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Moto Guzzi V11 Ballabio

il 11/06/2003 in Moto & Scooter

Manubrio alto e alcuni ritocchi mirati alla meccanica cambiano il volto alla V11, che si trasforma in una efficacissima arma da misto, senza perdere nulla del carattere Guzzi


Devo dire la verità: quando mi hanno prospettato di provare la V11 Ballabio, ho pensato che si sarebbe trattato di una nuova, e forse poco giustificata, versione della V11 Sport, un modello che nel tempo ha visto apparire una nutrita schiera di serie diverse, più o meno limitate. E se la sostanza non è mai mancata (e nemmeno la forma in realtà, soprattutto nelle linee classiche e moderne della versione nuda), non ero riuscito a intuire subito quanto e quanto bene potesse cambiare la sportiva di Mandello con il faro fisso e il manubrio "da cross".

E invece... E invece il nome Ballabio (che deriva dalla gara in salita Ballabio-Resinelli, la cui edizione del 2002 -categoria Open- è stata vinta dal collaudatore Guzzi Cesare "Cecco" Micheli proprio su una V11 modificata) doveva mettermi sulla strada giusta, doveva farmi cogliere che il carattere sarebbe stato indirizzato verso una guida più guizzante e disimpegnata. Poco male: sono bastati i primi metri per capire che la Ballabio è davvero un’altra moto; la posizione di guida, l’erogazione, il cupolino fanno della nuova V11 una naked forse meno bella della progenitrice, ma di certo divertente e dannatamente efficace nel misto, senza disdegnare la città e, grazie al cupolino, anche viaggi a medio raggio.



Certo, il carattere di fondo è inconfondibilmente Guzzi, con le pulsazioni (o vibrazioni, dipende dalla vostra sensibilità) del motore, con la guida un po’ muscolosa, con quella voce di aspirazione dalle note inconfondibili, ma ora ha smussato quasi tutti gli spigoli, e non dubito che possa piacere molto anche a chi non ha mai avuto una Guzzi.

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La Ballabio appare allo stesso tempo familiare, per la discendenza diretta dalla V11, e un po’ strana, forse per via del gruppo faro-cupolino-strumentazione fissati al telaio e un po’ "aggettanti". Per il resto è la V11 che conosciamo, caratterizzata dall’impiego di particolari di pregio e senza apparenti economie. Il largo manubrio in lega leggera, per esempio, è del tipo a diametro differenziato (28 mm in corrispondenza dei supporti, i soliti 22 mm nella zona dei comandi), mentre le pompe idrauliche sono Brembo Serie Oro (più di così ci sono solo le nuove radiali, ma non sembrano di certo necessarie) e anche gli specchi sono di qualità davvero elevata.

Un po’ sottotono i blocchetti elettrici, classici e funzionali ma non così curati, mentre la strumentazione è nuova e riprende lo stile e la grafica della Breva; curioso, comunque, che il contagiri abbia la zona gialla tra 7000 e 8000 giri, mentre la potenza massima viene raggiunta a 7800. Comunque l’attenzione della Casa al dettaglio traspare tutta (e si nota anche l’esperienza Aprilia): verniciatura veramente impeccabile (anche quella del motore), materiali di prim’ordine, montaggi curati.



Io ho trovato le versione rossa un po’ affollata di colori (quella grigia è meno sportva ma mi pare più armonica), cambierei le viti di fissaggio del guscio che rende monoposto la sella e darei una passatina di fresa ai pedali di freno e cambio, ma sono davvero dettagli secondari, e anche questione di gusti personali. Più utile dire che sotto la sella trovano posto gli attrezzi, i documenti, un bloccadisco e, se lasciate a casa il manuale (meglio se dopo averlo letto...) magari riuscite a infilare anche uno di quegli impermeabili di emergenza in plastica o una K-Way, oppure una tanica pieghevole.

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Niente rivoluzioni: la meccanica di base rimane quella della V11, con un motore carico di storia e tradizione (anche se non ha più una vite in comune con la versione di origine da 700 cc) e una trasmissione completamente rinnovata che ha fatto il suo debutto proprio con la presentazione della V11 Sport. Il propulsore è dunque un classicissimo bicilindrico aste e bilancieri raffreddato ad aria (con un aiuto da parte del radiatore dell’olio), che ha la particolarità di essere l’unico V di 90° trasversale nel panorama mondiale.
Le modifiche che sono state apportate a questa versione, e i cui risultati vengono descritti nell’analisi dinamica, sono di dettaglio ma non trascurabili: il rapporto di compressione è stato aumentato a 9,8:1 per un migliore rendimento termico, mentre l’impianto di scarico ha ricevuto un compensatore anteriore per migliorare l’erogazione ai medi regimi.
A completare il quadro l’adozione di uno scarico con catalizzatore e sonda Lambda, che dialoga con la centralina dell’iniezione e le fornisce i dati sulla composizione dei gas di scarico per ottimizzare la quantità di carburante erogato.

