Moto & Scooter
Le moto con le ali
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La storia del motociclismo si è spesso intrecciata con quella dell’aviazione. Fin dall’origine, questi due mezzi, queste due tecnologie, hanno destato la medesima passione, eccitato sensazioni molto simili. E molte industrie si sono affermate in entrambi
di Luigi Rivola
L'Avion di Clement Ader: il francese tentò invano di volare dal 1894 al 1897 senza successo, poi si mise a fabbricare motociclette
Il fascino della moto sta nella sua esaltazione della libertà, nelle prestazioni inebrianti, nella sua perenne sfida alle leggi dell’equilibrio. Con le potenti moto di oggi, quando si accelera, l’avantreno si impenna e quando si decelera bruscamente, si schiaccia verso il basso.
L'Avion di Clement Ader: il francese tentò invano di volare dal 1894 al 1897 senza successo, poi si mise a fabbricare motociclette
Il fascino della moto sta nella sua esaltazione della libertà, nelle prestazioni inebrianti, nella sua perenne sfida alle leggi dell’equilibrio. Con le potenti moto di oggi, quando si accelera, l’avantreno si impenna e quando si decelera bruscamente, si schiaccia verso il basso.
Per curvare si inclina la moto al limite dell’aderenza e, se si sbaglia, la caduta è sempre in agguato.
Tutte queste caratteristiche, e l’attrazione che ne deriva, si ritrovano anche su un altro veicolo: l’aeroplano, e soprattutto su quegli aerei leggeri, quindi molto sensibili al vento e ai comandi del pilota, dove si vola ancora a vista e con strumentazione ridotta al minimo indispensabile. Dove il volo è perizia, senso dell’equilibrio, gioco, rischio calcolato. Come in motocicletta.
In fondo, quando è nato, l’aeroplano era una motocicletta con le ali e un’elica: si pilotava in solitario, al massimo in due, esposti al vento, e spesso ci si ritrovava doloranti a terra. O sotto.
Pochi ne sono al corrente, ma fra l’industria motociclistica e quella aeronautica, fra i piloti d’aereo e quelli di moto, c’è stata, fino alla seconda metà del 1900, una vicinanza non solo ideale, ma molto spesso anche concretissima: una storia comune che merita di essere raccontata almeno per sommi capi, cominciando da uno dei più lontani pionieri del “più pesante dell’aria”: il colonnello francese Clement Ader, che dopo l’insuccesso dei suoi tentativi di volo con l’Avion nel 1890, fondò un’industria motociclistica che operò dal 1901 al 1906.
Alessandro Anzani, nato a Gorla nei pressi di Milano ed emigrato nel 1900 in Francia dopo essersi fatto buona fama come corridore ciclista, nel 1905 conquistò il titolo di campione d’Europa di motociclismo su pista correndo con una Alcyon spinta da un bicilindrico Buchet. Pilota di prim’ordine, Anzani era anche un tecnico di felici intuizioni e di grande esperienza; nel 1906, esortato da Ernest Archdeacon, un miliardario mecenate del motorismo e dell’aviazione, nonché presidente dell’Aero Club di Francia, costruì una motocicletta speciale con motore Buchet da 6 CV sulla quale sperimentò, a solo scopo di studio, una trazione ad elica. Con quella moto, pilotata personalmente, toccò la velocità di 80 km/h sulla strada per Achères, ma soprattutto acquisì nozioni importantissime sulle caratteristiche di un’elica traente, e queste gli furono di grande aiuto quando decise di darsi alla costruzione di motori d’aviazione.
Il suo primo e più famoso motore fu un tre cilindri a ventaglio. Anzani lo costruì nel 1905 e lo sottopose a lunghi collaudi… in pista. Lo montò infatti su un telaio da moto e lo portò ripetutamente in gara verificandone la potenza (16 CV a 3000 giri nel prototipo) e soprattutto l’affidabilità in diverse configurazioni. Quello stesso motore, in versione da quasi 30 CV, nel luglio del 1909 finì sul Bleriot XI, il monoplano con cui Luis Bleriot, il 25 di quello stesso mese, stupì il mondo riuscendo per primo ad attraversare in volo il Canale della Manica.
