Moto & Scooter
Omaggio al grande Tarquinio Provini
La scomparsa di uno fra i più forti protagonisti del nostro sport è pianta dai tanti che ancora ricordano il suo nome e le sue gesta. Coraggio, determinazione e uno stile inimitabile ne fecero l’ultimo campione capace di battere con una ‘mono’ le pluricil

di Luigi Rivola
Tarquinio Provini guida la Morini 250 col suo inconfondibile e insuperato stile
Milano Marittima, 1966. Avevo 18 anni e una grande passione per i motori, più per le moto che per le automobili. Infatti i miei veicoli personali erano una Triumph Tiger 500 bicilindrica e una Fiat Topolino con elaborazione Siata: il terrore di tutte le Fiat 500 e 600 che non fossero Abarth.
Arrivai a Milano Marittima un sabato pomeriggio: sul circuito cittadino dell’Adriatico era in programma una corsa motociclistica internazionale, un’occasione unica, per me e per quei trenta-quarantamila che la pensavano come me, di vedere da vicino i campioni dello sport preferito e i loro pazzeschi bolidi. Arrivato nei pressi della terza traversa sentii il rumore inconfondibile di quattro cilindri a scarichi liberi. MV? No, le 350-500 di Hailwood e Agostini avevano un rombo più pieno. Honda? Forse. Oppure Benelli.
Mi feci largo fra una marea di gente e arrivai alla sorgente della melodia: la moto era una Benelli 250 con quattro tromboni dall’inconfondibile curvatura che ululavano modulati dalla sapiente mano destra del direttore d’orchestra, lui, Tarquinio Provini, un nome da re di Roma antica, un fisico da ginnasta profilato dall’aderente tuta di pelle rigorosamente nera, un talento da campionissimo, uno stile di guida unico che faceva impazzire il pubblico in riva all’Adriatico, come sulla costa giapponese del Pacifico o sull’Isola di Man.
Provini stava scaldando la Benelli stando in sella proteggendosi dalla brezza marina con un giubbotto di montone con collo di pelo. Tutti gli stavano antorno ammirati e molti si azzardavano persino a battergli una pacca sulle spalle, come fossero amici da tempo. Lui lasciava fare senza ostentare impazienza. Gli facevano domande che ormai conosceva a memoria, ma rispondeva senza malagrazia: sapeva che quella gente era lì per lui, che lo stimava, che si entusiasmava per le sue prodezze in pista, che sapeva dargli la carica giusta per poi scaricarla sugli avversari.
Quel giorno conobbi Provini. Lo conobbi come gli altri, cioè non lo conobbi affatto, ma gli arrivai tanto vicino da poterlo osservare e studiare per almeno cinque lunghi muniti e imprimermi quella scena e quel personaggio nella mente in modo indelebile. Meno di dieci anni dopo lo conobbi di persona. Ci trovammo assieme alla cena di un Moto Club, forse il Santerno di Checco Costa, o il Borsari di Modena ed ero diventato un “addetto ai lavori”; nel frattempo avevo conosciuto anche Omer Melotti, il suo meccanico di fiducia, che mi aveva raccontato tante cose del suo campione. Da allora, almeno una volta all’anno la cena con Provini ci scappava, e non era mai noiosa, specialmente se in sua compagnia c’era Umberto Masetti, suo avversario in corsa e suo opposto caratterialmente.
Quando aveva smesso di correre, Provini era riuscito in un’ultima grande impresa: realizzarsi nella vita quotidiana, senza tuta e lontano dai circuiti, mettendo a frutto abilità, intuito imprenditoriale e intelligenza. Aveva fondato a Bologna la Protar, una piccola azienda dalla quale sono usciti modellini delle più famose moto da competizione italiane e straniere, perfette nei dettagli come perfetto cercava di essere lui quando le guidava incollato al serbatoio in modo che neanche un filo d’aria potesse essere ostacolato nel suo flusso e frenare così la sua corsa.
Tarquinio Provini non c’è più. Tanti suoi amici-avversari sono morti correndo; lui ha rischiato più volte di seguirli, ma alla fine è stato premiato dal destino che però, inesorabile, quarant’anni dopo il suo ritiro dalle corse si è presentato per l’ultima chiamata.
Nato il 29 maggio 1933 a Roveleto di Cadeo, in provincia di Piacenza, Tarquinio Provini è stato, con Ubbiali e Masetti, uno dei grandi protagonisti italiani del motociclismo internazionale venuti alla ribalta con la prima generazione di piloti del secondo dopoguerra.
L’esordio è a 17 anni con una MV 125 a due tempi in una corsa locale. Non ha ancora l’età minima, ma per poter correre si iscrive con la licenza di suo zio dopo aver sostituito la foto; vince subito, ma il suo sotterfugio viene scoperto e la sua carriera comincia quindi con una squalifica.
Nel 1951 però tutto è finalmente in regola e Tarquinio può dare libero sfogo alla sua passione per le corse e al suo talento naturale, ma i risultati non arrivano subito: gareggia con una Mondial 125 monoalbero, una moto molto competitiva per un privato dell’epoca, ma per due anni, per un motivo o per l’altro, non riesce ad emergere. Nel 1953 invece, con la stessa moto, vince addirittura 11 corse e si guadagna l’ingresso nella squadra Mondial di seconda categoria.
