi a provare la R1 a Valencia, proprio mentre Laverty e Melandri stavano svolgendo i loro test. Questa opportunità mi ha permesso di colmare una lacuna, visto che lo scorso anno non avevo potuto provare la Yamaha SBK di Spies a causa dei postumi di un mio incidente.
In un certo senso, dunque, è stata una sorpresa scoprire che la Yamaha Sterilgarda 2010 rappresenta una della moto più difficili da guidare tra le numerose Superbike che ha avuto il privilegio di testare dal 1988 ad oggi. Con una potenza di 228 CV (8 in più rispetto alla moto di Spies) e un regime massimo di rotazione di 15.000 giri, la R1 2010 vanta un miglioramento delle prestazioni assolute apparentemente diffuso su tutta la fascia di utilizzo e senza sacrificare la coppia. Grazie a un motore così performante, frutto del lavoro congiunto dei tecnici del Team Sterilgarda e del reparto Ricerca e Sviluppo della Casa giapponese, la R1 è quasi certamente la Superbike più potente in circolazione - ma i soli numeri, talvolta, non bastano.
In allestimento da corsa, infatti, la R1 con motore a scoppi irregolari ha un sacco di coppia dove non serve (almeno per un tester-giornalista), con un picco tra gli 8.000 e i 10.0000 giri, sottolineato da un cambio di registro piuttosto brusco, sia prima che dopo. Un "salto" maggiore rispetto a quello dell'altrettanto potente Aprilia RSV4 di Max Biaggi, decisamente più regolare e controllabile. Con la moto italiana, spalancare il gas in uscita di curva significa sentire la ruota anteriore che sfiora l'asfalto mentre si inseriscono le marce una dopo l'altra, proiettati verso punte velocistiche da riferimento, frutto di una potenza al top della categoria e di un'aerodinamica curata. In poche parole, l'Aprilia SBK risulta assolutamente efficace e coinvolgente.
La Yamaha, invece, nonostante sia altrettanto veloce in rettilineo, come testimoniano i 327 Km/h, contro i 330 di Biaggi, fatti registrare da Crutchlow a Monza (differenza imputabile alla più ingombrante architettura del motore Yamaha a quattro cilindri in linea rispetto al V4 dell'Aprilia), si comporta in modo completamente diverso e richiede pertanto una tecnica di guida particolare, che nei pochi giri percorsi con essa a Valencia non ho potuto certo approfondire.
Trattandosi di una Superbike ufficiale, infatti, verrebbe da pensare che con la R1 si possa tranquillamente spalancare il gas a moto ancora inclinata e che, grazie all'abbondante elettronica presente a bordo, la moto faccia da sola tutto il resto, invece non è così.
Essendo provvista di motorino di avviamento ("grazie" al quale risulta 3 Kg sopra al limite di 162 Kg previsto dai regolamenti), per avviare la Yamaha SBK basta premere un bottone e dall'impianto di scarico Akrapovic (dal layout simile a quello della Ducati 1198) si alza un sound cupo e profondo, che rende il quattro cilindri di Iwata immediatamente riconoscibile.
In un certo senso, dunque, è stata una sorpresa scoprire che la Yamaha Sterilgarda 2010 rappresenta una della moto più difficili da guidare tra le numerose Superbike che ha avuto il privilegio di testare dal 1988 ad oggi. Con una potenza di 228 CV (8 in più rispetto alla moto di Spies) e un regime massimo di rotazione di 15.000 giri, la R1 2010 vanta un miglioramento delle prestazioni assolute apparentemente diffuso su tutta la fascia di utilizzo e senza sacrificare la coppia. Grazie a un motore così performante, frutto del lavoro congiunto dei tecnici del Team Sterilgarda e del reparto Ricerca e Sviluppo della Casa giapponese, la R1 è quasi certamente la Superbike più potente in circolazione - ma i soli numeri, talvolta, non bastano.