Successivamente Anzani divenne costruttore, in Francia, in Italia e in Inghilterra, oltre che di motori d’aviazione, anche di motori motociclistici, uno dei quali, un potentissimo 1000 a V longitudinale monoalbero, nel 1923 e nel 1926 fu detentore del record mondiale assoluto di velocità per motociclette.
Tutte queste caratteristiche, e l’attrazione che ne deriva, si ritrovano anche su un altro veicolo: l’aeroplano, e soprattutto su quegli aerei leggeri, quindi molto sensibili al vento e ai comandi del pilota, dove si vola ancora a vista e con strumentazione ridotta al minimo indispensabile. Dove il volo è perizia, senso dell’equilibrio, gioco, rischio calcolato. Come in motocicletta.
In fondo, quando è nato, l’aeroplano era una motocicletta con le ali e un’elica: si pilotava in solitario, al massimo in due, esposti al vento, e spesso ci si ritrovava doloranti a terra. O sotto.
Pochi ne sono al corrente, ma fra l’industria motociclistica e quella aeronautica, fra i piloti d’aereo e quelli di moto, c’è stata, fino alla seconda metà del 1900, una vicinanza non solo ideale, ma molto spesso anche concretissima: una storia comune che merita di essere raccontata almeno per sommi capi, cominciando da uno dei più lontani pionieri del “più pesante dell’aria”: il colonnello francese Clement Ader, che dopo l’insuccesso dei suoi tentativi di volo con l’Avion nel 1890, fondò un’industria motociclistica che operò dal 1901 al 1906.
Alessandro Anzani, nato a Gorla nei pressi di Milano ed emigrato nel 1900 in Francia dopo essersi fatto buona fama come corridore ciclista, nel 1905 conquistò il titolo di campione d’Europa di motociclismo su pista correndo con una Alcyon spinta da un bicilindrico Buchet. Pilota di prim’ordine, Anzani era anche un tecnico di felici intuizioni e di grande esperienza; nel 1906, esortato da Ernest Archdeacon, un miliardario mecenate del motorismo e dell’aviazione, nonché presidente dell’Aero Club di Francia, costruì una motocicletta speciale con motore Buchet da 6 CV sulla quale sperimentò, a solo scopo di studio, una trazione ad elica. Con quella moto, pilotata personalmente, toccò la velocità di 80 km/h sulla strada per Achères, ma soprattutto acquisì nozioni importantissime sulle caratteristiche di un’elica traente, e queste gli furono di grande aiuto quando decise di darsi alla costruzione di motori d’aviazione.
Il suo primo e più famoso motore fu un tre cilindri a ventaglio. Anzani lo costruì nel 1905 e lo sottopose a lunghi collaudi… in pista. Lo montò infatti su un telaio da moto e lo portò ripetutamente in gara verificandone la potenza (16 CV a 3000 giri nel prototipo) e soprattutto l’affidabilità in diverse configurazioni. Quello stesso motore, in versione da quasi 30 CV, nel luglio del 1909 finì sul Bleriot XI, il monoplano con cui Luis Bleriot, il 25 di quello stesso mese, stupì il mondo riuscendo per primo ad attraversare in volo il Canale della Manica.
Successivamente Anzani divenne costruttore, in Francia, in Italia e in Inghilterra, oltre che di motori d’aviazione, anche di motori motociclistici, uno dei quali, un potentissimo 1000 a V longitudinale monoalbero, nel 1923 e nel 1926 fu detentore del record mondiale assoluto di velocità per motociclette.
