Moto & Scooter
I 150 anni del motore a scoppio
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Nel 1853 a Firenze nasceva, ad opera di Barsanti e Matteucci, il motore "Gravi atmosferico a gas", il primo a combustione interna in grado di funzionare con continuità e buon rendimento
di Luigi Rivola
Un modellino del motore bicilindrico Barsanti e Matteucci del 1854
Nella storia delle invenzioni, cominciando da Archimede, passando poi per Galileo, ma soprattutto per Leonardo, per arrivare a Volta e più recentemente al grande Fermi, molti Italiani hanno dato grandissimi contributi al progresso. Alcuni di loro non hanno però mai avuto il riconoscimento ufficiale della priorità delle loro intuizioni, a causa di scarsa competenza e lungimiranza da parte di chi, in Italia, avrebbe dovuto dare un seguito e valorizzare l'invenzione.
Un modellino del motore bicilindrico Barsanti e Matteucci del 1854
Nella storia delle invenzioni, cominciando da Archimede, passando poi per Galileo, ma soprattutto per Leonardo, per arrivare a Volta e più recentemente al grande Fermi, molti Italiani hanno dato grandissimi contributi al progresso. Alcuni di loro non hanno però mai avuto il riconoscimento ufficiale della priorità delle loro intuizioni, a causa di scarsa competenza e lungimiranza da parte di chi, in Italia, avrebbe dovuto dare un seguito e valorizzare l'invenzione.
È il caso di Meucci, che - ormai è certo - inventò il telefono prima di Bell, come di D'Ascanio, che nel 1930 fece volare per primo un elicottero con pilota a bordo, ma trovò la celebrità e i giusti riconoscimenti al suo valore solo sedici anni dopo progettando e realizzando la Vespa.
In questo articolo ci occupiamo dei veri inventori del motore a scoppio: i toscani Eugenio Barsanti e Felice Matteucci, che tra il 1853 e il 1864 progettarono, costruirono, perfezionarono e produssero i primi motori a combustione interna che abbiano regolarmente funzionato mostrandosi competitivi coi già collaudati motori a vapor, tanto da indurre alcune società a commissionarne la costruzione per l'utilizzo nelle proprie fabbriche.
Questi due geniali scienziati italiani non sono mai riusciti ad ottenere - nonostante i brevetti regolarmente registrati in Italia e in Inghilterra e le testimonianze disponibili - il riconoscimento della loro documentata priorità. In Francia si attribuì l'invenzione ad Etienne Lenoir, che costruì e dimostrò pubblicamente l'efficacia del suo motore a scoppio solo nel 1859, mentre in Germania la si fa risalire a Nikolaus August Otto, che non inventò certamente il motore a scoppio, ma ebbe il grandissimo merito, universalmente riconosciutogli, di aver brevettato nel 1876 il ciclo a 4 tempi, introducendo la fondamentale fase di compressione della miscela aria-combustibile.
A 150 anni dal primo brevetto di Barsanti e Matteucci, la città di Lucca (Barsanti era nato a Pietrasanta) ha pubblicato un libro interessantissimo e rigorosamente documentato, che attesta quanto già noto, ma mai ammesso dalla scienza ufficiale. Nel libro, dal quale abbiamo tratto alcune immagini, si racconta la vita dei due inventori e il cammino tecnico compiuto per arrivare al grande risultato, che oggi celebriamo con questa breve rievocazione.
Un'idea esplosiva
I visitatori dell'ultimo Motor Show avranno forse notato nel padiglione 33, se non troppo distratti dalle eccitanti bellezze a fianco di affascinanti automobili, uno stand strano che esponeva solo due modellini di vecchi motori, tanto vecchi da non aver più alcun legame estetico con quelli che oggi siamo abituati a vedere sotto il cofano di un'auto o al centro del telaio di una moto.
Invece il legame c'è ed è letteralmente esplosivo: lo scoppio.
Quei modellini, assai ben eseguiti, erano ciò che resta a testimoniare l'opera di Barsanti e Matteucci, inventori del motore a scoppio.
Se oggi noi tutti, in tutto il mondo, godiamo dei vantaggi di questo versatilissimo, affidabile e conveniente propulsore, lo dobbiamo non solo al tedesco Nikolaus August Otto, che inventò il ciclo a 4 tempi, e al suo collaboratore - poi mortale nemico - Gottlieb Daimler, che costruì il primo motore leggero a benzina, ma anche ai due tecnici italiani, che ostinatamente perseguirono l'obiettivo di rendere funzionale un motore che l'evoluta tecnologia del motore a vapore sembrava aver definitivamente oscurato. Ci riuscirono e il loro lavoro servì da base ad altri, tanto è vero che il primo motore di Otto fu una copia pressoché conforme di quello brevettato da Barsanti e Matteucci.
