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Moto & Scooter

Il motore a 4 cilindri

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E' ormai la soluzione  più diffusa sui modelli da strada e su quelli da competizione. Ma la sua evoluzione è durata 100 anni

La Brough Superior progettò è mise in produzione un raffinato e costoso quattro cilindri ad H, uno schema poi ripreso dal motore da aviazione Napier Sabre (che, però, di cilindri ne avrà sedici)

E' ormai la soluzione più diffusa sia sui modelli da strada e su quelli da competizione. Ma per raggiungere le prestazioni e l?affidabilità di oggi c?è voluta un?evoluzione durata quasi un secolo
di Alberto Dell'Orto



Sezione del motore FN 700: si notino i due soli supporti di banco

Il rapporto tra i motori a quattro cilindri e le motociclette non è sempre stato idilliaco come potrebbe sembrare sfogliando gli attuali listini, anzi.
Fin dall?inizio del secolo sono stati fatti vari tentativi per installare dei plurifrazionati, e le proposte nono sono mancate, ma i notevoli vantaggi forniti dallo schema meccanico (vibrazioni quasi assenti, regolarità di rotazione ai bassi regimi, potenza) erano oscurati da una serie di problemi relativi, soprattutto, ai pesi e agli ingombri.
All?epoca, infatti, non era pensabile montare trasversalmente una motorizzazione del genere per due motivi: i telai erano ancora dei monoculla di derivazione cilcistica, inoltre si poteva pensare di trasferire certe potenze (dell?ordine dei 10-20 CV) solo con un sistema di trasmissione di tipo automobilistico, ciè con motore, frizione e cambio in linea, seguiti da un?albero e una coppia conica, oppure, come le Henderson, con una coppia conica all?uscita del cambio e una catena. Le prime moto a quattro cilindri, dunque, sono invariabilmente
lunghissime (FN, Pierce), ma poi in Europa arriva la guerra a ridimensionare le pretese di quelli che erano allora giocattoli per adulti danarosi. Dopo il primo conflitto mondiale, infatti, per quasi un ventennio non si parlerà più di moto a quattro cilindri di serie: il progetto Rondine, poi passato alla Gilera, era espressamente studiato per le competizioni, e solo le americane Henderson e Indian producono ancora una mastodontica quadricilindrica con motore longitudinale.


Negli anni Trenta appaiono altre proposte, come l?inglese Ariel con il celebre motore a cilindri in quadrato, che nacque con distribuzione monolabero in testa e fu trasformato in aste e bilanciari dopo la seconda guerra mondiale. Intanto la Brough Superior costruisce un motore boxer a due alberi e cilindri sovrapposti (in pratica una disposizione ad ?H?), mentre il potentissimo V4 sovralimentato della AJS non avrà gli sperati successi sportivi, e l?industria bellica tedesca partorirà lo Zundapp KS a cilindri contrapposti e valvole laterali (i famosi Elephanten).


Nel dopoguerra la moto serve per andare al lavoro tutti i giorni, non per scarrozzare avventurosi gentiluomini amanti delle emozioni forti: i rari motori a quattro cilindri rimangono dunque confinati nelle competizioni della classer regina, la 500, che vedrà il vittorioso Gilera trasversale e l?innovativo Guzzi longitudinale, dotato di iniezione meccanica ma anche di una inadatta trasmissione ad albero. Terzo rappresentatnte del settore era il motore MV, parente del motore Gilera in virtù del trasferimento dell?ingegner Remor, il progettista, dalla Casa di Arcore a quella di Cascina Costa.
Negli anni Sessanta si assiste a qualche sparuto tentativo di riproporre il superfrazionato anche nella produzione stradale: i due sfortunati modelli italiani sono la Ducati Apollo (che non verrà messa in produzione per la mancata assegnazione della commessa da parte delle forze di polizia statunitensi) e la MV 600, una moto di grande prestigio ed esclusività tecnica (aveva anche i freni a disco nel ’66!) a cui però mancavano le prestazioni che avrebbero dovuto accompagnare un marchio tanto titolato.