Il record di Curtiss
Prima sulla moto, poi su un aeroplano. Così fece Anzani in Francia, così fece Glenn Hammond Curtiss in America. Curtiss, il più famoso pioniere del volo negli Stati Uniti dopo i fratelli Wright, fu uno dei primi campioni americani di motociclismo e fondatore di un’industria motociclistica che operò fino al 1914. Nel 1907, dopo aver realizzato un potentissimo motore a 8 cilindri a V per impieghi aeronautici, lo montò su un telaio da moto opportunamente adattato e rinforzato e con questo mostruoso veicolo si presentò sulla spiaggia di Ormond Beach, in Florida, dove era stato preparato un rettifilo ben battuto di quattro miglia. Alla presenza di testimoni, Curtiss lanciò la moto alla massima velocità e percorse il miglio lanciato a 219,450 km/h, divenendo l’uomo più veloce della terra. Il record non venne mai omologato in assenza di cronometristi ufficiali, ma la moto esiste ancora, e se qualcuno avesse il coraggio di ripetere il tentativo…
Alberto Santos Dumont, brasiliano trasferitosi a Parigi per inseguire il suo sogno di volare, non fu mai motociclista, ma per i suoi primi esperimenti aviatori, che lo portarono nel 1906 ad essere il primo ad aver volato con un velivolo costruito in Europa (in polemica mai sopita coi Wright, che secondo alcune fonti nel 1903 avevano volato sì, ma senza motore) preferì spesso propulsori motociclistici. Nel 1905 montò sul suo dirigibile Santos Dumont XIV il motore Peugeot bicilindrico da 12 CV di 1272 cc, dal peso di soli 26 kg, con cui il pilota ufficiale Giuppone (di origine italiana come Anzani) quell’anno aveva vinto numerose corse e battuto diversi record mondiali.
Per rimanere ancora fra i pionieri del volo, va citato Jacob Christian Ellehammer, costruttore di moto in Danimarca fra il 1904 e il 1909, che il 12 settembre 1906 sembra sia riuscito a far volare per 42 metri un aereo di sua costruzione sull’isola di Lindholm, da lui acquistata come teatro dei suoi esperimenti (dunque, il primo aeroporto al mondo…).
Durante la prima guerra mondiale, l’industria aeronautica conobbe uno sviluppo notevolissimo e molti furono i piloti brevettati: tra questi l’ing. Corradino D’Ascanio, progettista aeronautico, che nel 1917 fu inviato negli Stati Uniti per impiantare a Dayton, nell’Ohio, una fabbrica di aeroplani per conto dell’industria italiana Pomilio.
La guerra finì prima che la “Pomilio Brothers” avesse prodotto un solo velivolo, ma D’Ascanio, associatosi con l’ing. Veniero D’Annunzio, figlio del “Vate” della spedizione aviatoria su Vienna e dell’impresa di Fiume, rimase in America per realizzare una sua intuizione: piccoli aeroplani destinati all’agricoltura e spinti da motori motociclistici Harley Davidson. L’impresa non gli riuscì, ma quasi quarant’anni più tardi l’ing. D’Ascanio, dopo molti successi nel mondo aeronautico, tra cui la costruzione del primo elicottero funzionale, sarebbe rientrato di prepotenza nel mondo motociclistico progettando la Vespa.
Alberto Santos Dumont, brasiliano trasferitosi a Parigi per inseguire il suo sogno di volare, non fu mai motociclista, ma per i suoi primi esperimenti aviatori, che lo portarono nel 1906 ad essere il primo ad aver volato con un velivolo costruito in Europa (in polemica mai sopita coi Wright, che secondo alcune fonti nel 1903 avevano volato sì, ma senza motore) preferì spesso propulsori motociclistici. Nel 1905 montò sul suo dirigibile Santos Dumont XIV il motore Peugeot bicilindrico da 12 CV di 1272 cc, dal peso di soli 26 kg, con cui il pilota ufficiale Giuppone (di origine italiana come Anzani) quell’anno aveva vinto numerose corse e battuto diversi record mondiali.
Per rimanere ancora fra i pionieri del volo, va citato Jacob Christian Ellehammer, costruttore di moto in Danimarca fra il 1904 e il 1909, che il 12 settembre 1906 sembra sia riuscito a far volare per 42 metri un aereo di sua costruzione sull’isola di Lindholm, da lui acquistata come teatro dei suoi esperimenti (dunque, il primo aeroporto al mondo…).