Tutto ebbe origine il 5 giugno 1853, quando il padre scolopio Eugenio Barsanti e l'ingegner Felice Matteucci depositarono presso l'accademia dei Georgofili di Firenze un plico contenente la descrizione di esperienze fatte sulla trasformazione dell'energia derivante dall'esplosione di un gas in lavoro meccanico. Gli studi teorici recavano la paternità di Barsanti, la loro traduzione pratica e la progettazione di una macchina in grado di lavorare sulla base di questi principi furono invece compito di Matteucci, esperto progettista. Il primo motore fu costruito in quello stesso 1853 dalla fonderia di Pietro Benini a Firenze; mentre iniziavano i primi collaudi, i due inventori pensarono di brevettarlo anche in Inghilterra, ed ottennero senza difficoltà l'attestato il 12 giugno 1854. Un secondo motore, a due cilindri della forza di 8 HP fu costruito nel 1856; successivamente furono studiati altri tipi di motore e furono richiesti brevetti anche in Francia e in altri Paesi.
Nonostante questo rapido progresso, nonostante la sperimentazione scientifica del funzionamento e del rendimento della loro macchina, nonostante l'apprezzamento ottenuto da tecnici italiani e stranieri e i primi ordini ricevuti, la società fondata per lo sfruttamento del Nuovo Motore non decollò mai. Una lunga malattia nervosa sconvolse la vita di Felice Matteucci, che diede le dimissioni dalla società, e Barsanti, che aveva continuato da solo, al ritorno da un viaggio di lavoro presso la Cockerill in Belgio, si ammalò di tifo e morì il 19 aprile 1864.
Invece il legame c'è ed è letteralmente esplosivo: lo scoppio.
Quei modellini, assai ben eseguiti, erano ciò che resta a testimoniare l'opera di Barsanti e Matteucci, inventori del motore a scoppio.
Se oggi noi tutti, in tutto il mondo, godiamo dei vantaggi di questo versatilissimo, affidabile e conveniente propulsore, lo dobbiamo non solo al tedesco Nikolaus August Otto, che inventò il ciclo a 4 tempi, e al suo collaboratore - poi mortale nemico - Gottlieb Daimler, che costruì il primo motore leggero a benzina, ma anche ai due tecnici italiani, che ostinatamente perseguirono l'obiettivo di rendere funzionale un motore che l'evoluta tecnologia del motore a vapore sembrava aver definitivamente oscurato. Ci riuscirono e il loro lavoro servì da base ad altri, tanto è vero che il primo motore di Otto fu una copia pressoché conforme di quello brevettato da Barsanti e Matteucci.
Tutto ebbe origine il 5 giugno 1853, quando il padre scolopio Eugenio Barsanti e l'ingegner Felice Matteucci depositarono presso l'accademia dei Georgofili di Firenze un plico contenente la descrizione di esperienze fatte sulla trasformazione dell'energia derivante dall'esplosione di un gas in lavoro meccanico. Gli studi teorici recavano la paternità di Barsanti, la loro traduzione pratica e la progettazione di una macchina in grado di lavorare sulla base di questi principi furono invece compito di Matteucci, esperto progettista. Il primo motore fu costruito in quello stesso 1853 dalla fonderia di Pietro Benini a Firenze; mentre iniziavano i primi collaudi, i due inventori pensarono di brevettarlo anche in Inghilterra, ed ottennero senza difficoltà l'attestato il 12 giugno 1854. Un secondo motore, a due cilindri della forza di 8 HP fu costruito nel 1856; successivamente furono studiati altri tipi di motore e furono richiesti brevetti anche in Francia e in altri Paesi.
Nonostante questo rapido progresso, nonostante la sperimentazione scientifica del funzionamento e del rendimento della loro macchina, nonostante l'apprezzamento ottenuto da tecnici italiani e stranieri e i primi ordini ricevuti, la società fondata per lo sfruttamento del Nuovo Motore non decollò mai. Una lunga malattia nervosa sconvolse la vita di Felice Matteucci, che diede le dimissioni dalla società, e Barsanti, che aveva continuato da solo, al ritorno da un viaggio di lavoro presso la Cockerill in Belgio, si ammalò di tifo e morì il 19 aprile 1864.
Funziona!
Il primo motore a scoppio, costruito da Barsanti e Matteucci nel 1853, era denominato "Gravi-atmosferico a gas". La costruzione ed il funzionamento erano assai diversi rispetto ad un odierno motore a scoppio, ma il principio di funzionamento era lo stesso.
Si componeva di una grande cilindro verticale a due diametri chiuso inferiormente ed aperto superiormente, entro il cui diametro maggiore poteva scorrere uno stantuffo. Il diametro inferiore del cilindro impediva allo stantuffo di scender fino a toccare il fondo del cilindro, e questo spazio libero costituiva la camera di scoppio. Sulla superficie superiore dello stantuffo, al centro dello stesso, era fissata una lunga asta munita di dentatura a cremagliera che, prolungandosi fuori del cilindro, andava ad ingranare con un pignone, sul cui albero erano fissati altri due ingranaggi, ciascuno dei quali comandava un'asta, collegata la prima al sistema di apertura e chiusura delle valvole di alimentazione, l'altra al sistema di accensione.
