Moto & Scooter
Supertest 2007
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Tredici testate da tutto il mondo, altrettante sportive raggruppate nelle classi SS e SBK, oltre venti tester, una pista tecnica e gustosa quella di Almeria. Ecco il Supertest 2007, la comparativa delle comparative…
Testare le migliori supersportive 2007 di 600 cc e 1.000 cc in una delle più tecniche piste europee. Un’occasione che non capita spesso… a meno che non ci si chiami Dueruote/Motonline.com e si faccia parte della SWA.
Questo acronimo non è altro che l’abbreviazione di Supertest World Association, un’associazione di 13 riviste provenienti da tutto il mondo (Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Germania, Svizzera, Grecia, Giappone, Brasile e da quest’anno anche Svezia) finalizzata allo scambio di informazioni giornalistiche e naturalmente all’organizzazione del Supertest.
Questo acronimo non è altro che l’abbreviazione di Supertest World Association, un’associazione di 13 riviste provenienti da tutto il mondo (Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Germania, Svizzera, Grecia, Giappone, Brasile e da quest’anno anche Svezia) finalizzata allo scambio di informazioni giornalistiche e naturalmente all’organizzazione del Supertest.
Quest’ultimo è una maxi prova comparativa tra tutte le migliori sportive di 600, 750 e 1.000 cc (fino ai 1.100 cc della Ducati) che come nelle passate edizioni ha avuto come cornice la pista Andalusa di Almeria.
La classica prova in pista, con sensazioni e valutazioni su ogni aspetto della moto, è completata dal rilevamento dei valori di potenza e coppia, effettuati in loco mediante un banco accelerativo, e dall’indicazione dei migliori tempi sul giro che comunque non valgono quale metro di giudizio univoco. Le valutazioni su ogni moto derivano infatti principalmente dalle sensazioni di guida e dal giudizio qualitativo di ogni tester; quest’ultimo infatti deve esprimere un parere su ogni aspetto del mezzo guidato utilizzando una tabella appositamente realizzata e solo ala fine, mettendo assieme il tutto, viene decretata la vincitrice nella categoria Supersport e in quella Superbike (in cui rientra anche la Suzuki GSX-R 750).
Andiamo a vedere come è andata quest’anno…
La classica prova in pista, con sensazioni e valutazioni su ogni aspetto della moto, è completata dal rilevamento dei valori di potenza e coppia, effettuati in loco mediante un banco accelerativo, e dall’indicazione dei migliori tempi sul giro che comunque non valgono quale metro di giudizio univoco. Le valutazioni su ogni moto derivano infatti principalmente dalle sensazioni di guida e dal giudizio qualitativo di ogni tester; quest’ultimo infatti deve esprimere un parere su ogni aspetto del mezzo guidato utilizzando una tabella appositamente realizzata e solo ala fine, mettendo assieme il tutto, viene decretata la vincitrice nella categoria Supersport e in quella Superbike (in cui rientra anche la Suzuki GSX-R 750).
Andiamo a vedere come è andata quest’anno…
Supersport: la Triumph è ancora la regina
Come nella passata edizione a fare la parte del leone tra le Supersport è stata ancora una volta la Triumph 675. Fin dalle prime curve è chiaro che la velocità di ingresso e la rapidità nei cambi di direzione sono difficilmente eguagliabili dalle rivali; e tutto ciò si accompagna ad un rigore direzionale alle massime inclinazioni davvero esemplare. Certo, qualche sacrificio bisogna metterlo in conto, la posizione di guida è estrema e il pilota si ritrova marcatamente sbilanciato in avanti e il feeling di guida non è immediato. In compenso il motore cava d’impaccio in più di una occasione esprimendo un tiro ai medi incredibile, anche quando lo si chiama in causa sottocoppia: laddove con le altre seicento occorre fare bene i conti con il rapporto da usare, la Triumph tira fuori dalle curve senza incertezze e vuoti di spinta.