In allestimento da corsa, infatti, la R1 con motore a scoppi irregolari ha un sacco di coppia dove non serve (almeno per un tester-giornalista), con un picco tra gli 8.000 e i 10.0000 giri, sottolineato da un cambio di registro piuttosto brusco, sia prima che dopo. Un "salto" maggiore rispetto a quello dell'altrettanto potente Aprilia RSV4 di Max Biaggi, decisamente più regolare e controllabile. Con la moto italiana, spalancare il gas in uscita di curva significa sentire la ruota anteriore che sfiora l'asfalto mentre si inseriscono le marce una dopo l'altra, proiettati verso punte velocistiche da riferimento, frutto di una potenza al top della categoria e di un'aerodinamica curata. In poche parole, l'Aprilia SBK risulta assolutamente efficace e coinvolgente.
La Yamaha, invece, nonostante sia altrettanto veloce in rettilineo, come testimoniano i 327 Km/h, contro i 330 di Biaggi, fatti registrare da Crutchlow a Monza (differenza imputabile alla più ingombrante architettura del motore Yamaha a quattro cilindri in linea rispetto al V4 dell'Aprilia), si comporta in modo completamente diverso e richiede pertanto una tecnica di guida particolare, che nei pochi giri percorsi con essa a Valencia non ho potuto certo approfondire.
Trattandosi di una Superbike ufficiale, infatti, verrebbe da pensare che con la R1 si possa tranquillamente spalancare il gas a moto ancora inclinata e che, grazie all'abbondante elettronica presente a bordo, la moto faccia da sola tutto il resto, invece non è così.
Essendo provvista di motorino di avviamento ("grazie" al quale risulta 3 Kg sopra al limite di 162 Kg previsto dai regolamenti), per avviare la Yamaha SBK basta premere un bottone e dall'impianto di scarico Akrapovic (dal layout simile a quello della Ducati 1198) si alza un sound cupo e profondo, che rende il quattro cilindri di Iwata immediatamente riconoscibile.
Il giro di ingresso in pista l'ho trascorso cercando di venire a patti con una posizione di guida decisamente angusta, caratterizzata da pedane molto alte. Lo stesso Laverty, che è più basso di me, si è lamentato per questo aspetto che rende difficili i movimenti in sella, anche se in questo modo si ha la possibilità di rimanere ben ancorati alla moto nella fase di accelerazione, dando così un po' di trazione in più alla ruota posteriore.
L'aderenza offerta del retrotreno, infatti, è il vero tallone d'Achille di questa moto, come ho avuto modo di capire osservando Crutchlow in Gara-2 a Magny-Cours, mentre cercava di tenere il passo di Max Biaggi e, puntualmente, perdeva terreno nel lungo curvone del tracciato francese a causa delle continue derapate della ruota posteriore, che cercava di controllare parzializzando il gas con coraggio e abilità. A un certo punto, Cal ha addirittura tentato di superare Biaggi, piegando ancora più del solito, ma per poco non è stato catapultato in aria dalla sua Yamaha a causa dell'ennesima perdita di aderenza del retrotreno...
Con questa moto, insomma, non si scherza, parola del sottoscritto! Perciò, quando mi sono trovato ad affrontare per la prima volta la curva che immette sul rettilineo di Valencia, ho visto bene di rialzare la moto quasi completamente, in modo da poter contare su una maggior impronta a terra da parte del pneumatico posteriore, prima di prima di aprire tutto il gas in seconda marcia, ma anche stavolta le cose non sono andate come pensavo. La ruota anteriore della R1, infatti, ha iniziato a rimbalzare sull'asfalto man mano che inserivo le marce una dopo l'altra, fino alla staccata successiva (dove, per la cronaca, si arriva in sesta)!
