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Moto & Scooter

I bicilindrici

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Storicamente legato al concetto stesso di moto, il motore a due cilindri ha sempre dimostrato una polivalenza unica, adattandosi nel tempo agli impieghi più disparati. I perché e i come di un’evoluzione lunga più di un secolo

Sezione del Rotax 2T da GP con cilindri “in tandem”

Storicamente legato al concetto stesso di moto, il motore a due cilindri ha sempre dimostrato una polivalenza unica, adattandosi nel tempo agli impieghi più disparati. I perché e i come di un?evoluzione lunga più di un secolo

di Alberto Dell?Orto

Il bicilindrico ha fatto quasi subito la sua apparizione nel settore motociclistico, già alla fine dell?Ottocento, ma è solo all?inizio del secolo scorso, con la definizione stabile del posizionamento del propulsore in mezzo al telaio, che questo frazionamento diventò una presenza più frequente sulle moto.



Soprattutto all?inizio dell?epopea della motocicletta, quando un veicolo a motore era comunque, per definizione, un lusso riservato a una fetta comunque ristretta del mercato, il problema dei costi era sentito in misura non pressante, e ciò ne facilitò la sua diffusione, soprattutto nella configurazione a V longitudinale che si prestava tanto bene a essere inserita all?interno dei telai di derivazione ciclistica di allora. In seguito, tanto i telai quanto i motori conobbero una rapida evoluzione tecnica, e cominciarono ad apparire macchine prestigiose, rifinite e prestazionali come le Scott a due tempi a cilindri affiancati, così evolute da essere pesantemente handicappate di cilindrata nelle competizioni che si svolgevano Oltremanica. Allo scoccare della Seconda Guerra Mondiale si erano già imposte nelle competizioni europee le Guzzi 500 bicilindriche a 120°, mentre l?inglese Triumph aveva già presentato il suo bicilindrico parallelo a quattro tempi di 350 cc. Dopo il conflitto non era il caso di sperperare: solo l?americana Harley poteva mantenere i due, per l?epoca enormi, cilindri nati all?inizio del secolo, mentre i russi copiarono le BMW 750 utilizzate dalla Wermacht durante la guerra, e gli inglesi della Vincent stupivano il mondo con la Black Shadow di 1000 cc e 200 km/h (dichiarati un po? ottimisticamente).


In Europa, comunque, fino alla fine degli anni Sessanta un comune mortale poteva aspirare, a prezzo di sacrifici notevoli, a una signorile BMW, poco ?sprintose? ma molto affidabili, oppure a una inglese (BSA, Norton, Triumph?) decisamente più prestazionale ma anche molto più problematica da mantenere efficiente. Solo a partire dagli anni Settanta si farà prepotente la spinta tecnica dei giapponesi, che prima prendono ispirazione dai modelli britannici e poi evolvono i loro prodotti in modo sempre più autonomo (Yamaha XS, Honda CB, Kawasaki Z, Suzuki GS), gettandosi anche nelle piccole e medie cilindrate con motori a due tempi (Yamaha RD, Suzuki Titan) che sbaragliarono una concorrenza, soprattutto italiana, di monocilindriche aste e bilancieri.


Saranno però proprio gli italiani, negli anni seguenti, a dimostrare che con un bicilindrico si possono fare anche moto sportive: Guzzi, Morini e, soprattutto, Ducati, crederanno per amore o per forza in questo motore e le vittorie della 916/998 porteranno i giapponesi e Aprilia a sondare anche con bicilindriche il settore delle supersportive.
I vantaggi di un bicilindrico sono evidenti, e sono anche il segreto di una longevità e di una diffusione che ne fanno probabilmente il motore motociclistico per definizione. Rispetto a un monocilindrico, a parità di cilindrata, permette di contenere la corsa dei pistoni e, dunque, di raggiungere regimi e potenze superiori.


L’albero motore composito gira su cuscinetti a rotolamentoIn più presenta notevoli vantaggi dal punto di vista degli ingombri in altezza (una corsa più corta significa anche una biella dall’interasse più contenuto e, per i quattro tempi, valvole più corte per testate più basse). Ovviamente questo vantaggio viene in qualche modo compensato da un generale aumento della massa e delle dimensioni in largezza (con cilindri frontemarcia) o in lunghezza (con cilindri a V longitudinale o in “tandem). Ma soprattutto, rispetto al mono, i vantaggi sono di comfort: senza i costi di produzione di un motore a tre o più cilindri, il bicilindrico permette già una guida decisamente più morbida grazie soprattutto alla regolarità della coppia motrice, data dallo sfalsamento, all’interno dei giri necessari per un ciclo, di un superiore numero di combustioni. Il volano può dunque essere più leggero, e quindi il motore più brillante a prendere giri. Il rovescio della medaglia è costituito, ovviamente, dall’aumento della complessità costruttiva e dei relativi costi: i motori dotati di alberi a camme in testa (che ormai sono decisamente la maggioranza) hanno bisogno, per qualsiasi configurazione che non abbia i cilindri paralleli, di due distinti comandi (catene, ingranaggi, cinghie) a meno di non ipotizzare una catena o cinghia che serva entrambi i cilindri.