In scia all’Inglese troviamo la Yamaha YZF-R6, un altro mezzo estremamente reattivo in curva ed efficace al limite. Anche in questo caso un minimo di assuefazione è necessaria, per le reazioni simili a quelle di una saettante 250 GP da un lato, per il propulsore dall’altro. Non è raro, almeno nei primi giri di pista, ritrovarsi a correggere la traiettoria impostata a causa della velocità con cui la moto esegue gli ordini del pilota. E poi c’è il quattro cilindri: qui il problema è abituare l’orecchio all’urlo che esce dallo scarico quando la lancetta bazzica vola a quota 18.000… Perché è a quei regimi stratosferici che l’unità Yamaha deve essere tenuta per dare il meglio: sotto i 10.000 infatti meglio non scendere pena una spinta poco incisiva. Facile in teoria, meno nella pratica visto che non sempre c’è il rapporto giusto a soccorrere. La stabilità è l’altro aspetto da rimarcare, una caratteristica che si accompagna a un’incredibile capacità di chiudere la traiettoria in uscita di curva.
Sia per la Yamaha sia per la Triumph la frenata, e la rigorosità in staccata, sono a prova di bomba: la potenza di questi impianti è davvero tanta ed è perfettamente sfruttabile anche grazie alla solida e ben frenata forcella. Ma in frenata si difende alla grande anche la Kawasaki ZX-6R, che alla grinta del doppio disco anteriore abbina un sistema antisaltellamento a prova di bomba e un avantreno granitico.
Se raffrontata alle due rivali infatti richiede una guida più muscolosa: pretende insomma le maniere forti e un buon lavoro di braccia e gambe per essere indirizzata. Insomma, non è l’agilità il suo punto di forza, un limite che sulla pista di Almeria si paga in termini di decimi di secondo e impegno. In compenso è proprio l’avantreno a colpire; la ruota anteriore pare scavare l’asfalto con traiettorie precise al millimetro trasmettendo grande sicurezza. E poi c’è il motore dall’eccellente verve ai medi regimi e capace di un allungo corposissimo fino a quota 16.000. Altro aspetto che si fa apprezzare nella “verdona” è la buona abitabilità, anche se non si è propriamente dei fantini.
Se è il feeling di guida che si sta cercando, da mettere a frutto anche su strada, allora le regine si chiamano Suzuki GSX-R 600 e CBR600RR. Entrambe offrono una grande facilità di guida e un bilanciamento ciclistico che rende naturale ogni manovra e che di conseguenza permette anche ai meno esperti di acquisire in breve tempo un ritmo elevato. In termini di grinta in pista però è la Suzuki ad emergere: incisiva in ingresso di curva, ferma sulle sospensioni anche quando l’asfalto risulta irregolare, efficace nella percorrenza. Non fa rimpiangere ciclistiche più estreme. E proprio questo fa rimpiangere un motore più cattivo. Superata la soglia dei 12.000 giri la spinta si affievolisce e conviene passare al rapporto successivo. La frenata è l’altro fiore all’occhiello di questa moto, grazie ad un doppio disco anteriore che coniuga resistenza e potenza e ad un antisaltellamente che seppur tarato prevalentemente per l’uso stradale non presta il fianco a critica.
Le valutazioni sono molto simili per la media dell’Ala dorata; solo che in questo caso le doti di equilibrio e il feeling che si instaura con la moto sono elevate all’ennesima potenza. La Honda CBR600RR sembra fare tutto da sola, quasi accompagnando per mano il pilota in ogni suo gesto: la comunicativa della ciclistica è totale. Una moto insomma che coinvolge senza purtroppo eccellere in nulla. Un carattere, quello ciclistico, che si ritova anche nel propulsore, che offre una spinta omogenea su tutto l’arco di erogazione ma che non regala brividi. Sempre in tema di pecche si nota l’assenza dell’antisaltellamento in staccata e sospensioni poco frenate idraulicamente.