Avere a che fare con una moto che si impenna a simili velocità e, soprattutto, dover gestire la situazione con 228 CV racchiusi nella manopola del gas è tutt'altro che facile. L'errore più banale che si possa fare, come ho fatto io stesso, è quello di anticipare la cambiata, passando al rapporto successivo non appena sul contagiri iniziano a lampeggiare i led verdi (ovvero a 14.300 giri) anziché quelli rossi (che si accendono in corrispondenza del limitatore, a quota 15.000 giri), nella speranza che così facendo l'accelerazione sia più omogenea. Invece, in questo modo il fenomeno si amplifica, visto che il regime di rotazione oscilla costantemente al di sopra e al di sotto del valore di coppia massima. Anche se il rumore del quattro cilindri Yamaha risulta simile a quello del bicilindrico Ducati, dunque, bisogna ricordarsi che il suo comportamento è ben diverso…
Così, pensando di aver imparato la lezione, ho provato a cambiare marcia aspettando che si accendessero i led rossi del contagiri (del resto l'intervento del limitatore, sulla R1 SBK, è tutt'altro che invasivo), ma anche in questo modo la ruota anteriore trascorreva più tempo per aria che a contatto con l'asfalto. A un certo punto, mentre stavo transitando sul rettilineo con la moto in preda ai continui sobbalzi dell'avantreno, giurerei di aver visto Silvano Galbusera, capotecnico del Team Yamaha Sterilgarda, ridacchiare al muretto dei box vedendomi costretto a frenare addirittura in anticipo per la curva successiva, temendo che le numerose sbacchettate avessero allontanato le pastiglie dell'impianto frenante anteriore dai relativi dischi…
È chiaro che questo tipo di problema può essere risolto con un accorgimento molto semplice, ovvero intervenendo sul freno posteriore durante fase di accelerazione, ma non mi sarei mai aspettato di doverlo fare su una Superbike con così tanta elettronica a bordo. Possibile che la Yamaha non disponga di un sistema anti-impennata?
L'aderenza offerta del retrotreno, infatti, è il vero tallone d'Achille di questa moto, come ho avuto modo di capire osservando Crutchlow in Gara-2 a Magny-Cours, mentre cercava di tenere il passo di Max Biaggi e, puntualmente, perdeva terreno nel lungo curvone del tracciato francese a causa delle continue derapate della ruota posteriore, che cercava di controllare parzializzando il gas con coraggio e abilità. A un certo punto, Cal ha addirittura tentato di superare Biaggi, piegando ancora più del solito, ma per poco non è stato catapultato in aria dalla sua Yamaha a causa dell'ennesima perdita di aderenza del retrotreno...
Con questa moto, insomma, non si scherza, parola del sottoscritto! Perciò, quando mi sono trovato ad affrontare per la prima volta la curva che immette sul rettilineo di Valencia, ho visto bene di rialzare la moto quasi completamente, in modo da poter contare su una maggior impronta a terra da parte del pneumatico posteriore, prima di prima di aprire tutto il gas in seconda marcia, ma anche stavolta le cose non sono andate come pensavo. La ruota anteriore della R1, infatti, ha iniziato a rimbalzare sull'asfalto man mano che inserivo le marce una dopo l'altra, fino alla staccata successiva (dove, per la cronaca, si arriva in sesta)!
Avere a che fare con una moto che si impenna a simili velocità e, soprattutto, dover gestire la situazione con 228 CV racchiusi nella manopola del gas è tutt'altro che facile. L'errore più banale che si possa fare, come ho fatto io stesso, è quello di anticipare la cambiata, passando al rapporto successivo non appena sul contagiri iniziano a lampeggiare i led verdi (ovvero a 14.300 giri) anziché quelli rossi (che si accendono in corrispondenza del limitatore, a quota 15.000 giri), nella speranza che così facendo l'accelerazione sia più omogenea. Invece, in questo modo il fenomeno si amplifica, visto che il regime di rotazione oscilla costantemente al di sopra e al di sotto del valore di coppia massima. Anche se il rumore del quattro cilindri Yamaha risulta simile a quello del bicilindrico Ducati, dunque, bisogna ricordarsi che il suo comportamento è ben diverso…
Così, pensando di aver imparato la lezione, ho provato a cambiare marcia aspettando che si accendessero i led rossi del contagiri (del resto l'intervento del limitatore, sulla R1 SBK, è tutt'altro che invasivo), ma anche in questo modo la ruota anteriore trascorreva più tempo per aria che a contatto con l'asfalto. A un certo punto, mentre stavo transitando sul rettilineo con la moto in preda ai continui sobbalzi dell'avantreno, giurerei di aver visto Silvano Galbusera, capotecnico del Team Yamaha Sterilgarda, ridacchiare al muretto dei box vedendomi costretto a frenare addirittura in anticipo per la curva successiva, temendo che le numerose sbacchettate avessero allontanato le pastiglie dell'impianto frenante anteriore dai relativi dischi…
È chiaro che questo tipo di problema può essere risolto con un accorgimento molto semplice, ovvero intervenendo sul freno posteriore durante fase di accelerazione, ma non mi sarei mai aspettato di doverlo fare su una Superbike con così tanta elettronica a bordo. Possibile che la Yamaha non disponga di un sistema anti-impennata?
