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Moto & Scooter

Il passato per progettare il futuro

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E’ una frase che ricorre sempre più spesso alle presentazione dei nuovi prodotti, come le Morini Corsaro 950/1200, la Derbi Mulacén o la Ducati Multistrada. I motivi, i pregi e i rischi di questo curioso strabismo progettuale

La Triumph Bonneville (nella foto il model year del 1959) è stata la maggior fonte di ispirazione per i modelli rètro dei giorni nostri

La Morino Corsaro 950 presentata al Motor Show vuole riproporre la ricetta delle più classiche sportive italiane ma, contemporaneamente, non si rifà in modo esplicito a modelli del passato

La Sino all’anno scorso, di un modello che occhieggiava ai suoi antenati si diceva che era rètro: rètro erano e sono le Triumph Bonneville, la Kawasaki W650, le Ducati 1000 GT, Sport e Paul Smart, le varie 4 cilindri giap raffreddate ad aria tipo le Yamaha XJR 1300.


Poi il termine è passato di moda, forse perché ha un sapore di “vecchio” troppo forte, richiama atteggiamenti nostalgici e data inesorabilmente chi lo apprezza. In realtà la frase “Guardare al passato per progettare il futuro” supera questi limiti e libera la capacità di ripercorre il passato per coglierne i momenti migliori e ancora validi, senza cadere nel rimpianto e nella nostalgia di un mondo che non c’è più.
Nel campo delle moto questo periodo di riferimento sono gli anni tra il 1965 e il 1975, quando le due ruote uscirono dalla crisi profonda in cui erano precipitate con la motorizzazione automobilistica di massa, che le aveva trasformate nel ricordo (spiacevole) di un dopoguerra povero, quando per la mobilità personale una vespa o una Lambretta già rappresentavano un lusso.


Ma nei Faboluos Sixties la moto era rinata, prima come simbolo di ribellione delle nuove generazioni, poi come giocattolo di lusso di un mondo occidentale che iniziava a conoscere un vero benessere e il consumismo che ne consegue. Insomma, la moto è stata – insieme alla chitarra, alla macchina fotografica reflex e all’impianto hi-fi - il must delle generazioni nate negli anni ’50 e l’industria ha risposto a questa domanda con un proliferare di nuovi modelli assolutamente originali e affascinanti - tutti diversi da loro - in un mondo industriale che non aveva ancora sentito nominare le parole”standard” e globalizzazione. Insomma, anche per l’industria più avanzata tipo quella giapponese la moto era ancora il progetto globale di una persona, non di un team di tecnici, con tutta la personalità che ne derivava unita agli ovvii e scontati inconvenienti.


Infatti i Giapponesi eccellevano nella motoristica (ma, soprattutto nei primi anni, le ciclistiche erano improponibili), la BMW eccelleva nell’affidabilità (ma linea e prestazioni non esaltavano), gli inglesi eccellevano nel design e nelle ciclistiche (con una affidabilità dimenticare) mentre gli italiani combattevano la cronica asfissia finanziaria delle loro aziende con una grande fantasia e capacità progettuale (ma poi qualità costruttiva e componentistica disponibile erano comunque solo e sempre quelle dei cinquantini).
L’innegabile era però che mai come in quel decennio sono nate così tante moto e di così alto fascino e personalità. In più costavano poco, in media erano strette e leggere e quindi non mettevano a disagio nessuno, si potevano usare per tutto - dallo sport, al commutino urbano, al turismo (ma bisognava saperci mettere le mani se si voleva tornare a casa) - e nessuno spendeva una lira per accessori e abbigliamento dedicato (casco compreso che indossavano pochi volonterosi, ma solo in autostrada!).


Nel decennio successivo le moto di uso generale sono diventate le “Parigi-Dakar” replica (sempre economiche e versatili, finalmente affidabili anche se spesso alte da terra come cammelli); poi il mercato ha preso la strada della iperspecializzazione che – alla fine – si sta dimostrando una trappola, perché porta a modelli adatti solo ad un pubblico ristretto di piloti quasi professionisti; per gli altri – salvo eccezioni - ci sono solo moto mestissime o gli scooter…Da qui il continuo tentativo di tornare indietro, di cui è stata antesignana Aprilia con la Motò 6.5 degli anni ’90, un bellissimo e interessante tentativo non riuscito perchè - curiosamente - la sostanza non corrispondeva affatto all’immagine. La Motò, infatti, si proponeva come una due ruote per tutti, facile e versatile; in pratica era bella e di fascino quanto pesante, alta di baricentro, decisamente nervosa e infida nella tenuta di strada oltre che brusca nell’erogazione del motore: un bel caso di schizofrenia motoristica!


per progettare il futuro vuol quindi dire analizzare e capire il fascino delle moto di 30 anni orsono e “rubare” questi elementi positivi per riproporli su modelli di oggi e con il design e la tecnologia di oggi, uscendo dalla pericolosa tenaglia fascino = prestazioni (spesso con relative dimensioni e pesi) e costi esagerati. A pensarci bene è la sfida per la”Moto da 8.000 Euro” lanciata mesi fa a Massimo Tamburini dal nostro forum e che ha portato a centinaia di interventi…
La Ducati 750 Desmo vincitrice a Imola nel 1972 non solo è la progenitrice dei modelli attuali, ma ha adirittura ispirato una serie di 1000 replica

Le tre Ducati 1000 che entreranno in produzione nel 2005 e che si ispirano ai modelli della stessa Casa prodotti a metà degli anni '70

Un interessante tentativo di riproporre senza nostalgia i "fondamentali" delle moto classiche  è stata l'Aprilia Motò 6.5 disegnata negli anni '90 da Philippe Stark. Non è stata un successo soprattutto per difetti nella ciclistica e nell'erogazione
Alla famiglia delle "Bonneville replica" appartiene anche la Kawasaki W650

Guardare al passato
La Triumph Bonneville (nella foto il model year del 1959) è stata la maggior fonte di ispirazione per i modelli rètro dei giorni nostri

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