In scia all’Inglese troviamo la Yamaha YZF-R6, un altro mezzo estremamente reattivo in curva ed efficace al limite. Anche in questo caso un minimo di assuefazione è necessaria, per le reazioni simili a quelle di una saettante 250 GP da un lato, per il propulsore dall’altro. Non è raro, almeno nei primi giri di pista, ritrovarsi a correggere la traiettoria impostata a causa della velocità con cui la moto esegue gli ordini del pilota. E poi c’è il quattro cilindri: qui il problema è abituare l’orecchio all’urlo che esce dallo scarico quando la lancetta bazzica vola a quota 18.000… Perché è a quei regimi stratosferici che l’unità Yamaha deve essere tenuta per dare il meglio: sotto i 10.000 infatti meglio non scendere pena una spinta poco incisiva. Facile in teoria, meno nella pratica visto che non sempre c’è il rapporto giusto a soccorrere. La stabilità è l’altro aspetto da rimarcare, una caratteristica che si accompagna a un’incredibile capacità di chiudere la traiettoria in uscita di curva.
Sia per la Yamaha sia per la Triumph la frenata, e la rigorosità in staccata, sono a prova di bomba: la potenza di questi impianti è davvero tanta ed è perfettamente sfruttabile anche grazie alla solida e ben frenata forcella. Ma in frenata si difende alla grande anche la Kawasaki ZX-6R, che alla grinta del doppio disco anteriore abbina un sistema antisaltellamento a prova di bomba e un avantreno granitico.
Se raffrontata alle due rivali infatti richiede una guida più muscolosa: pretende insomma le maniere forti e un buon lavoro di braccia e gambe per essere indirizzata. Insomma, non è l’agilità il suo punto di forza, un limite che sulla pista di Almeria si paga in termini di decimi di secondo e impegno. In compenso è proprio l’avantreno a colpire; la ruota anteriore pare scavare l’asfalto con traiettorie precise al millimetro trasmettendo grande sicurezza. E poi c’è il motore dall’eccellente verve ai medi regimi e capace di un allungo corposissimo fino a quota 16.000. Altro aspetto che si fa apprezzare nella “verdona” è la buona abitabilità, anche se non si è propriamente dei fantini.
Se è il feeling di guida che si sta cercando, da mettere a frutto anche su strada, allora le regine si chiamano Suzuki GSX-R 600 e CBR600RR. Entrambe offrono una grande facilità di guida e un bilanciamento ciclistico che rende naturale ogni manovra e che di conseguenza permette anche ai meno esperti di acquisire in breve tempo un ritmo elevato. In termini di grinta in pista però è la Suzuki ad emergere: incisiva in ingresso di curva, ferma sulle sospensioni anche quando l’asfalto risulta irregolare, efficace nella percorrenza. Non fa rimpiangere ciclistiche più estreme. E proprio questo fa rimpiangere un motore più cattivo. Superata la soglia dei 12.000 giri la spinta si affievolisce e conviene passare al rapporto successivo. La frenata è l’altro fiore all’occhiello di questa moto, grazie ad un doppio disco anteriore che coniuga resistenza e potenza e ad un antisaltellamente che seppur tarato prevalentemente per l’uso stradale non presta il fianco a critica.
Le valutazioni sono molto simili per la media dell’Ala dorata; solo che in questo caso le doti di equilibrio e il feeling che si instaura con la moto sono elevate all’ennesima potenza. La Honda CBR600RR sembra fare tutto da sola, quasi accompagnando per mano il pilota in ogni suo gesto: la comunicativa della ciclistica è totale. Una moto insomma che coinvolge senza purtroppo eccellere in nulla. Un carattere, quello ciclistico, che si ritova anche nel propulsore, che offre una spinta omogenea su tutto l’arco di erogazione ma che non regala brividi. Sempre in tema di pecche si nota l’assenza dell’antisaltellamento in staccata e sospensioni poco frenate idraulicamente.