Era da quando avevo provato la Kawasaki MotoGP del 2003 (soprannominata per l'appunto l'Incredibile Hulk!) che non mi capitava di guidare una moto così difficile da domare in accelerazione, solo che a rendere una sorta di cavallo imbizzarrito la prima versione della ZX-RR era il repentino picco di potenza, mentre nel caso della R1 è l'esubero di coppia ai medi regimi, cosa che da una parte le permette prestazioni al top della categoria, ma dall'altra complica notevolmente la vita di chi sta in sella. Come se non bastasse poi, il cambio della Yamaha risulta piuttosto duro e secco negli innesti, richiedendo un'azione particolarmente aggressiva se si vogliono inserire le marce senza problemi.
Dopo vari tentativi, comunque, sono finalmente venuto a capo della situazione. Piuttosto che spalancare il gas in modo brusco, infatti, è necessario fare in modo che la coppia cresca gradualmente attraverso una rotazione progressiva del polso destro. Sembra paradossale, ma per andare più forte, con la R1, bisogna aprire il gas più lentamente!
"Abbiamo un'efficace sistema anti-impennata, - mi ha confermato Markus Eschenbacher - ma aumentando troppo il suo livello di intervento si rischia di penalizzare l'accelerazione e lo stesso vale per il traction control. Cal, ad esempio, preferiva avere qualche aiuto da parte dell'elettronica, ma non troppi, perché voleva essere lui a fare la differenza, senza sentirsi limitato dai vari controlli. Per questo non sempre risulta vantaggioso intervenire con decisione sul gas della R1. Così facendo, infatti, la moto può dar luogo a inutili derapate e impennate, che costituiscono solo una perdita di tempo. Per evitare tutto ciò, Cal cercava sempre di gestire l'acceleratore con grande sensibilità, facendo al tempo stesso attenzione nel mantenere il motore al di sopra del regime di coppia massima".
Facile a dirsi piuttosto che a farsi. Nei curvoni veloci, ad esempio, bisogna mantenere molto alta la percorrenza, come mi ha confermato anche Laverty a Valencia, altrimenti si rischia che, una volta arrivati alla successiva fase di accelerazione, il motore sia così energico da far perdere istantaneamente aderenza alla ruota posteriore.
"Il problema è costituito dall'abbinamento tra l'erogazione del propulsore e le caratteristiche dei pneumatici Pirelli. – mi aveva detto James Toseland durante la stagione 2010 – Basta dire che la R1 è in grado di far pattinare la ruota posteriore anche in sesta marcia! Pertanto, se si fa l'errore di piegare un po' più del solito e ci si ritrova con il motore nell'arco di utilizzo 'sbagliato', si rischia di finire nella ghiaia… Nella fase di accelerazione bisogna viceversa mantenere la moto più dritta possibile, altrimenti si fa poca strada".
La soluzione, dunque, è quella di utilizzare il cambio in modo da mantenere il motore costantemente tra i 12.000 e i 15.000 giri, ovvero al di fuori del range in cui la coppia è eccessiva, e di gestire il gas con dolcezza, senza che il retrotreno perda aderenza e che l'avantreno si sollevi da terra.
Solo così è possibile mettere a frutto l'enorme potenziale del quattro cilindri a scoppi irregolari, degno di una più leggera MotoGP di 800 cc, senza esserne viceversa sopraffatti. Non c'è da sorprendersi, dunque, se Ben Spies è riuscito a passare dalle derivate di serie ai prototipi senza grossi problemi!
Dopo vari tentativi, comunque, sono finalmente venuto a capo della situazione. Piuttosto che spalancare il gas in modo brusco, infatti, è necessario fare in modo che la coppia cresca gradualmente attraverso una rotazione progressiva del polso destro. Sembra paradossale, ma per andare più forte, con la R1, bisogna aprire il gas più lentamente!
