Moto & Scooter
Aprilia RS Cube
Alan Cathcart l’ha provata in esclusiva e giura che si tratta di tutto tranne che di un “cancello”. L’apriliona cammina forte, anche grazie ad un’elettronica eccezionale

Normalmente, quando mi offrono una moto da corsa da provare, pur essendoci ormai abituato provo sempre un grande piacere. Quando ho saputo che l’Aprilia mi avrebbe messo a disposizione la sua RS3 tre cilindri MotoGP, confesso che invece sono stato assalito da qualche dubbio, considerando che Colin Edwards a fine stagione ha dichiarato fuori dei denti che la moto “è nata male” e che l’altro suo pilota ufficiale, Noriyuki Haga, nel 2003 è caduto non meno di 28 volte e ha sentenziato, prima di lasciare la squadra: “Voglio una moto analogica, non digitale.
Ebbene, nonostante l’impulso di telefonare al Presidente Beggio ringraziandolo dell’opportunità esclusiva, ma dandomi ammalato, a fine novembre 2003 mi sono ritrovato a Jerez, spinto comunque dalla mia irresistibile curiosità. Sul box dell’Aprilia dovrebbe sventolare la bandiera inglese, e non solo sul mio casco, visto che il mio test è coinciso con la prima prova della RS3 da parte del nuovo pilota ufficiale, quello Shane Byrne che, oltre ad aver vinto il campionato britannico SBK, ha umiliato da wild-card le star del mondiale Superbike nel 2003 a Brands Hatch e ha girato a Donington a pochi decimi dal tempo di Rossi con la RC211V guidando una Ducati derivata di serie e di seconda mano.
È stato proprio Byrne, appena sceso dalla sella della RS3 dopo una mattinata di prove, a togliermi dalla testa ogni dubbio.
“Questa è la moto più fantastica che io potessi mai immaginare di guidare. Va da far paura e non è nemmeno così intrattabile come supponevo. Io l’ho trovata molto divertente da guidare, anche se ho visto che c’è margine per migliorare la ciclistica. È favolosa!”.
Bene, è arrivato il mio turno. Salto sulla Cube e scopro subito che il posteriore è piuttosto alto, anche se non quanto quello della Kawasaki MotoGP da me provata in precedenza a Valencia, che oltretutto è anche più larga. Seduti in sella la moto dà la sensazione di essere abbastanza rigida e, tutto sommato, sembra più massiccia della Honda di Rossi e altrettanto lunga. La larghezza è più o meno quella imposta dalla bancata dei tre cilindri fronte marcia che, stando a quanto affermato da Jan Witteveen, responsabile del reparto corse Aprilia, non è nemmeno tanto larga, considerando che la Cube non ha un alesaggio così spinto come quello della Jaguar V10 Formula 1 da cui sostanzialmente deriva.
Anche se la RS3 sembra abbastanza alta, con un centro di gravità relativamente elevato e non è particolarmente agile in curva, la posizione di guida è corretta, piacevole, e il pilota gode di buona protezione sia da parte della carenatura, sia del cupolino, che si dimostra alla prova pratica, più largo di quanto sembri a prima vista.
Un meccanico della squadra corse Aprilia mette in moto il motore col particolare avviatore meccanico innestato sull’estremità destra del collo d’oca, e la RS3 prende vita con l’inconfondibile musica del tre cilindri. A mio parere il rombo del tre cilindri è il più bello in assoluto, penso a quello delle MV-3 o delle BSA-3, o della Saxon Triumph con cui ho corso non tanto tempo fa: tutte moto dalla musicalità eccezionale, la cui tradizione è seguita rigorosamente dall’Aprilia.
È interessante notare che il regime minimo del motore non è molto alto: circa 2500 giri, e ciò mi meraviglia e mi fa pensare a come l’Aprilia possa aver superato il problema dell’eccessivo freno motore in ingresso di curva.