Superbike: riconferma per la GSX-R 1000
L’Aprilia RSV ha confermato ancora una volta le sue ben note qualità. Facile e intuitiva come nessun altra, la bicilindrica di Noale ha messo in mostra una precisione da riferimento sia negli inserimenti in curva sia nei lunghi tratti in appoggio. Insomma, è facile andare forte con l’italiana e il suo propulsore, proprio per il notevole deficit di CV, risulta facile da gestire, assieme all’impianto frenante, al top per potenza e sfruttabilità.
Un’altra moto con la quale è relativamente facile tenere un buon ritmo è la GSX-R1000: dotata di un propulsore strapotente, è in grado di associare alla regolarità di erogazione un’incredibile veemenza ai medi regimi, capace di spingere con grinta fuori dalle curve anche con un rapporto più lungo del dovuto. La GSX-R si dimostra estremamente rassicurante in ogni frangente, anche se per sfruttare a fondo l’enorme potenziale occorre prendere le dovute confidenze, avvicinandosi con circospezione alla zona rossa del contagiri. L’unica annotazione che ci sentiamo di muovere riguarda il freno anteriore, la cui leva acquisisce gioco dopo alcuni giri di buon passo.
Anche la Honda CBR1000RR si conferma duttile e sfruttabile, in virtù della sua capacità di adattarsi ad ogni situazione e a ogni utilizzo con naturalezza. Dotata di una posizione di guida più confortevole rispetto alla concorrenza (e soprattutto rispetto alle più estreme MV e Ducati), la CBR infonde sicurezza e regala feeling. Stabile sul veloce, può contare su un propulsore estremamente trattabile ed elastico, facile da sfruttare perché privo di quel picco di potenza agli alti regimi che caratterizza gli altri quadricilindrici. Peccato per questa caratteristica ne risenta l’allungo (oltre i 12.000 giri conviene cambiare rapporto, mentre con le altre si può arrivare a 13.000/14.000 giri) e soprattutto che la rapportatura finale eccessivamente lunga non enfatizza le prestazioni. Nulla da segnalare per l’impianto frenante, potente, modulabile e resistente alle sollecitazioni.
La Ducati 1098 S non si fa certo notare per le sue doti di trattabilità e immediatezza; in compenso il limite della sua ciclistica è molto elevato. La 1098 S pretende un buon lavoro di braccia e gambe per rendere al meglio, risultando più “dura” ma anche più rigorosa rispetto alle rivali. Come da tradizione la Ducati del nuovo corso affianca alla rinomata precisione direzionale una solidità da riferimento, riuscendo a sviluppare velocità di percorrenza in curva inarrivabili. Il propulsore, pronto ad ogni regime, può essere utilizzato per correggere le traiettorie in entrata di curva, ma anche per divorare i tratti rettilinei, vista la rabbiosa velocità con la quale prende i giri. Da brividi l’impianto frenante; esuberante nella potenza (quasi eccessiva) necessita di un’adeguata conoscenza prima di essere sfruttato a fondo.
Per certi versi la 1098 è paragonabile alla MV 312R, anche se va detto che per quest’ultima è richiesta una guida ancor più decisa e calibrata. Anche l’avantreno della R 312 è granitico, e anche alle massime inclinazioni la precisione rimane impressionante. Richiede al pilota un notevole impegno per essere indirizzata in curva e un minimo di adattamento. Il propulsore è molto simile al quattro cilindri Suzuki, pieno e corposo ad ogni regime quanto dirompente in prossimità della zona rossa del contagiri. Migliorabile l’effetto “chiudi-apri” del gas, dove abbiamo registrato imprecisioni nella risposta, mentre l’impianto frenante è potente e sfruttabile.
La Kawasaki ZX-10R e la Yamaha R1 sono paragonabili tra loro: entrambe sono dotate di una ciclistica molto agile, anche se va detto che per la Kawasaki abbiamo riscontrato una maggiore reattività dello sterzo nei tratti più veloci. Entrambi i propulsori mostrano una evidente propensione a “girare alto”, e pur evidenziando una regolarità esemplare ad ogni regime per essere sfruttati a fondo richiedono di essere impiegati oltre i 9.000 giri, soglia oltre la quale la potenza arriva con prepotenza. Per dare il meglio in pista, insomma, queste moto richiedono una guida molto attenta e precisa, e pur non imponendo lo sforzo fisico richiesto per la Ducati e la MV prediligono i piloti dotati di una certa esperienza.