La trasmissione è dotata di cambio a sei marce: la particolarità è data dalla costruzione a tre alberi (un primario e due secondari), che consente di limitare gli ingombri lonitudinali. La rapportatura interna del cambio è più corta del precedente cinque marce, il che ha pemesso di allungare il rapporto finale utilizzando un pignone della coppia conica con un numero di denti maggiore, cosa che riduce attriti e rumorosità.

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L’azzeccata posizione di guida della V11 Sport sulla Ballabio è stata modificata ma non stravolta: il manubrio sensibilmente più alto e arretrato dà un’impostazione più turistica (la schiena è meno inclinata), che permette un grande controllo e, grazie alla sorprendente protettività del piccolo cupolino che devia l’aria sopra le spalle, consente di tenere medie molto elevate senza troppa fatica. La parte più fastidiosa arriva dalla vibrazioni, per la verità non elevatissime, ma comunque sensibili e fastidiose nei lunghi tragitti a velocità costante; in questo senso non sarebbe una cattiva idea quella di montare su supporti elastici le pedane di conducente e passeggero.



Quest’ultimo è ospitato in modo soddisfacente se la sua taglia è ridotta, diversamente le pedane risultano un po’ alte, mentre la sella ha una buona imbottitura e una superficie discretamente ampia, ma l’unico appiglio è costituito dal cinghiolo trasversale.
I comandi sono di impostazione standardizzata: i blocchetti elettrici sono intuitivi ma bisogna fare l’abitudine agli interruttori del clacson e delle frecce, che hanno posizioni invertite rispetto al solito. Nulla è stato fatto, purtroppo, per rendere più agevole l’apertura del cavalletto, che ha la leva di azionamento nascosta alla vista dal cilindro sinistro. Plauso, invece, per gli specchi: l’angolo di visuale, la facilità di regolazione e la resistenza alle vibrazioni sono esemplari.
La sospensione posteriore completamente regolabile permette di personalizzare bene l’assetto, ma solo la regolazione del freno idraulico in compressione, posto dietro al cilindro sinistro, è facile da azionare: per il controllo dell’estensione il comando è scomodo, mentre per regolare il precarico della molla l’operazione si fa davvero laboriosa: sicuramente i Guzzisti rinuncerebbero di buon grado al freno in compressione per avere in cambio un comando idraulico per il precarico.

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Appena si impugnano i manubri si capisce che la storia, questa volta, è diversa: il senso di padronanza del mezzo è immediato, e si capisce subito che ci si può sbizarrire, anche solo per il fatto che il motore gira più fluido e pronto fin dai primi colpi di gas in folle. Frizione morbida e modulabile, cambio preciso (anche se la corsa è un filo lunga, e a caldo si irruvidisce un po’) e via. Il suo terreno preferito non è la città, per lo meno quando il traffico è caotico, per un solo, semplice e importante limite: l’angolo di sterzata. Nonostante il serbatoio piuttosto stretto, infatti, la rotazione è limitata dall’ingombro dell’ammortizzatore di sterzo, che meriterebbe, vista la situazione, un posizionamento differente.

Comunque, a parte questo dettaglio che impedisce di svicolare come uno scooter tra le auto incolonnate, la conduzione è facile, anche perchè il largo manubrio offre un braccio di leva che alleggerisce molto i cambi di direzione. Il motore, poi, è migliorato sensibilmente: niente più flessione intorno ai 4000 giri, gira più rotondo e corposo fin dal minimo, anche se continua a dare il meglio di sé oltre i 5000. Comunque a 8500 giri, quando interviene il limitatore, la spinta è ancora notevole, e non dispiacerebbe poter usufruire di altri 500 giri di allungo.



Su strada aperta queste caratteristiche, unite a una ciclistica decisamente a punto (anche se ancora un po’ scarica di avantreno) permettono ritmi elevatissimi e una condotta fluida, bisogna solo essere risoluti nella traiettoria da seguire e disposti a fare un po’ (non molto) di fatica in più rispetto alla media della categoria. Insomma, una mezza rivoluzione, una Guzzi facile, efficace, divertente da guidare, con i suoi 91 CV e i 200 all’ora subito lì a portata di polso e con la sua frenata rassicurante, ma con tutto il sapore della tradizione nell’impostazione delle curve, nell’avantreno leggermente sottosterzante, nel connubio uomo-macchina che vuole lei tanto più docile e ubbidiente quanto lui è in grado di farsi rispettare. Agli uomini di Mandello non possiamo che augurare di continuare su questa strada.

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