Alla fine del decennio, nel 1969, la rivoluzione: la Honda presenta la CB 750 Four, una moto destinata a cambiare un’epoca e a far capire anche agli europei che cosa vuol dire essere un’industria che produce motociclette. La meccanica ricorda la scuola italiana da competizione (proprio quell’anno la Benelli vincerà il titolo mondiale con Saarinen e la 250 quattro cilindri), ma la cura realizzativa e la qualità dei materiali fa diventare immediatamente e irrimediabilmente vecchie e povere le sportive italiane e inglesi fino a quel momento sogno di ogni smanettone. Seguono poi la corsa alla riduzione della cilindrata (cb Four 500, 350, 400, e poi 550 e 650) e la brutta scopiazzatura voluta in Italia da De Tomaso, con le Guzzi/Benelli 354, 504 e 654, serie completata dal “quattro cilindri più piccolo del mondo”, il Benelli 304, in realtà un 230 cc dall’affidabilità aleatoria. Intanto la Honda fa risorgere lo schema boxer (ma raffreddato a liquido) con la Goldwing 1000-1100-1200, e anche le altre Giapponesi inseguono un filone ricco di prospettive: la Kawasaki farà storia col la serie Z 900 e poi 1000. Gli altri due marchi nipponici, concentrati sui due tempi, arrivano dopo, a cavallo del 1980: le Suzuki GS e GSX (la 1100 fu la prima moto di serie con distribuzione a quattro valvole per cilindro), le Yamaha XJ 550 e 650 (poi 600, 750 e 900). La solita Honda, intanto, investiga i segreti e le possibilità del 4V di 90° con la serie VF (di cui faranno parte anche la VFR, e le RC 30 e 45).



Ma saranno proprio queste due Case a dare violenti scossoni al mercato moto: mentre la Kawasaki presenta la GPZ 900 R, prima vera maximoto moderna, la Suzuki sfodera la migliore race-replica forse mai apparsa, la Gamma 500 a due tempi con cilindri in quadrato e ammissiona a disco rotante. Sarà poi la Yamaha, nel 1987, a dare un’altra sferzata al segmento con la FZ 750 a cinque valvole per cilindro, il capostipite di diverse generazioni di supersportive d’eccellenza, dalle FZR alla R1. il resto è cronaca.
Il frazionamento è uno degli aspetti fondamentali per il carattere di un propulsore. Non stupisce, dunque, che la scelta dei quattro cilindri sia considerata praticamente d’obbligo per i motori che competono per i record prestazionali (200 CV/litro, 300 km/h): in pratica le masse in moto alterno all’interno del motore (pistoni, valvole, bielle) son proporzionalmente più piccole e leggere e permettono, quindi, di raggiungere regimi di rotazione più elevati senza che lo stress dei materiali arrivi a livelli critici. E siccome il numero dei giri è uno degli “ingredienti” della formula della potenza, non stupisce che quattro sia il numero di cilindri più amato dai progettisti di moto super e ipersportive.


