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Yamaha YZF-M1: aspettando Rossi
Cathcart ha provato a Valencia la moto che quest'anno punta su Valentino per ritrovare la strada della vittoria in MotoGP. E dice che per andare avanti forse è meglio fare qualche passo indietro...
di Alan Cathcart, foto Kel Edge
Sono ormai undici lunghi anni che la Yamaha non vince un titolo nella massima categoria del Motomondiale, dove una volta era dominatrice. Il debutto della classe MotoGP non ha portato alla Casa dei tre diapason il sospirato ritorno al vertice, tanto sospirato che, per ritrovare il gradino più alto del podio, si è assicurata per il 2004 il pilota più veloce del momento: Valentino Rossi, l'asso che ha siglato gli ultimi tre successi iridati della Honda dapprima nella 500, quindi per due volte consecutive nella MotoGP.
L'opportunità di provare la Yamaha YZF-M1, ossia la moto che Valentino dovrà portare alla vittoria, cosa che non è più riuscita a nessuno dopo il secondo trionfo di Biaggi nel 2002, mi è stata offerta con un test di una ventina di minuti sulla moto di Carlos Checa sul circuito di Valencia il giorno dopo la disputa dell'ultima prova del campionato mondiale 2003.
A Valencia quel giorno non ho provato solo la Yamaha M1, ma anche la moto che, scaturita dal nulla, ha superato la Yamaha nel ruolo di principale contendente della Honda nella corsa al titolo mondiale MotoGP, ossia la Ducati Desmosedici, e l'altra moto, la Kawasaki ZX-RR, che propone la stessa soluzione costruttiva della Yamaha: il quattro cilindri in linea trasversale. Due giorni più tardi, infine, ho avuto modo di provare sul circuito di Catalunya la Honda RC211V, completando una comparativa assolutamente unica.
Saltando in sella alla Yamaha M1, immediatamente si prova la sensazione che sia molto più piccola delle altre due moto provate a Valencia, più simile a una 600 Supersport, specialmente al confronto con la massiccia Kawasaki e alla pur più voluttuosa Ducati, e ci si sente seduti in sella sulla moto, piuttosto che appollaiati in vetta a questa.
Carlos Checa usa una coppia di semimanubri abbastanza inclinati e ben sagomati per la miglior resa aerodinamica, coerentemente all'impostazione generale della M1, dove il pilota si sente parte della moto, che oltretutto sembra più raffinata delle concorrenti.
"Raffinata" è un attributo che certamente non avrei pensato di usare a proposito di un missile da 240 CV, ma è l'aggettivo che più si addice all'architettura complessiva della Yamaha MotoGP, che appare effettivamente più compatta delle altre e che non è più larga della Honda RC211V, pur avendo un cilindro in più disposto trasversalmente al telaio.
La M1 sembra anche più corta della Honda, che ti appare sì come un vestito su misura,e che è altrettanto magra, ma che non promette la stessa maneggevolezza e agilità della Yamaha. Perché in realtà in pista la M1 volta che è un piacere ed è relativamente molto maneggevole per essere una moto tanto potente, specialmente nei repentini cambi di inclinazione da un lato all'altro imposti dalle veloci "S" che precedono l'ultima curva di Valencia, dove questa 990 si comporta quasi come una 250, se paragonata agli altri due mostri MotoGP da me provati sulla stessa pista.
La M1 appare decisamente ben bilanciata ed equilibrata: forse anche troppo. Non si vedono infatti mai piloti della Yamaha derapare in curva o lasciare sull'asfalto lunghe righe nere disegnate dal pneumatico posteriore, come invece fanno regolarmente i loro colleghi della Honda e della Ducati, pur avendo la Yamaha una potenza almeno paragonabile a quella del V5 Honda, a giudicare dai 324,8 km/h raggiunti alla fine del rettilineo del Mugello lo scorso maggio da Checa e Melandri con le Yamaha e da Biaggi con la Honda.