Durante la prima guerra mondiale, l’industria aeronautica conobbe uno sviluppo notevolissimo e molti furono i piloti brevettati: tra questi l’ing. Corradino D’Ascanio, progettista aeronautico, che nel 1917 fu inviato negli Stati Uniti per impiantare a Dayton, nell’Ohio, una fabbrica di aeroplani per conto dell’industria italiana Pomilio.
La guerra finì prima che la “Pomilio Brothers” avesse prodotto un solo velivolo, ma D’Ascanio, associatosi con l’ing. Veniero D’Annunzio, figlio del “Vate” della spedizione aviatoria su Vienna e dell’impresa di Fiume, rimase in America per realizzare una sua intuizione: piccoli aeroplani destinati all’agricoltura e spinti da motori motociclistici Harley Davidson. L’impresa non gli riuscì, ma quasi quarant’anni più tardi l’ing. D’Ascanio, dopo molti successi nel mondo aeronautico, tra cui la costruzione del primo elicottero funzionale, sarebbe rientrato di prepotenza nel mondo motociclistico progettando la Vespa.
L’aquila di Mandello
Alla fine della prima guerra mondiale alcune industrie aeronautiche affiancarono alla produzione di aeroplani quella di motociclette. Due fabbriche inglesi: la Gloucestershire Aircraft Company e la Sopwith Aviation Engineering, diedero vita a marche motociclistiche caratterizzate da una produzione particolarmente innovativa. La Gloucestershire Aircraft presentò nel 1920 lo scooter Unibus, autentico antesignano della Vespa che sarà prodotta dalla Piaggio, grande industria aeronautica italiana, al termine del secondo conflitto mondiale; contemporaneamente continuò la produzione di aeroplani col marchio Gloster; nel 1922 il suo biplano monoposto “Bamel” conquistò il record assoluto di velocità a 341 km/h di media.
La Sopwith, costruttrice dei celebri caccia inglesi “Camel” della prima guerra mondiale (con un Camel l’asso canadese Roy Brown passò alla storia per aver abbattuto il triplano Fokker del “Barone Rosso” Manfred Von Richthofen) dal 1919 al 1922 costruì l’innovativa moto inglese ABC (All British Company), una bicilindrica boxer di ottima fattura progettata dall’ing. Granville Bradshaw e dal 1919 la ABC fu prodotta su licenza anche in Francia dalla Gnome & Rhone, la più celebre fabbrica francese di motori d’aviazione, allora a 7 e 9 cilindri stellari rotativi. Anche il grande pioniere dell’aviazione francese: Luis Bleriot, subito dopo il primo conflitto mondiale divenne costruttore di moto. L’asso della prima trasvolata della Manica mise in produzione una 500 bicilindrica a valvole laterali e in testa, ma dovette chiudere nel 1923 per il fallimento dell’azienda.
Meglio andò all’iniziativa industriale promossa da tre amici che si erano conosciuti in aeronautica durante la guerra: Carlo Guzzi, giovane e lungimirante tecnico lombardo, Giorgio Parodi, ufficiale pilota appartenente a un’antica dinastia di armatori genovesi, e Giovanni Ravelli, anch’egli ufficiale pilota, bresciano, già noto nell’anteguerra come pilota motociclista di valore. I tre decisero, mentre ancora erano sotto le armi, di realizzare una motocicletta estremamente originale concepita da Carlo Guzzi, ma Giovanni Ravelli non potè compiacersi della nascita e del grande successo commerciale e sportivo della “Moto Guzzi” poiché fu vittima, pochi giorni dopo la fine della guerra, di un incidente di volo. In suo onore, e in ricordo della comune passione, Guzzi e Parodi decisero di distinguere il marchio delle loro moto con l’aquila ad ali spiegate, simbolo dell’aeronautica.
