Moto & Scooter
VT 600 'Famolo strano!'
Abbiamo provato un chopper completamente artigianale e ancora (forse) da omologare. Solo una costosa trappola per non passare inosservati? Eppure guidandolo si scopre un gusto diverso dell’andare su due ruote e anche uno smanettone, dopo poco, finis
di Riccardo Matesic
“Mi gioco una birra che non trovi neanche il pulsante d’avviamento!”. È iniziata così questa prova semiseria del chopper del mio amico Davide, che quando mi è venuto a trovare a casa ha spaccato il fermo del cancello d’ingresso, passandoci sopra con il motore.
La luce a terra infatti (l’altezza), è di soli quattro centimetri, per questa moto da pazzo, di quelle che se ne vedono poche per strada. L’ha fatta suo fratello Alessio, partendo da un’Honda VT 600 Custom; ma della moto originale è rimasto ben poco, se non il motore. Anche questo però, nella nuova configurazione, respira attraverso una scatola d’aspirazione in alluminio, con due bei cornetti che escono in alto a destra, soffia in due tubi rettilinei completamente aperti ed ha il vezzo delle bobine d’accensione con i cavi elettrici gialli in vista, perché ben si intonano con il colore nero della moto.
La sella è a 48 centimetri da terra, ed è costituita da una semplice striscia di neoprene adesivo incollata su una zona piatta del telaio. L’ammortizzatore posteriore non è previsto: un po’ ci pensa la gomma, per il resto che il sedere si arrangi.
Ad Alessio e Davide piacciono le Custom, ma volevano qualcosa di speciale. Così, insieme a un amico carrozziere, un giorno hanno smontato il VT e hanno iniziato ad andare in giro per trovare i pezzi. L’unica cosa che hanno fatto fare da uno specialista, è la saldatura del telaio, allungato ed abbassato nella parte posteriore.
Per il resto, i tre amici hanno fatto tutto nell’officina sotto casa, con il carrozziere che ha anche tagliato il serbatoio, per risagomarlo e accentuarne la forma a goccia.
La ricerca dei componenti è durata un anno, ogni tanto un pezzo nuovo. Ed eccola qui questa special, che un po’ incuriosisce e un po’ riempie gli occhi. Perché bella è bella, non c’è che dire. È spartana e leggera come una moto da corsa. Solo che a me, affezionato alle maxi sportive, francamente sembra un po’ inutile.
Ci si può anche andare in due, è vero, perché all’occorrenza c’è un cuscinetto che si monta sul parafango posteriore. La mia ragazza però non se l’è sentita di venire a fare un giro con il tanga. Del resto, Ostia non è Daytona, e probabilmente non avrebbero capito lo spirito...
La birra di cui dicevo all’inizio, poi l’ho vinta. Dopo cinque minuti a girarci intorno, ho trovato il pulsante dell’avviamento sotto il canotto di sterzo. Sul manubrio infatti non c’è nessun comando elettrico, né quello delle frecce o del clacson, che mancano, né quello delle luci, sempre accese con l’anabbagliante fisso.
Il motore va in moto subito, con un rumore un po’ tonto, perché è un motore lento, ma piacevole, perché le marmitte aperte suonano sempre bene.
Fare manovra nel giardino di casa è difficile: per girare il manubrio bisogna protendersi avanti con una spalla, ma poi si ha la sensazione di perdere l’equilibrio. Messa la moto dritta però appena si parte la sensazione è di forte stabilità, anche andando pianissimo.
Colpisce vedere davanti a sé la piastrona della forcella lucida e la ruota sparata in avanti, lontana ma bene in vista.
In sella si sta abbastanza comodi, con il manubrione che viene indietro e che, alla fin fine, permette anche di stare con la schiena dritta. E sono comode le pedane avanzate, a parte il collettore di scarico sporgente sulla destra, che in pochi chilometri e un po’ di contatti mi ha provocato una profonda ustione alla caviglia nuda.
Le quattro marce vanno dentro una dopo l’altra, grazie al rapporto finale corto, e il rumore è inebriante. Ho un casco aperto con gli occhialoni e prendo bene il vento in faccia. Non sto neanche troppo scomodo, meglio di quanto mi aspettassi, anche se ogni buca è una sofferenza. In compenso, proprio per questo assetto rigido, sembra di andare forte. Invece sarò si e no a 70.