"Abbiamo un'efficace sistema anti-impennata, - mi ha confermato Markus Eschenbacher - ma aumentando troppo il suo livello di intervento si rischia di penalizzare l'accelerazione e lo stesso vale per il traction control. Cal, ad esempio, preferiva avere qualche aiuto da parte dell'elettronica, ma non troppi, perché voleva essere lui a fare la differenza, senza sentirsi limitato dai vari controlli. Per questo non sempre risulta vantaggioso intervenire con decisione sul gas della R1. Così facendo, infatti, la moto può dar luogo a inutili derapate e impennate, che costituiscono solo una perdita di tempo. Per evitare tutto ciò, Cal cercava sempre di gestire l'acceleratore con grande sensibilità, facendo al tempo stesso attenzione nel mantenere il motore al di sopra del regime di coppia massima".
Facile a dirsi piuttosto che a farsi. Nei curvoni veloci, ad esempio, bisogna mantenere molto alta la percorrenza, come mi ha confermato anche Laverty a Valencia, altrimenti si rischia che, una volta arrivati alla successiva fase di accelerazione, il motore sia così energico da far perdere istantaneamente aderenza alla ruota posteriore.
"Il problema è costituito dall'abbinamento tra l'erogazione del propulsore e le caratteristiche dei pneumatici Pirelli. – mi aveva detto James Toseland durante la stagione 2010 – Basta dire che la R1 è in grado di far pattinare la ruota posteriore anche in sesta marcia! Pertanto, se si fa l'errore di piegare un po' più del solito e ci si ritrova con il motore nell'arco di utilizzo 'sbagliato', si rischia di finire nella ghiaia… Nella fase di accelerazione bisogna viceversa mantenere la moto più dritta possibile, altrimenti si fa poca strada".
La soluzione, dunque, è quella di utilizzare il cambio in modo da mantenere il motore costantemente tra i 12.000 e i 15.000 giri, ovvero al di fuori del range in cui la coppia è eccessiva, e di gestire il gas con dolcezza, senza che il retrotreno perda aderenza e che l'avantreno si sollevi da terra.
Solo così è possibile mettere a frutto l'enorme potenziale del quattro cilindri a scoppi irregolari, degno di una più leggera MotoGP di 800 cc, senza esserne viceversa sopraffatti. Non c'è da sorprendersi, dunque, se Ben Spies è riuscito a passare dalle derivate di serie ai prototipi senza grossi problemi!
A questo punto, qualcuno potrebbe pensare che tutte queste critiche nei confronti di quella che, dopo tutto, è pur sempre l'erede della moto che ha vinto il titolo mondiale nel 2009, siano eccessive, ma posso garantirvi che riuscire a sfruttare l'enorme potenziale della R1 richiede una guida completamente diversa da qualsiasi altra Superbike.
"Mi sono reso conto che forzando si rischia di andare ancora più piano! - ha detto Eugene Laverty a proposito della sua nuova moto quando ci siamo incrociati ai box – Per questo è fondamentale avere un grande sensibilità nel polso destro, in modo da poter controllare l'erogazione della potenza. La prima volta che ho provato la R1 a Magny-Cours ho ottenuto subito ottimi tempi senza spingere più di tanto, così ho pensato: figuriamoci cosa posso fare se mi impegno al 100%? Invece, una volta tornato in pista, i miei tempi sono saliti! In pratica, non bisogna mai essere aggressivi con l'acceleratore, anche se è la cosa più spontanea da fare quando si va in cerca del limite…".
Dove la Yamaha, viceversa, eccelle è senza dubbio sul fronte della maneggevolezza e su quello della frenata. Pur essendo più larga rispetto all'Aprilia, infatti, la R1 risulta comunque particolarmente agile, soprattutto dopo che Crutchlow ha fatto realizzare un serbatoio più stretto che gli consentiva di rialzare la moto con maggior facilità, in modo da garantire al pneumatico posteriore una maggior impronta a terra in uscita di curva, o di farle cambiare direzione più rapidamente all'interno delle chicane. Lo stesso vale anche per la fase di inserimento, a proposito della quale Cal mi aveva messo in guardia circa il maggiore effetto giroscopico da parte del motore a scoppi irregolari una volta chiuso il gas. Una caratteristica che, una volta metabolizzata, risulta addirittura vantaggiosa ai fini della maneggevolezza.
Inoltre, la Yamaha risulta assolutamente stabile in frenata (nonostante l'enorme potenza dell'impianto Brembo) grazie all'ottimo bilanciamento generale, tale da impedire il sollevamento della ruota posteriore anche nelle staccate al limite.