La Sopwith, costruttrice dei celebri caccia inglesi “Camel” della prima guerra mondiale (con un Camel l’asso canadese Roy Brown passò alla storia per aver abbattuto il triplano Fokker del “Barone Rosso” Manfred Von Richthofen) dal 1919 al 1922 costruì l’innovativa moto inglese ABC (All British Company), una bicilindrica boxer di ottima fattura progettata dall’ing. Granville Bradshaw e dal 1919 la ABC fu prodotta su licenza anche in Francia dalla Gnome & Rhone, la più celebre fabbrica francese di motori d’aviazione, allora a 7 e 9 cilindri stellari rotativi. Anche il grande pioniere dell’aviazione francese: Luis Bleriot, subito dopo il primo conflitto mondiale divenne costruttore di moto. L’asso della prima trasvolata della Manica mise in produzione una 500 bicilindrica a valvole laterali e in testa, ma dovette chiudere nel 1923 per il fallimento dell’azienda.
Meglio andò all’iniziativa industriale promossa da tre amici che si erano conosciuti in aeronautica durante la guerra: Carlo Guzzi, giovane e lungimirante tecnico lombardo, Giorgio Parodi, ufficiale pilota appartenente a un’antica dinastia di armatori genovesi, e Giovanni Ravelli, anch’egli ufficiale pilota, bresciano, già noto nell’anteguerra come pilota motociclista di valore. I tre decisero, mentre ancora erano sotto le armi, di realizzare una motocicletta estremamente originale concepita da Carlo Guzzi, ma Giovanni Ravelli non potè compiacersi della nascita e del grande successo commerciale e sportivo della “Moto Guzzi” poiché fu vittima, pochi giorni dopo la fine della guerra, di un incidente di volo. In suo onore, e in ricordo della comune passione, Guzzi e Parodi decisero di distinguere il marchio delle loro moto con l’aquila ad ali spiegate, simbolo dell’aeronautica.
L’elica della BMW
L’aquila della Moto Guzzi è dunque legata al mondo dell’aviazione, ma c’è un altro marchio che cela in sé uno stretto legame fra la motocicletta e l’aeroplano, quello della BMW, apparentemente una corona circolare col cerchio interno diviso simmetricamente in quattro spicchi, due bianchi contrapposti a due azzurri, in realtà una precisa simbologia: quella dell’elica d’aereo che ruota vorticosamente.
La BMW infatti è nata come industria costruttrice di motori per l’aeronautica, eccellenti motori che durante la prima guerra mondiale erano forniti all’aviazione germanica e a quella austroungarica. La sconfitta militare fu una tragedia per la Società di Monaco di Baviera, che si vide costretta a cercare produzioni alternative e che, dopo alcuni tentativi in settori diversi, approdò alla motocicletta presentando, al salone di Parigi del 1923, la M32, progenitrice di tutti i modelli BMW con motore boxer trasversale.
A parte poche eccezioni, si vede quindi che la maggior parte delle industrie motociclistiche di origine aeronautica è nata in seguito alla riconversione produttiva conseguente alla fine di una guerra. Ma perché proprio motociclette?
Ciò che era accaduto nel 1919 si ripeté infatti nel 1945, e proprio l’Italia fornì una conferma inoppugnabile del legame fra motociclismo e aeronautica. L’Italia che, a prescindere dalla modernità dei suoi mezzi aerei da combattimento, era in possesso di una tecnologia aeronautica di prim’ordine, attestata da numerosi record mondiali e da due eclatanti vittorie nella Coppa Schneider, la più famosa competizione per idrovolanti a cavallo fra le due guerre, si ritrovò nel 1945 a dover rinunciare in modo pressoché totale alla sua industria aeronautica in conseguenza della sconfitta.
Ebbene: la Piaggio, produttrice di aerei e di motori d’aereo, mise al lavoro il padre dell’elicottero e delle sue eliche a passo variabile in volo, l’ing. Corradino D’Ascanio, e inventò un capolavoro a due ruote: la Vespa; la Caproni, che aveva scritto i capitoli più gloriosi delle origini della tecnica aeronautica italiana diede vita a due industrie motociclistiche che prosperarono negli Anni ’50, infine la Aeronautica Macchi riconvertì parzialmente la produzione fondando la Aermacchi, fabbrica di motociclette che si sono distinte nel mondo per originalità e tecnologia, poi diventata Harley Davidson italiana, infine Cagiva.