Comunque ho lo stesso il mio bel da fare, perché prima di ogni curva bisogna decelerare e prendersela calma: la ragazza è bassa di fianchi e tocca subito. Però poi, uscito dalla curva, si va via con il pot pot tipico del bicilindrico, e passeggiare in questa giornata estiva in mezzo alla campagna è bello. Certo, oggi è piovuto, e i parafanghi hanno una semplice funzione estetica; insomma, attenti alle pozzanghere.
Provo a fare un giro in città, e scopro che cosa significhi essere al centro dell’attenzione. Al semaforo sfilo in basso, fra due colonne di auto. Con gli occhi sono quasi sotto i finestrini, mi sento come su un go-kart in mezzo al traffico. Per fortuna la moto fa rumore, e questo mi fa sentire più tranquillo. E poi ci sono tutti i ragazzini che si agitano e mi indicano eccitatissimi.
Al primo semaforo mi si affiancano in due con il motorino, avranno circa quindici anni: “ma quanto fa? ”. Duecentosettanta, rispondo ridendo. Invece mi prendono sul serio e notano che ha dei cilindri molto grandi. Sì, è vero, incastonato così nel telaio nudo, il motore sembra più grande. E poi l’aspirazione aperta sulla destra incute timore, con quei due buchi neri che succhiano.
Cammino ancora un po’, finché a un altro semaforo mi si affianca un tizio con un Silver Wing. Gli viene da ridere, e mi chiede sarcasticamente quanto sto scomodo. Bella faccia da schiaffi, ma ti pare giusto prendere in giro un biker?! Vorrei dirgli di farsi i fatti suoi, ma mi limito a indicargli il mio amico, che mi segue sulla mia moto (normale) e che certe volte non è un tipo socievolissimo.
“Parla con lui che è il padrone”, è la mia risposta lapidaria.
Poi scatta il verde, e provo una partenza a gas aperto. Lo so, non è nella natura di questa moto, ma con le marce così corte questo ferro da stiro in partenza è un brutto cliente, e con un fragore che mi ricorda la Norton su cui mi portava mio zio quando ero piccolo, mi proietta ai 100 Km/h in un batter d’occhio. Ed è come andare ai 230 con una maxi!
Porca miseria, mi sto divertendo! Ero partito ridendo di questa moto, invece mi accorgo che ha una personalità fortissima. È un altro modo di andare in moto, certo, ma ha il suo fascino. Un po’ di esibizionismo, ma anche il gusto di non viaggiare sempre con il naso nel contagiri, e di recuperare un rapporto umano con la moto.
Del resto il mio amico ci porta anche la ragazza, e se capita ci lega su uno zaino con una mutanda e un pezzo di sapone e parte. La prossima volta mi faccio prestare anche il gilet di pelle nera.
Ma con l’omologazione come la mettiamo? Proprio sulle pagine di Motonline.com abbiamo già parlato della possibilità di omologare moto speciali, attraverso la filiale italiana del TUV, l’ente omologatore tedesco. Perché il nostro DTT non consente assolutamente l’omologazione di veicoli modificati.
Il TUV invece è più aperto, ma se le modifiche sono profonde, la strada comunque non è semplice. Una moto come questa della nostra prova, ad esempio, non è detto che sia inomologabile a priori, ma certo, come ci ha fatto notare Marco Mauri, direttore di divisione della filiale milanese del TUV, se il telaio è stato modificato tagliando, segando, saldando o forando, per avere l’omologazione bisogna sottoporlo a delle prove distruttive. Servono insomma due telai gemelli, sapendo in partenza che uno poi sarà da buttare. E il ciclo di prove del telaio, da solo, costa intorno ai duemila euro.
Insomma, questo chopper probabilmente è destinato a restare inomologato e inomologabile, cosa che ne impedisce l’uso su strade aperte al traffico. La legge è questa e noi non abbiamo l’autorità per criticarla.
Poi, il mio amico mi fa notare che chi possiede un chopper come questo, di solito va pianissimo, anche perché non è possibile utilizzarlo in maniera differente, e mi chiede se è più pericoloso lui o io, che giro legalmente con una moto che se apro il gas fa i 300.
Il discorso si complica... Ma voi cosa ne pensate?
Per inserire un commento devi essere registrato ed effettuare il login.