Al top i rispettivi impianti frenanti, anche se per la Kawasaki, al pari della Suzuki GSX-R dobbiamo segnalare la fastidiosa tendenza ad acquisire gioco della leva del freno anteriore dopo alcuni giri tirati.
Un’altra moto con la quale è relativamente facile tenere un buon ritmo è la GSX-R1000: dotata di un propulsore strapotente, è in grado di associare alla regolarità di erogazione un’incredibile veemenza ai medi regimi, capace di spingere con grinta fuori dalle curve anche con un rapporto più lungo del dovuto. La GSX-R si dimostra estremamente rassicurante in ogni frangente, anche se per sfruttare a fondo l’enorme potenziale occorre prendere le dovute confidenze, avvicinandosi con circospezione alla zona rossa del contagiri. L’unica annotazione che ci sentiamo di muovere riguarda il freno anteriore, la cui leva acquisisce gioco dopo alcuni giri di buon passo.
Anche la Honda CBR1000RR si conferma duttile e sfruttabile, in virtù della sua capacità di adattarsi ad ogni situazione e a ogni utilizzo con naturalezza. Dotata di una posizione di guida più confortevole rispetto alla concorrenza (e soprattutto rispetto alle più estreme MV e Ducati), la CBR infonde sicurezza e regala feeling. Stabile sul veloce, può contare su un propulsore estremamente trattabile ed elastico, facile da sfruttare perché privo di quel picco di potenza agli alti regimi che caratterizza gli altri quadricilindrici. Peccato per questa caratteristica ne risenta l’allungo (oltre i 12.000 giri conviene cambiare rapporto, mentre con le altre si può arrivare a 13.000/14.000 giri) e soprattutto che la rapportatura finale eccessivamente lunga non enfatizza le prestazioni. Nulla da segnalare per l’impianto frenante, potente, modulabile e resistente alle sollecitazioni.
La Ducati 1098 S non si fa certo notare per le sue doti di trattabilità e immediatezza; in compenso il limite della sua ciclistica è molto elevato. La 1098 S pretende un buon lavoro di braccia e gambe per rendere al meglio, risultando più “dura” ma anche più rigorosa rispetto alle rivali. Come da tradizione la Ducati del nuovo corso affianca alla rinomata precisione direzionale una solidità da riferimento, riuscendo a sviluppare velocità di percorrenza in curva inarrivabili. Il propulsore, pronto ad ogni regime, può essere utilizzato per correggere le traiettorie in entrata di curva, ma anche per divorare i tratti rettilinei, vista la rabbiosa velocità con la quale prende i giri. Da brividi l’impianto frenante; esuberante nella potenza (quasi eccessiva) necessita di un’adeguata conoscenza prima di essere sfruttato a fondo.
Per certi versi la 1098 è paragonabile alla MV 312R, anche se va detto che per quest’ultima è richiesta una guida ancor più decisa e calibrata. Anche l’avantreno della R 312 è granitico, e anche alle massime inclinazioni la precisione rimane impressionante. Richiede al pilota un notevole impegno per essere indirizzata in curva e un minimo di adattamento. Il propulsore è molto simile al quattro cilindri Suzuki, pieno e corposo ad ogni regime quanto dirompente in prossimità della zona rossa del contagiri. Migliorabile l’effetto “chiudi-apri” del gas, dove abbiamo registrato imprecisioni nella risposta, mentre l’impianto frenante è potente e sfruttabile.