Sempre in Italia, altre due industrie aeronautiche tentarono, ma senza successo, la via della produzione motociclistica: la Ambrosini di Passignano sul Trasimeno, che tra il 1951 e il 1954 costruì lo scooter “Freccia Azzurra”, e la Breda di Sesto San Giovanni, che dal 1946 al 1951 tentò la strada della motorizzazione popolare con una bicicleta a motore di 65 cc.
E non dimentichiamo naturalmente la MV Agusta, nata dalla passione aeronautica del conte Giovanni Agusta nel lontanissimo 1907, diventata produttrice di moto nel 1945 e salita alla ribalta internazionale sia per le vittorie conquistate dalle sue moto, sia per la fama dei suoi modernissimi elicotteri.
Prima di chiudere, un salto in Giappone, dove la Kawasaki produceva e produce, oltre alle moto, anche aerei modernissimi. L’unica Kawasaki che non riesce proprio a decollare – permettetemi la cattiveria – è la MotoGP, ma non è detta ancora l’ultima parola.
La BMW infatti è nata come industria costruttrice di motori per l’aeronautica, eccellenti motori che durante la prima guerra mondiale erano forniti all’aviazione germanica e a quella austroungarica. La sconfitta militare fu una tragedia per la Società di Monaco di Baviera, che si vide costretta a cercare produzioni alternative e che, dopo alcuni tentativi in settori diversi, approdò alla motocicletta presentando, al salone di Parigi del 1923, la M32, progenitrice di tutti i modelli BMW con motore boxer trasversale.
A parte poche eccezioni, si vede quindi che la maggior parte delle industrie motociclistiche di origine aeronautica è nata in seguito alla riconversione produttiva conseguente alla fine di una guerra. Ma perché proprio motociclette?
Ciò che era accaduto nel 1919 si ripeté infatti nel 1945, e proprio l’Italia fornì una conferma inoppugnabile del legame fra motociclismo e aeronautica. L’Italia che, a prescindere dalla modernità dei suoi mezzi aerei da combattimento, era in possesso di una tecnologia aeronautica di prim’ordine, attestata da numerosi record mondiali e da due eclatanti vittorie nella Coppa Schneider, la più famosa competizione per idrovolanti a cavallo fra le due guerre, si ritrovò nel 1945 a dover rinunciare in modo pressoché totale alla sua industria aeronautica in conseguenza della sconfitta.
Ebbene: la Piaggio, produttrice di aerei e di motori d’aereo, mise al lavoro il padre dell’elicottero e delle sue eliche a passo variabile in volo, l’ing. Corradino D’Ascanio, e inventò un capolavoro a due ruote: la Vespa; la Caproni, che aveva scritto i capitoli più gloriosi delle origini della tecnica aeronautica italiana diede vita a due industrie motociclistiche che prosperarono negli Anni ’50, infine la Aeronautica Macchi riconvertì parzialmente la produzione fondando la Aermacchi, fabbrica di motociclette che si sono distinte nel mondo per originalità e tecnologia, poi diventata Harley Davidson italiana, infine Cagiva.
Sempre in Italia, altre due industrie aeronautiche tentarono, ma senza successo, la via della produzione motociclistica: la Ambrosini di Passignano sul Trasimeno, che tra il 1951 e il 1954 costruì lo scooter “Freccia Azzurra”, e la Breda di Sesto San Giovanni, che dal 1946 al 1951 tentò la strada della motorizzazione popolare con una bicicleta a motore di 65 cc.
E non dimentichiamo naturalmente la MV Agusta, nata dalla passione aeronautica del conte Giovanni Agusta nel lontanissimo 1907, diventata produttrice di moto nel 1945 e salita alla ribalta internazionale sia per le vittorie conquistate dalle sue moto, sia per la fama dei suoi modernissimi elicotteri.
Prima di chiudere, un salto in Giappone, dove la Kawasaki produceva e produce, oltre alle moto, anche aerei modernissimi. L’unica Kawasaki che non riesce proprio a decollare – permettetemi la cattiveria – è la MotoGP, ma non è detta ancora l’ultima parola.
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