Inoltre il numero di combustioni all’interno del ciclo (due giri dell’albero motore) permette ai quadricilindrici, specie in configurazione boxer o in linea, una notevole regolarità di rotazione fin dai regimi più bassi senza bisogno di masse volaniche consistenti. Ovviamente, il rovescio della medaglia è costituito da una complessità costruttiva superiore e da ingombri più elevati (specie nella disposizione in linea), ma va detto che nel tempo la corsa alla compattezza ha portato a risultati notevoli. Chiaramente, poi, nei motori di cilindrata più ridotta (250 – 600) la corsa alla miniaturizzazione crea dei problemi realizzativi che hanno richiesto l’acquisizione di tecnologie industriali di altissimo livello: pensate a una testata: deve ospitare 16 valvole (con steli anche da 3,5 mm!), quattro candele (che più piccole di un tot non potranno essere), due alberi a camme con quattro supporti ognuno, almeno otto condotti (escludendo eventuali sistemi di iniezione di aria nello scarico) e, infine, le intercapedini per il passaggio del refrigerante, che magari deve “gestire” il calore prodotto da 140 CV, come nelle Supersport. Una testata del genere è un lavoro di progettazione e ottimizzazione estremamente complesso, con molti vincoli e pochissime libertà, e soprattutto la sua realizzazione è un vero tributo all’arte fusoria. Tutto questo, ovviamente, costa, e non si può dire che sia un vantaggio…
Lo schema a quattro cilindri in linea (frontemarcia nel settore moto, dato l’abbandono delle disposizione longitudinale) è infatti il migliore sotto l’aspetto della regolarità di rotazione (una combustione ogni 180° di rotazione dell’albero) e sotto quello dell’equilibratura: all’interno di ogni coppia di cilindri adiacenti (1-2, 3-4) le masse che si nuovono di moto alterno generano forze uguali e di direzioni opposte, elidendosi dunque tra loro. L’interasse tra i cilindri, però, fa sì che questa “contrapposizione di forze generi, per ogni coppia di cilindri, un momento torcente che tende a far ruotare l’albero rispetto a un asse longitudinale.



La disposizione dei perni di manovella, però, fa sì che le due coppie che si creano tra i cilindri 1-2 e 3-4 ai punti morti (che proprio lì raggiungono i valori massimi, perché ai punti morti sono massime le inerzie delle masse alterne –pistone e porzione di biella), abbiano direzione opposta, e quindi si annullino tra di loro. Nel quattro in linea, dunque, le forze e le coppie responsabili delle vibrazioni più fastidiose vengono annullate all’origine proprio dalle caratteristiche intrinseche dello schema meccanoico. Rimangono, per la verità, coppie residue quando le manovelle si trovano a 90° dai punti morti, creando forze che hanno verso perpendicolare all’asse dei cilindri. Quando l’albero motore è in questa posizione, le masse alterne viaggiano a velocità praticamente costante (quindi praticamente non fa sentire come forza la propria inerzia), in più le forze generate dal manovellismo hanno versi e direzioni differenti, che generano delle risultanti non equilibrabili con contrappesi sull’albero. Per questo nei quadricilindrici di cilindrata maggiore più votati al turismo si utilizzano alberi controrotanti di equilibratura. Addiritura, la Honda CBR1100XX ne impiega due, uno davanti e uno dietro l’albero motore. Le varie disposizioni a V possono, a livello concettuale, essere assimiliate a due bicilindrici appaiati: la disposizione migliore, e quella che non richiede contralberi, è ovviamente quella con cilindri a 90°: i due perni di manovella possono essere sullo stesso asse (360°) o a 180° tra loro, con una differenza difficilmente percepibile a livello di regolarità ciclica e di vibrazioni. La differenza probabilmente più significativa è la diversa successione delle combustioni, che quindi porta a sonorità di aspirazione e scarico differenti e a diversi disegni dell’impianto di scarico stesso. Le differenze prestazionali non sono però degne di nota, come dimostrato dalla Honda RC30/45 nel campionato Superbike.


Una configurazione molto interessante è quella cosiddetta “in quadrato”, che viene equilibrata come una sorta di doppio bicilindrico con manovelle a 180° con cilindri diagonalmente opposti sincroni.
Attualmente i quattro cilindri sono divisi in due classi: in linea frontemarcia e a V. La famiglia dei quattro a V è piottosto ristretta, poiché ne fanno parte praticamente solo motori Honda: quello della Pan european, disposto longitudinalmente e dotato di alternatore controrotante per contrastare la coppia di reazione (quella cha tende a ruotare di lato la moto a ogni colpo del gas da fermi) e il VFR, che oggi, anche se ha abbandonato il comando della distribuzione a ingranaggi, rimane pur sempre uno dei propulsori più evoluti a livello mondiale, e sfoggia la distribuzione variabile (due o quattro valvole "attive" per cilindro, a seconda del regime).


