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Moto & Scooter

Honda NSR500 di Alex Barros

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E’ stata la moto dei grandi campioni  e prima di essere rottamata dalla MotoGP ha messo le ali al talento del brasiliano. Nell’ultimo valzer che ci ha concesso in pista è stata adrenalina a cubetti 



La Honda NSR500 è in età pensionabile, e con essa ciascuna delle “vecchie” moto da Gran Premio. Quelle, per intenderci, col motore a due tempi. Per questo i puristi della moto da corsa piangono lacrime di disperazione, mentre i fautori del progresso a tutti i costi esultano per la scomparsa prossima di quell’acre odore di olio combusto e di quel particolare rumore metallico proveniente dagli scarichi. La storia volta pagina, insomma. Le moderne quattro tempi non puzzano, possono sviluppare più potenza, sebbene non a pari cilindrata, e sono più trattabili. Sono, insomma, il nuovo punto di riferimento.

Ma sono anche più fredde e impersonali; tendono a far provare emozioni razionali, non viscerali. La NSR 500, ironia della sorte, scaturisce da un insuccesso del quattro tempi, cioè da quel fiasco che la Honda fece nel lontano 1979 con la NR500 a 32 valvole: due moto, guidate da Takazumi Katayama e Mick Grant, partite in un GP d’Inghilterra, per motivi diversi non arrivarono al traguardo, e sparirono immediatamente dalla circolazione. Qualche anno dopo la Honda si presentò nel “Circus” con il risultato del progetto due tempi, con una moto a tre cilindri. Poi, nel 1984, iniziò la lunga militanza col V4. A condurla verso la vittoria iridata fu Freddie Spencer; continuarono a mietere successi Wayne Gardner, Eddie Lawson, Mick Doohan – per cinque stagioni consecutive – ed Alex Criville; l’ultimo titolo, quello del 2001, è opera di Valentino Rossi.



Ma ormai siamo al capolinea: “morituri te salutant”, sembra dirci una delle moto più vincenti di fine secolo. Ma prima di intonare il canto del cigno, e di finire “imbalsamata” sulla pedana di chissà quale museo, la NSR 500 (nella versione guidata fino a pochi mesi fa da Alex Barros), per intercessione di Honda Italia, ci si concede per l’ultimo valzer: la nostra gratitudine è infinita.


Eccola qui. Della NSR avevamo potuto intravedere l’indomabile caratterino, ma solo attraverso l’osservazione delle “virgole” che i piloti lasciavano in uscita di curva. Stavolta è stretta tra le nostre mani e le nostre gambe, costringendoci ad una reale presa di coscienza. È incantevole entrarci in simbiosi: l’interno cosce va a cingere con naturalezza quell’incavo tra la sella e il grosso serbatoio, che i gomiti abbracciano quasi. Un’orgogliosa passerella in pit lane ci lancia sul rettilineo, entro la prima curva del circuito di Valencia: i cordoli diventano i nostri riferimenti, sponde entro le quali far voltare, anzi volteggiare, la NSR. Che leggerezza! E’ come volare, almeno con l’emozione: questa moto non ha, né avrà, pari. Se non, forse, un’altra due tempi. Il sibilo allo scarico è eccitante.



Sorprendentemente il quattro cilindri inizia a prendere consistenza già dai 7000 giri al minuto; ai 9000 inizia una progressione rabbiosa fino ai 13.000, poi il nulla. In rettilineo si “mangia” voracemente i rapporti – dal comando rovesciato -, scaricando la potenza senza soluzione di continuità; in staccata, invece, arrivano i dolori: la NSR è impressionante per potere decelerante tanto che, alla prima staccata, potremmo arrivare a sederci sul serbatoio se non usassimo tutto quanto a nostra disposizione per ancorarci.



Proviamo, tuttavia, a condurre “di forza” la piccola; stretta tra le mani la indirizziamo all’esterno in staccata, quindi verso i punti di corda interni, poi puntando a testa china l’uscita di curva, tentando di rimanere insensibili quando il cordolo si approssima rapido sotto un avantreno in “galleggiamento”. Mai dimenticare i 180 cavalli che abbiamo in mano; il rispetto per la manopola del gas è profondo, ma la determinazione non viene mai meno. “Lei” vuole sentirsi dominata, condotta accortamente entro linee di traiettoria difficilmente interpretabili, sennò prenderebbe il sopravvento esponendo il “game over” sul sabbione oltre i cordoli. Un cartello dal muretto stronca ogni eventualità: “PIT”. Fine del gioco, uffa. Ma gongolanti di piacere.


LA NSR500 ha una misura d’interasse simile a molte moto di serie: 1400 millimetri. Se si escludono le sovrastrutture, sono poche altre le similitudini con le stradali, a cominciare dal peso che è di 130 chili circa: neppure uno scooter arriva a questo livello di leggerezza. I cavalli, che sono 180, se rapportati al peso fanno intuire quanto sia pericolosa la NSR in mani poco esperte, mentre il serbatoio, da ben 32 litri, dà la misura dei consumi. Naturalmente raffreddato a liquido, il quattro cilindri a V da 499 centimetri cubi è abbinato a un cambio a sei rapporti e incastonato in un telaio a doppio trave in alluminio, che è stato modificato rispetto alla vecchia versione anche per ottimizzare la stabilità in curva. Il propulsore adotta l’alimentazione a carburatori, anch’essi migliorati e serviti da un voluminoso air box.



Una centralina elettronica controlla, oltre all’accensione, la carburazione, il “timing” dell’alimentazione e l’apertura della valvola di scarico, con la possibilità di regolazioni che assecondano i voleri di ciascun pilota in relazione alla pista.
Le ruote Marchesini impiegano la misura di 17 pollici anteriormente e 16,5 sulla motrice: la scelta sembra dovuta al miglior feeling prodotto dal pneumatico di diametro minore. La forcella è una Showa a steli rovesciati; il freno anteriore è costituito da una coppia di dischi in carbonio associati a pinze Brembo ad attacco radiale; quello posteriore adotta una pinza monopistone, su disco in acciaio, mentre la sospensione posteriore vanta un “familiare” cinematismo Pro Link e un pregevole forcellone scatolato. Onore, infine, al fascino delle quattro espansioni che compongono l’impianto di scarico.

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