Il funzionamento era praticamente opposto rispetto a quello di qualsiasi motore a quattro tempi. In pratica si trattava di un ciclo a tre tempi con fase di aspirazione, di scoppio e di scarico. Una volta riempito di una carica di gas-luce (idrogeno e aria, oppure metano ed aria), e chiuse le luci di aspirazione, una scintilla elettrica comandata provocava l'esplosione del gas sotto lo stantuffo. Questi, per la forza espansiva prodotta dallo scoppio, veniva proiettato verso l'alto del cilindro fin quando, per effetto della depressione provocata tra l'altro dal raffreddamento dei gas combusti sotto la sua superficie inferiore e dalla forza di gravità, veniva richiamato verso il basso con grande energia. A quel punto, il pignone, che durante la salita dello stantuffo aveva ruotato sul suo asse in folle, grazie ad un sistema a ruota libera, ingranava con l'albero e questa rotazione si trasformava in lavoro meccanico disponibile per diverse applicazioni.
Il funzionamento era rumorosissimo, ma regolare; soprattutto era il primo motore a scoppio. Visto il nazionalismo con cui alcuni anni più tardi i Francesi asserivano la priorità di Lenoir e il miglior rendimento del suo motore, Barsanti e Matteucci non esitarono nemmeno a sottoporlo ad un test comparativo, che fu eseguito dai tecnici dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e che vide largamente vincitore il motore italiano. Nel 1867 all'esposizione universale di Parigi i tedeschi Otto e Langen presentarono un nuovo motore che ottenne la medaglia d'oro: era estremamente simile al motore Barsanti e Matteucci, e qualcuno se ne accorse: il direttore della rivista "Le Gaz" scrisse infatti sul suo giornale: "A prima vista quest'apparecchio a noi non sembra essere altra cosa che una cattiva imitazione dell'invenzione dei signori Barsanti e Matteucci, brevettata in Francia il 9 gennaio 1858; se questo non è lo stesso apparecchio, è almeno suo fratello e la maniera come funziona mostra questa parentela fino all'evidenza...".
Si componeva di una grande cilindro verticale a due diametri chiuso inferiormente ed aperto superiormente, entro il cui diametro maggiore poteva scorrere uno stantuffo. Il diametro inferiore del cilindro impediva allo stantuffo di scender fino a toccare il fondo del cilindro, e questo spazio libero costituiva la camera di scoppio. Sulla superficie superiore dello stantuffo, al centro dello stesso, era fissata una lunga asta munita di dentatura a cremagliera che, prolungandosi fuori del cilindro, andava ad ingranare con un pignone, sul cui albero erano fissati altri due ingranaggi, ciascuno dei quali comandava un'asta, collegata la prima al sistema di apertura e chiusura delle valvole di alimentazione, l'altra al sistema di accensione.
Il funzionamento era praticamente opposto rispetto a quello di qualsiasi motore a quattro tempi. In pratica si trattava di un ciclo a tre tempi con fase di aspirazione, di scoppio e di scarico. Una volta riempito di una carica di gas-luce (idrogeno e aria, oppure metano ed aria), e chiuse le luci di aspirazione, una scintilla elettrica comandata provocava l'esplosione del gas sotto lo stantuffo. Questi, per la forza espansiva prodotta dallo scoppio, veniva proiettato verso l'alto del cilindro fin quando, per effetto della depressione provocata tra l'altro dal raffreddamento dei gas combusti sotto la sua superficie inferiore e dalla forza di gravità, veniva richiamato verso il basso con grande energia. A quel punto, il pignone, che durante la salita dello stantuffo aveva ruotato sul suo asse in folle, grazie ad un sistema a ruota libera, ingranava con l'albero e questa rotazione si trasformava in lavoro meccanico disponibile per diverse applicazioni.
Il funzionamento era rumorosissimo, ma regolare; soprattutto era il primo motore a scoppio. Visto il nazionalismo con cui alcuni anni più tardi i Francesi asserivano la priorità di Lenoir e il miglior rendimento del suo motore, Barsanti e Matteucci non esitarono nemmeno a sottoporlo ad un test comparativo, che fu eseguito dai tecnici dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e che vide largamente vincitore il motore italiano. Nel 1867 all'esposizione universale di Parigi i tedeschi Otto e Langen presentarono un nuovo motore che ottenne la medaglia d'oro: era estremamente simile al motore Barsanti e Matteucci, e qualcuno se ne accorse: il direttore della rivista "Le Gaz" scrisse infatti sul suo giornale: "A prima vista quest'apparecchio a noi non sembra essere altra cosa che una cattiva imitazione dell'invenzione dei signori Barsanti e Matteucci, brevettata in Francia il 9 gennaio 1858; se questo non è lo stesso apparecchio, è almeno suo fratello e la maniera come funziona mostra questa parentela fino all'evidenza...".
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