Provini ripaga la fiducia concessagli dal conte Giuseppe Boselli, uno dei quattro fratelli titolari della Mondial, vincendo nel 1954 il Motogiro e il campionato italiano ed ottenendo quindi la promozione in prima categoria, grazie alla quale, a fine stagione, può correre fra i Grandi della velocità nazionale e internazionale; partecipa per la prima volta a una gara di campionato mondiale a Monza e si piazza secondo, poi celebra la sua prima trasferta all’estero, al GP di Barcellona, con una clamorosa vittoria che lo porta all’attenzione di tutto il mondo motociclistico.
Nel 1955 e 1956 corre molto in Italia e poco all’estero: accumula esperienza, vittorie, piazzamenti importanti e comincia a gareggiare anche con la Mondial 250. Inizia il 1957 al massimo della forma, che mantiene per tutta la stagione e con un risultato finale dirompente: campione italiano della 125 e della 250, campione del mondo della 125 con vittorie al Tourist Trophy, Assen e Francorchamps in questa classe e ancora ad Assen e a Monza nella 250.
Alla fine del 1957 la Mondial si ritira dalle corse e Provini viene assunto alla MV dove si ritrova in squadra il suo più forte avversario, Carlo Ubbiali. Una sapiente regia del team fa sì però che lo scontro, che è anche fra due fortissimi caratteri, non si riveli devastante, anzi produttivo. Ubbiali nel 1958 è campione del mondo della 125 e Provini conquista invece il titolo nella 250. La stessa cosa non succede però nel 1959, quando Ubbiali è iridato in entrambe le classi. Provini, due volte secondo, ha evidentemente qualcosa da recriminare, per cui lascia la MV e passa alla Morini.
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In sella alla 250 bolognese nel 1960 deve assoggettarsi a un anno di sviluppo della moto, ma ritorna alla vittoria già nel ’61 in Italia e ottiene i primi piazzamenti internazionali della monocilindrica bialbero contro le quattro cilindri Honda che già imperversano. Il binomio emiliano cresce ancora nel ’62, ma è l’anno dopo che diventa inatteso protagonista della 250. Nelle prime gare della stagione mondiale, a Barcellona e ad Hockenheim, Provini vince perentoriamente e la Morini, col suo unico cilindro, umilia la Honda-4 del campione del mondo Jim Redman. Salta il Tourist Trophy per una malaugurata e tuttora inspiegabile decisione della Morini, torna in gara ad Assen, dove si piazza secondo nonostante una caduta e la presenza delle nuove, velocissime, Yamaha bicilindriche a due tempi, è terzo in Belgio e ancora secondo all’Ulster.
A questo punto una clamorosa affermazione di Provini e della Morini nel Mondiale 250 è una prospettiva reale, ma ci pensa ancora la Morini a rovinare tutto con un incredibile errore: la squadra si presenta alla frontiera della Germania Est senza il necessario visto d’ingresso e viene respinta, così Provini salta anche il Sachsenring. A nulla servono, dopo due corse assurdamente sprecate, le successive vittorie a Monza e a Buenos Aires: Provini e la Morini si recano all’ultima, decisiva corsa in Giappone, ma Honda e Yamaha schierano in casa due squadre fortissime che lasciano all’italiano, afflitto da una otite e con una moto non perfettamente a punto per il ritardato sdoganamento, solo il quarto posto.
Quasi inevitabile il divorzio a fine anno: Provini lascia la sella della 250 monocilindrica all’astro nascente Giacomo Agostini e sale sulla Benelli quattro cilindri dove inizia benissimo, battendo tutte le Giapponesi nel primo GP stagionale a Barcellona, salvo poi dover accusare per il prosieguo della stagione un consistente handicap tecnico rispetto alle moto degli avversari.
Nel ’65 la Benelli cresce e consente a Provini di vincere in Italia, ma all’estero contro le scatenatissime Giapponesi non c’è niente da fare. Nel ’66 ottiene con la 250 il dodicesimo titolo italiano, poi accende l’entusiasmo dei suoi tifosi con un secondo posto alle spalle della Honda di Hailwood nella 350 al GP di Hockenheim. Con grandi speranze si reca quindi al Tourist Trophy, ma una tremenda caduta in prova pone fine alle illusioni: Provini rischia la vita, si salva per un soffio, ma la carriera è chiusa. Quella caduta è sempre stata attribuita a un raggio di sole che avrebbe abbagliato il pilota accecandolo per un attimo fatale. Tutte le biografie di Provini riportano questa versione, ma ce n’è un’altra, confidatami dallo stesso Provini alcuni anni fa: la sua Benelli si sarebbe bloccata all’improvviso per la rottura di un nuovo albero motore appena montato. Qualunque sia stata la causa dell’incidente, la conseguenza fu il ritiro definitivo dalle corse di un campione ancora in eccellente stato di forma. Oggi il suo pubblico, che non lo ha mai dimenticato, ne piange la scomparsa.
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