Questo probabilmente significa che la YZF-M1 non dà al pilota la confidenza che gli è indispensabile per spingere al massimo delle sue possibilità con la sicurezza di essere lui a comandare e non la moto, e che questa ipotesi non sia affatto peregrina lo dimostra la classifica di fine stagione, che ha visto la Yamaha salire una sola volta sul podio a dispetto della sua indubbia competitività.
Pochi giri sulla M1 non mi daranno certo risposta a questo dilemma, ma al mio passo, i repentini cambiamenti di direzione risultavano più facili sulla Yamaha rispetto alle altre moto, ed essendo così maneggevole sembra anche in grado di percorrere a velocità più elevata le curve semi-veloci e veloci rispetto ad una Ducati. Il braccio di leva dello sterzo non è così efficace come sulla Desmosedici di Bayliss, perché la Yamaha è ben più agile rispetto alla moto italiana, grazie anche al manubrio di Checa, fortemente inclinato, e alla sella abbastanza alta, che fanno sì che buona parte del peso del pilota venga scaricato sull'avantreno tramite gli avambracci, di sicuro molto di più rispetto alla Honda e alla Ducati.
Ma la Yamaha ispira ben meno fiducia quando sembra volerti prendere per i fondelli in curva. Per due motivi: primo, all'apice delle curve più strette, quando devi frenare a fondo, subentra una strana anomalia nello sterzo; secondo, il sistema di controllo elettronico del motore è stato settato come se non si stesse parlando di un quattro tempi! Non c'è assolutamente freno motore quando togli velocemente le marce mentre freni di brutto - e, anche se in temperatura, i dischi Brembo in carbonio di 320 mm non offrono né la potenza, né la sensibilità dei più piccoli 305mm montati sulla Ducati.
L'effetto del sistema antibloccaggio della Yamaha è che in curva la M1 sembra in folle, nonostante tu abbia una marcia inserita e la frizione disinnestata, il ché all'inizio è abbastanza sconcertante, almeno fino a quando non ti dimentichi che stai guidando una mille a quattro tempi. Ma rispetto ad un due tempi, al quale la M1 si rifà molto sotto questo aspetto, mentre togli le marce devi continuare a lavorare con la cortissima leva della frizione che usa Checa, in quanto la frizione va innestata e disinnestata per ogni marcia, piuttosto che tenere la leva tirata e toglierle tutte in una volta, perché è questo che attiva il software, non l'azione del piede sulla leva del freno, come sulla Suzuki GSV-R che provai un anno fa. E qualunque cosa accada, devi forzarti di non dare il colpetto di gas quando scali una marcia, perché a quello ci pensa l'ECU, e se invece segui l'abitudine di una vita e lo fai comunque, mandi il sistema in tilt.
A questo punto la storia si fa ancora più complicata, perché ci sono due cose a cui stare attenti. La prima è che dopo che hai frenato alla corda, nel momento in cui molli i freni e cominci a riaprire il gas per uscire dalla curva, avverti una strana sensazione, come se la ruota anteriore si ripiegasse sotto di te, con un improvviso comportamento sovrasterzante. Forse non me ne sarei accorto se non mi fosse accaduta la stessa cosa due ore prima con la Kawasaki. Mi chiedo se non abbia qualcosa a che fare con l'ICS, il sistema di gestione del motore, che a un certo punto, in una situazione di equilibrio molto precaria, smette di mantenere il minimo a 3000 giri per controllare il freno motore su due dei quattro cilindri. Oppure se possa essere riconducibile all'effetto del trasferimento di carico in frenata, che sta ancora completandosi quando già dovrei tornare ad aprire il gas in totale confidenza. O non sarà colpa dell'insolita rotazione a rovescio dell'albero motore? Qualunque sia la ragione, l'effetto è decisamente strano.
La seconda cosa a cui prestare attenzione guidando la Yamaha è che l'aggressiva potenza sviluppata a giri elevati rende inevitabile l'impennata in quarta marcia all'uscita dell'ultima curva di Valencia, che porta sul rettilineo della pit lane. In quel punto ad ogni giro mi trovavo con la ruota per aria. Nelle prime tre marce la potenza è ben gestibile, probabilmente grazie al sistema di controllo della trazione - quando la ruota anteriore si alza puoi tranquillamente controllarla con il freno posteriore. Ma le prime quattro marce sono molto vicine, in modo da migliorare l'accelerazione, e in un attimo arrivi alla quarta, dove comincia il bello.