Gli altri rappresentanti costituiscono in realtà delle nicchie, come il V di 70° della Yamaha V-Max, il V di 90° della Yamaha XVZ 1300, oppure i motori delle MotoGP di Suzuki, Ducati, MZ (quest’ultimo non è ancora sceso in pista).
Lo schema più diffuso è comunque il quattro in linea, schema che oggi accomuna tutte le hypersportive giapponesi e anche alcune proproste europee, come Triumph TT, MV Agusta, BMW K 1200. E’ interessante notare come il quadricilindrico venga utilizzato solo per moto senza compromessi: il massimo comfort (BMW LT, Honda Pan European), oppure le massime prestazioni, In mezzo a queste ci sono alcune proposte che utilizzano motori di alcuni anni fa di impostazione sportiva, per realizzare delle moto turistiche di prezzo accessibile e prestazioni credibili (Kawasaki ZX-7, Suzuki GSX), senza dover per forza riprogettare un motore completamente nuovo (come fece, invece, Yamaha una decina di anni fa per la Diversion 600, probabilmente il più recente propulsore a due valvole per uso motociclistico).


Comunque, al di là della destinazione d’uso del veicolo, i motori a quattro cilindri vedono una netta convergenza dei parametri proncipali di progetto: per esigenze legate ale prestazioni, ai consumi e alle emissioni inquinanti (e quindi, in ultima analisi, all’efficienza di combustione), le nuove unità sono universalmente dotate di distribuzione bialbero a quattro valvole per cilindro, condotti di aspirazione poco angolati rispetto all’asse del cilindro, candela centrale, aree di squish ricavate tra li volumi di “pertinenza” delle singole valvole, angolo incluso tra gli steli di 25°, rapporto corsa/alesaggio compresa tra 0,6 e 0,7. Le differenze a livello prestazionale, ormai, vengono decise a livello di dettagli: diametro valvole, fasature della distribuzione, rapporto di compressione, diametro farfalle di aspirazione. E sono parametri, si badi bene, destinati ormai a cambiare molto poco, almeno del campo dei motori a benzina per impiego motociclistico, perché è un ottimo che è stato inquadrato investigando strade anche più estreme.
La sezione dello Yamaha 700 da GP degli anni settanta permette di apprezzare chiaramente la disposizione delle manovelle, che è la stessa di tutti i quattro in linea. In teoria, un due tempi potrebbe anche avere le manovelle a 90°, ma si formerebber
Nei motori cosiddetti “in quadrato” le migliori caratteristiche di regolarità ciclica e equilibratura si hanno con la disposizione mostrata in figura

Il motore della Suzuki Hayabusa, una delle poche moto a oltrepassare la barriera dei 300 all’ora, ben rappresenta lo stato dell’arte nel settore

Lo schema della lubrificazione a carter secco permette di apprezzare le caratteristiche costruttive dell’Honda CB 750 Four. Notare la trasmissione primaria a due catene a rulli

Un’altra pietra miliare: il Kawasaki GPZ 900 R del 1984, con distribuzione bialbero a quattro valvole e comando a catena laterale, raffreddamento a liquido, 115 CV, mostrerà la strada a tutti

Spaccato del motore BMW a quattro cilindri e sedici valvole usato sui modelli K 100, K 1100 e K 1200. E’ evidente, pur nella razionalità del disegno, una complessità notevole del progetto e l’affollamento degli organi meccanici della distribuzione
Nella trasparenza della Rondine/Gilera, si possono notare alcune particolaritrà del motore, come l’amplissimo angolo incluso tra le valvole

La serie dei motori Suzuki raffreddati ad aria e olio è stata molto longeva, e continuano la loro carriera nelle serie Bandit e GSX

La Brough Superior progettò è mise in produzione un raffinato e costoso quattro cilindri ad H, uno schema poi ripreso dal motore da aviazione Napier Sabre (che, però, di cilindri ne avrà sedici)

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