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Honda CBR600RR Ten Kate

il 22/12/2003 in Moto & Scooter

Invitato dai cugini più famosi del mondo della moto, ho finalmente potuto mettere le grinfie sulla 600RR del neo-campione Chris Vermeulen. Una moto eccellente, con la quale vincere è d’obbligo

Honda CBR600RR Ten Kate
In sella, Alan Cathcart sorride con Chris Vermeulen (al centro), il team manager Ronald Ten Kate (a sinistra) e il direttore del reparto corse Pirelli (Giorgio Barbier)



Non c’è proprio stata storia. Eh no, i numeri parlano chiaro: avendo vinto sette degli undici round a disposizione, aver conquistato sette pole e sedici podi, il titolo 2003 nel Mondiale Supersport è stato strameritato dal team olandese (ma con sede ad Andorra) dei cugini Ten Kate, grazie anche al mattatore Chris Vermeulen. Ai rivali giapponesi sono rimaste solo le briciole: Yamaha e Kawasaki hanno vinto una sola gara a testa; Suzuki, con la moto più vecchia schierata sulla griglia, ha arpionato un paio di vittorie.




Comunque l’anno prossimo si cambia: Vermeulen salirà di categoria, e lo vedremo impegnato in Superbike a domare l’esuberanza della Fireblade 1000. Sulla CBR 600 RR resterà Muggeridge e arriverà, dal team BKM, Broc Parkes, che ha già confidenza con la snella RR. Lo scorso anno, a causa di una gamba rotta, ho perso la ghiotta occasione di testare la moto dell’allora campione in carica, Fabien Foret, ma stavolta, dopo aver messo le grinfie su tutte le quattro cilindri 600 da corsa (inclusa la Triumph Daytona, vincitrice del Tourist Trophy nella propria categoria), è arrivato anche il momento che ho tanto atteso, in occasione dei test Pirelli sul circuito di Valencia. Ricordiamo che il produttore italiano avrà nel 2004 l’esclusiva sui pneumatici della Supersport (e della Superbike). Quindi la “mia” RR calzava un bel paio di Supercorsa dell’ultima versione: gomme davvero ottime, non c’è che dire.



Il fatto che la nuova 600 Honda sia derivata dalla RC211V di Valentino Rossi è cosa risaputa, e, oltre che nello stile, evidente anche nel disegno del telaio e nel forcellone: dunque si tratta di una moto che parte dalla miglior base possibile. L’unico handicap con cui Ten Kate ha dovuto fare i conti è stato quello del peso: scendere sotto i 170 kg. è stato il pallino del team fiammingo per tutta la stagione (il limite minimo è 167), e in questa direzione sono andati alcuni interventi, come ad esempio l’uso della carena in carbon/kevlar Sebimoto e i dischi Braking con profilo a margherita.

Il display digitale mostra il tempo sul giro, il conteggio dei giri, la temperatura di acqua e olio. Ma non il contagiri! E non è un caso: i Ten Kate, infatti, appartengono alla scuola di pensiero che fa capo a John Britten, e che sostiene che il pilota non ha alcun bisogno di conoscere in ogni momento quale sia il regime del motore. Il momento di cambiare marcia è annunciato dal led arancione a 14.300 giri, poi di nuovo a 14.700. Infine, la lucina rossa a 15.100 significa che a quel punto accelerare ancora è proprio inutile, visto che il motore ha già tirato fuori tutti gli “oltre 135 cavalli”.  Tuttavia, volendo, il quattro cilindri Honda spinge ancora più in alto.



Molto più in alto: sono arrivato a 16.500 (!) senza che nessun limitatore mi intimasse di mollare il gas.
Le misure di alesaggio e corsa (67x42,5 mm) sono identiche a quelle dichiarate da Suzuki e Kawasaki: eppure, il motore Honda gira più forte, addirittura più del propulsore Triumph, che, pure, ha una corsa inferiore.

In realtà, agli “speed traps”, i rilevamenti di velocità in fondo ai rettilinei (prima della staccata), la CBR RR spesso fa segnare numeri più bassi di alcune concorrenti, ma guadagna metri preziosi in uscita di curva: praticamente, con la 600 Honda di Ten Kate puoi aprire il gas quando sei ancora in piega, ma, soprattutto, è sorprendente la prontezza della risposta della ruota posteriore alla manopola dell’acceleratore. Merito, questo, di un rapporto di compressione elevato; anche se i Ten Kate si guardano bene dal rivelarlo con precisione, affermando laconicamente che stia “sotto la soglia dei 14:1” (ciò significherebbe che non è così alto come tutto, velocità di punta soprattutto, lascerebbe immaginare).



Ad ogni buon conto, c’è una quantità di coppia assolutamente insospettabile per un motore così affamato di giri. La cosa dipende dalla mappatura della centralina che controlla l’iniezione (PGM-FI) e, in generale, dalla volontà di Gerrit Ten Kate di privilegiare un’erogazione morbida. La prima operazione apportata a questa RR è stata l’installazione del kit HRC, che prevede camere di combustione modificate, molle valvole più rigide, cablaggi diversi e una differente centralina elettronica. Il risultato consiste in sette cavalli aggiuntivi a tutti i regimi. Ten Kate ha poi cambiato l’airbox di serie con uno che lascia fluire più liberamente l’aria, e sostituito i condotti di aspirazione, che ora sono in fibra di carbonio.



Il telaio della RR è molto più rigido di quello della “vecchia signora” (come viene definita da Ronald Ten Kate), la CBR 600F. E’ uno chassis che nasce per le gare, e serve meno lavoro per mettere a punto le sospensioni: la forcella Showa (con steli da 45 mm) è stata “svuotata” per accogliere molle WP. Al posteriore, l’ammortizzatore WP è quello di serie, ma è allungato per ottenere un assetto rialzato. Anche il forcellone è più lungo (di 47 mm) di quello della CBR F.



Nel misto, la Supersport dell’ala bianca è estremamente bilanciata, sia in ingresso sia in uscita di curva: ti permette di impostare qualsiasi traiettoria e seguirla senza alcun sottosterzo, oltre che di mantenere una velocità di percorrenza di curva elevatissima. Mediamente, la RR consente un angolo di piega di maggiore di quello della F.
Sono sempre stato un grande fan dei dischi Braking a margherita, e su una moto già fantastica in curva come la RR costituiscono un vantaggio extra nello scendere in curva. Il tipo usato dalla CBR di Ten Kate, comunque, non è il cosiddetto “Bat Flight” (che avevo provato sulla R6 Belgarda l’anno scorso, e che aumenta l’attrito con la sua superficie ondulata), ma una versione leggermente più datata e resistente.

Già, resistente: per un pilota come Karl Muggeridge è questa la cosa fondamentale; basti pensare che, quando era alla Suzuki, non poteva utilizzare i dischi Braking perché continuava a deformarli…
Chiudiamo con una dichiarazione molto eloquente di Gerrit Ten Kate: “ho lavorato con Honda per molti anni, e la CBR600RR è una moto che sarà ricordata a lungo per aver fatto fare un salto in avanti alla categoria Supersport. E’ un vero e proprio pacchetto vincente!”.

Honda CBR600RR Ten Kate
In sella, Alan Cathcart sorride con Chris Vermeulen (al centro), il team manager Ronald Ten Kate (a sinistra) e il direttore del reparto corse Pirelli (Giorgio Barbier)

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