Attorno ai 12000 giri si avverte un improvviso aumento di potenza, che scaglia la ruota anteriore verso il cielo, molto di più che con le prime tre marce. Devo ammettere che le prime volte ho chiuso un po' il gas per recuperare, ma quando è successo di nuovo ero pronto, e ho capito che dovevo provare a domare la bestia usando la manopola del gas, cercando di non puntare il muro dei box in impennata, ed evitando di chiudere troppo il gas perdendo tempo proprio di fronte al team Yamaha...
Sembra che ognuno dei 240 cavalli dichiarati sia presente all'appello, ma solo quando si raggiungono regimi di rotazione molto elevati, per cui devi sempre far girare in alto il motore. E accelera veramente forte, con un'impressionante erogazione finale della potenza; al contrario, però, a bassi giri non regge il passo coi motori Ducati e soprattutto Honda. La spia rossa che chiede il cambio di marcia lampeggia a 14000 giri, per poi diventare arancione a 14500, e questo è il momento di tirare la leva, poco prima che il limitatore intervenga a 15000 giri. L'ingegner Ichiroh Yoda ci ha poi rivelato che quella era la versione per la stampa, poiché normalmente l'erogazione di potenza continua fino a 15350 giri, e questo sottolinea che questo motore deve girare alto. E parecchio, anche.
La M1 può sembrare una due tempi quando devi frenare in curva, ma la sua vera natura si rivela quando apri il gas. Finché gira non ci sono cali di potenza, quindi devi spingere fin quasi al limitatore per poi cambiare marcia e trovarti di nuovo al numero giusto di giri. Ma devi essere preparato per farlo, e stare attento quando apri forte all'uscita delle curve più lente, come il ferro di cavallo in seconda marcia di Valencia, altrimenti la Michelin posteriore farà fatica a trovare il grip giusto.
In termini di set up non è una moto flessibile come la Honda, e forse neanche come la Ducati, e non è disposta a perdonare errori quanto le altre, ma di sicuro quando la M1 è a posto e guidata da un esperto che ottiene il meglio dalla moto in ogni curva, ad ogni giro, allora è spaziale. Il trucco è trovare l'uomo giusto che lo possa fare. Che ne dici, Valentino?
La Yamaha guadagna punti grazie alla sua leggerezza e maneggevolezza, migliori rispetto allo standard delle MotoGP, doti che si rispecchiano in un buon feeling con le sospensioni Ohlins - bisogna solo stare attenti al sovrasterzo alla corda. Quando cominci ad adattarti alla tecnica del cambio marcia, ti rendi anche conto che la M1 frena piuttosto bene, a patto di agire con forza sulla leva, e sembra proprio stabile.
Sono comunque sicuro che Valentino vorrà tornare un po' indietro, con una potenza più gestibile e un minore controllo elettronico. In effetti, guidando la M1, fisicamente ti senti parte della moto, ma mentalmente no. Sinceramente non riesco a capire il motivo di tutto questo utilizzo dell'elettronica, poiché la Ducati frena meglio senza tutti quegli interventi esterni, usando solo una frizione "demodé". Scommetto che Valentino dirà alla Yamaha di cestinare tutti quei malefici elettronici in favore di un sistema dove sia il pilota e non un computer a gestire la moto.
L'impressione è che la Yamaha dovrebbe essere meno sofisticata e complicata per il suo stesso bene. Col numero 46 sulla carenatura e il titolare di questo numero sulla sella, ci sono molte possibilità che le cose cambino in vista della stagione entrante, ma solo dopo numerosi interventi volti a semplificare ciò che sembra inutilmente complesso, ad incrementare la maneggevolezza e a migliorare decisamente la curva di erogazione della potenza.
Mi piacerebbe poter provare nuovamente la YZF-M1 fra un anno, dopo dodici mesi di "cura-Rossi"; penso che troverei una moto davvero molto diversa da quella che ho provato questa volta a Valencia...
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