Inserisco la prima, un meccanico mi spinge sulla pit-lane e sono subito in pista. La Cube spinge forte a partire da 8000 giri, ma rivela anche una sostanziosa coppia che si manifesta anche in basso: il grande lavoro dell’Aprilia nel 2003 per ampliare l’ambito di erogazione della potenza ha evidentemente dato i suoi frutti. La moto accelera con una progressione quasi incredibile appena si superano i 10.000 giri e bisogna essere pronti alle conseguenze: le braccia vengono strappate dalle spalle e l’Aprilia letteralmente decolla. Sopra gli 11.000 nelle prime quattro marce l’avantreno si impenna violentemente ad ogni cambiata, ma, anche se la ruota si alza parecchio da terra, non c’è mai la sensazione di perdere il controllo: non si avverte all’acceleratore quella risposta “tutto o niente” conosciuta provando la Kawasaki ZX-RR o la Yamaha M1. L’Aprilia dispone di una corposa erogazione ai medi regimi che si trasforma in un’impressionante performance agli alti, e il modo in cui il tre cilindri sviluppa la sua potenza è, in definitiva, accettabile.
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La fantastica accelerazione si gusta aprendo con decisione in tutte le marce fino alla soglia di intervento del limitatore, fissata a 16.500 giri. Sebbene Witteveen dica che il picco di potenza si manifesta appena sotto i 15.000 giri, insistendo non si riscontra alcun calo improvviso, e questo rende la Cube una moto che accetta una guida di forza, ma attenzione: solo in rettilineo!
Questo perché l’Aprilia ama sparare in aria la ruota anteriore anche quando sei in piena piega e cominci ad aprire per uscire dalla curva, una situazione certamente imbarazzante e preoccupante in un frangente del genere, che oltretutto ti distrae pericolosamente in un momento in cui sei occupato a percepire il grip della ruota posteriore. Mi rendo conto di quanto sia arduo accelerare molto precocemente e troppo pesantemente con questa moto: un problema che la Honda RC211V, moto di egual potenza, non manifesta affatto.
A proposito del tanto contestato acceleratore elettronico della Cube, il miglior complimento che posso fare a Witteveen e ai suoi collaboratori è che onestamente non ho notato alcuna differenza fra questo e uno di tipo convenzionale. A Jerez nell’occasione era stato installato un nuovo programma per l’acceleratore e la mia opinione personale è che funzioni bene (e anche Shane Byrne è d’accordo); due sole osservazioni in merito: la rotazione della manopola mi è sembrata troppo fluida rispetto a quella delle altre moto da corsa da me provate, e la risposta è istantanea e assolutamente lineare. Con ciò intendo dire che se apro l’acceleratore del 60% in uscita di curva, la sensazione che mi ritorna dalla ruota motrice è di aver aperto proprio del 60% e non del 40% o del 90%; sono felice di sottoscrivere la mia fede nel sistema. Non me l’aspettavo.
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Se mi ha convinto l’acceleratore elettronico, ancor più entusiasta sono ora del più bel pezzo di elettronica applicata che abbia incontrato su una moderna moto da Gran Premio. Mi riferisco al sistema di cambiata assistita elettronicamente che incorpora un comando frizione automatico in congiunzione con il sistema di limitazione della coppia inversa per prevenire il saltellamento della ruota motrice in staccata. Si tratta di un congegno di ottima fattura, a differenza del simile, ma meno sofisticato e più brutale sistema adottato sulla Suzuki GSV-R da me provata lo scorso anno.
Ma il confronto da cui esce vincente è soprattutto col sistema di decelerazione programmata della Yamaha M1, che ti fa entrare in curva praticamente senza freno motore, cedendo il controllo al computer e non al pilota. Sulla Yamaha inoltre per cambiare bisogna intervenire manualmente sulla frizione, ma ci si deve assolutamente dimenticare di dare il classico colpo di acceleratore in scalata, un’abitudine di una vita, che è difficile scordare di colpo.
Sull’Aprilia è più facile non farlo perché, a differenza della Yamaha, non si deve mai toccare la leva della frizione: ci si limita a togliere il gas, a scalare le marce e a tirare con forza la leva dei freni Brembo in carbonio, che tra l’altro mi sembrano i più efficaci rispetto a quelli delle altre MotoGP che ho portato in pista negli ultimi tempi.
Il sistema lavora egregiamente ed è di uso estremamente facile. Devo dire che la RS3 è ben lontana dall’immagine di una specie di laboratorio mobile di Formula 1 a due ruote, senz’anima, che avevo supposto di provare. Al contrario, offre la sensibilità di una “vera” motocicletta, col valore aggiunto costituito da un’elettronica che serve il pilota senza montargli addosso.
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