Per contro, non avevo dato peso al fatto che la R1 del Team Sterilgarda tendesse a sottosterzare in accelerazione, imputando questo comportamento alla differenza di peso (quasi 20 Kg) tra me e Laverty, se non che anche Eugene ha avuto modo di rimarcare la stessa cosa.
"Il sottosterzo c'è e si sente, ma ancora una volta è dovuto al modo in cui si apre il gas: ci vuole sensibilità... In ogni caso, la maneggevolezza è buona e mi piace il modo in cui la moto affronta i rapidi cambi di direzione. Me l'aspettavo più pesante, invece non è poi così diversa dalla Supersport che guidavo nel 2010".
In termini di prestazioni pure, dunque, la R1 ufficiale rappresenta un mezzo estremamente efficace: ha un motore potentissimo, è maneggevole, frena forte ed è particolarmente stabile in frenata. Il rovescio della medaglia è costituito da una moto molto impegnativa da guidare. Il problema non dipende dalla ciclistica, che risulta ben settata, quanto semmai dall'elevato stress psicofisico richiesto per andare veramente forte. Con la Yamaha SBK, infatti, non ci si può distrarre nemmeno per un istante, altrimenti si rischia di fare poca strada...
"Mi sono reso conto che forzando si rischia di andare ancora più piano! - ha detto Eugene Laverty a proposito della sua nuova moto quando ci siamo incrociati ai box – Per questo è fondamentale avere un grande sensibilità nel polso destro, in modo da poter controllare l'erogazione della potenza. La prima volta che ho provato la R1 a Magny-Cours ho ottenuto subito ottimi tempi senza spingere più di tanto, così ho pensato: figuriamoci cosa posso fare se mi impegno al 100%? Invece, una volta tornato in pista, i miei tempi sono saliti! In pratica, non bisogna mai essere aggressivi con l'acceleratore, anche se è la cosa più spontanea da fare quando si va in cerca del limite…".
Dove la Yamaha, viceversa, eccelle è senza dubbio sul fronte della maneggevolezza e su quello della frenata. Pur essendo più larga rispetto all'Aprilia, infatti, la R1 risulta comunque particolarmente agile, soprattutto dopo che Crutchlow ha fatto realizzare un serbatoio più stretto che gli consentiva di rialzare la moto con maggior facilità, in modo da garantire al pneumatico posteriore una maggior impronta a terra in uscita di curva, o di farle cambiare direzione più rapidamente all'interno delle chicane. Lo stesso vale anche per la fase di inserimento, a proposito della quale Cal mi aveva messo in guardia circa il maggiore effetto giroscopico da parte del motore a scoppi irregolari una volta chiuso il gas. Una caratteristica che, una volta metabolizzata, risulta addirittura vantaggiosa ai fini della maneggevolezza.
Inoltre, la Yamaha risulta assolutamente stabile in frenata (nonostante l'enorme potenza dell'impianto Brembo) grazie all'ottimo bilanciamento generale, tale da impedire il sollevamento della ruota posteriore anche nelle staccate al limite.
Per contro, non avevo dato peso al fatto che la R1 del Team Sterilgarda tendesse a sottosterzare in accelerazione, imputando questo comportamento alla differenza di peso (quasi 20 Kg) tra me e Laverty, se non che anche Eugene ha avuto modo di rimarcare la stessa cosa.
"Il sottosterzo c'è e si sente, ma ancora una volta è dovuto al modo in cui si apre il gas: ci vuole sensibilità... In ogni caso, la maneggevolezza è buona e mi piace il modo in cui la moto affronta i rapidi cambi di direzione. Me l'aspettavo più pesante, invece non è poi così diversa dalla Supersport che guidavo nel 2010".
In termini di prestazioni pure, dunque, la R1 ufficiale rappresenta un mezzo estremamente efficace: ha un motore potentissimo, è maneggevole, frena forte ed è particolarmente stabile in frenata. Il rovescio della medaglia è costituito da una moto molto impegnativa da guidare. Il problema non dipende dalla ciclistica, che risulta ben settata, quanto semmai dall'elevato stress psicofisico richiesto per andare veramente forte. Con la Yamaha SBK, infatti, non ci si può distrarre nemmeno per un istante, altrimenti si rischia di fare poca strada...
Yamaha SBK 2010: la coppia scoppia!
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