La Kawasaki ZX-10R e la Yamaha R1 sono paragonabili tra loro: entrambe sono dotate di una ciclistica molto agile, anche se va detto che per la Kawasaki abbiamo riscontrato una maggiore reattività dello sterzo nei tratti più veloci. Entrambi i propulsori mostrano una evidente propensione a “girare alto”, e pur evidenziando una regolarità esemplare ad ogni regime per essere sfruttati a fondo richiedono di essere impiegati oltre i 9.000 giri, soglia oltre la quale la potenza arriva con prepotenza. Per dare il meglio in pista, insomma, queste moto richiedono una guida molto attenta e precisa, e pur non imponendo lo sforzo fisico richiesto per la Ducati e la MV prediligono i piloti dotati di una certa esperienza.
Al top i rispettivi impianti frenanti, anche se per la Kawasaki, al pari della Suzuki GSX-R dobbiamo segnalare la fastidiosa tendenza ad acquisire gioco della leva del freno anteriore dopo alcuni giri tirati.
Valori di potenza e coppia massima rilevati all’albero
Le classifiche finali
Il punteggio relativo ad ogni singola voce di giudizio deriva dalla votazione di tutti i tester impegnati nella prova comparativa. Da segnalare “l’anomalia” rappresentata dalla Suzuki GSX-R 750, moto che per comodità è stata catalogata nella classe Supersport.
Classifica finale:
Supersport:
1st Triumph Daytona 675
2nd Honda CBR 600 RR
3rd Kawasaki ZX-6R
SBK:
1st Suzuki GSX-R 1000
2nd Yamaha YZF-R1
3rd Ducati 1098S
Classifica finale:
Supersport:
1st Triumph Daytona 675
2nd Honda CBR 600 RR
3rd Kawasaki ZX-6R
SBK:
1st Suzuki GSX-R 1000
2nd Yamaha YZF-R1
3rd Ducati 1098S
La pista di Almeria
Seppur non velocissimo il tracciato di Almeria offre molti punti tecnici per moto e pilota, un banco di prova perfetto insomma per testare a fondo qualsiasi mezzo. È caratterizzato da notevoli dislivelli altimetrici, curve a raggio variabile, cambi di direzione da affrontare a velocità sostenuta e strette esse e due staccate molto violente. I punti più difficili sono rappresentati dalla curva 2 e dalla serie 4-5-6, svolta da farsi in tre tempi con scollinamento da affrontare alla cieca in terza marcia a velocità piuttosto elevata. Ma impegnative sono anche le violente staccate delle curve 1 e 13; a quest’ultima, una stretta svolta da seconda, con le maxi si arriva in quinta marcia. Di seguito i migliori tempi spuntati con le 600 e con le maxi.
Le gomme: Continental ContiRace Attack per tutte
Per omogeneizzare il comportamento in pista la scelta della “monogomma” è fondamentale: come per la passata edizione la scelta è caduta sulla Continental che ha messo a disposizione il nuovo “ContiRace Attack”, pneumatico progettato soprattutto per l’uso sportivo stradale ma che garantisce grip e performance di buon livello anche nell’uso in pista. A livello di prestazioni si colloca infatti un gradino sopra il ContiSport Attack e uno sotto il ContiRace Attack Competition, studiato espressamente per l’uso in pista.
Come per le ultime proposte sportive sfrutta la tecnologia costruttiva della doppia mescola, più morbida sulle spalle per la massima tenuta in piega, più dura al centro per garantire durata nell’uso normale. Il battistrada è caratterizzato da un disegno poco esteso limitato alla zona centrale per offrire il massimo della superficie di contatto (e quindi grip) in curva. Per offrire stabilità la struttura è infine costituita da una cintura d’acciaio a 0°.
Come per le ultime proposte sportive sfrutta la tecnologia costruttiva della doppia mescola, più morbida sulle spalle per la massima tenuta in piega, più dura al centro per garantire durata nell’uso normale. Il battistrada è caratterizzato da un disegno poco esteso limitato alla zona centrale per offrire il massimo della superficie di contatto (e quindi grip) in curva. Per offrire stabilità la struttura è infine costituita da una cintura d’acciaio a 0°.
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