A tutt’oggi, però, solo il prototipo Britten per le gare Bott e Bears ha mostrato una soluzione del genere, che deve fare i conti con dilatazioni termiche che tendono ad allontanare tra di loro le testate. Nei raffreddati ad aria con V longitudinale, inoltre, il cilindro anteriore fa inevitabilmente da “schermo” al cilindro posteriore, riducendone l’esposizione al flusso refrigerante. Infatti storicamente i motori più sensibili a questo problema (che sono gli Harley, con V di soli 45°) adottano per il cilindro posteriore un gioco canna/pistone più elevato, per scongiurare ingranamenti. Per evitare questi effetti, la Ducati ha impiegato un posizionamento quasi orizzontale del cilindro anteriore (disposizione “a L”), ma questo ostacola l’ottenimento di una corretta distribuzione dei pesi, perché rende difficile avvicinare la ruota anteriore al baricentro. Una soluzione è quella di ridurre l’angolo della V (che però porta quasi obbligatoriamente al raffreddamento a liquido e comunque a caratteristiche vibrazionali peggiori), oppure di ruotarla all’indietro (ma bisogna anche considerare l’innalzamento del baricentro).


Una terza via è la disposizione trasversale della V, come Guzzi o quel V di 180° che è il boxer BMW: ottimo il raffreddamento, ma aumentano gli ingombri trasversali (angoli di piega, interferenze con le gambe, aerodinamica) e la disposizione longitudinale dell’albero motore rende la trasmissione ad albero una scelta pressoché obbligata.
Nei bicilindrici i due aspetti più sensibili per il comfort dei passeggeri, cioè l’erogazione ciclica e le vibrazioni, sembrano scontrarsi tra loro. Diciamo subito che la soluzione globalmente migliore sotto questi punti di vista è il boxer: le combustioni si succedono a intervalli regolari (ogni 360°) e le forze di inerzia delle masse alterne si annullano vicendevolmente.
I problemi sono relativi alle coppie che si creano tra le forze d’inerzia a causa del braccio costituito dal disassamento dei cilindri, che non può essere molto contenuto a causa della necessità di adottare due perni di manovella a 180°. Inoltre, su motori con cubature rilevanti, per contenere gli ingombri è giocoforza ricorre a bielle dall’interasse molto ridotto, cosa non vantaggiosa sul fronte delle vibrazioni.


I motori a cilindri paralleli, invece, possono avere due configurazioni: se si privilegia la regolarità di rotazione ai bassi regimi si adottano sui 4T le manovelle a 360°, che rendono questo motore una sorta di “doppio monocilindrico” su fronte delle vibrazioni, e dunque è d’obbligo l’adozione di un sistema di equilibratura dinamica, con contralbero (meglio due). Se invece, come appare logico, si preferisce contenere le vibrazioni, le manovelle possono essere sfalsate di 180°: quando un pistone sale l’altro scende, e dunque le forze d’inerzia risultano bilanciate (sui 2T, inoltre, questa configurazione permette anche la migliore regolarità ciclica, con una combustione ogni 180°).
Rimangono comunque da bilanciare le coppie, che possono essere notevoli a causa della cospicua distanza tra i due perni di manovella: anche in questo caso, dunque, il ricorso ad un albero di equilibratura appare consigliabile.


Un caso particolare è dato dai bicilindrici a due tempi con cilindri “in tandem”, una soluzione un tempo in voga nei GP (Kawasaki, Rotax) e ora utilizzato solo da alcune aziende nel settore egli ultraleggeri e delle motoslitte: con gli alberi controrotanti si ottiene un comportamento molto buono dal punto di vista delle vibrazioni (in pratica i due alberi si comportano vicendevolmente da contralbero), anche se si deve rinunciare alla regolarità ciclica
I motori a V a 4T sono più complessi sotto gli aspetti che riguardano tanto le vibrazioni quanto la regolarità ciclica.



L’angolo della V che determina migliori risultati complessivi (ed è infatti il più utilizzato) è quello di 90°: non tanto per l’intervallo delle combustioni, che con successioni di 270 e 450° risulta abbastanza zoppicante (nei due tempi, invece, le combustioni si succedono ogni 90 e 270°), quanto perché, utilizzando un solo perno di manovella con le bielle affiancate, ogni 90° di rotazione il contrappeso dell’albero motore equilibra l’inerzia di una delle due masse alterne. Inoltre, mentre un pistone si ferma al punto morto per invertire il moto, l’altro è a metà della corsa e dunque nel momenti di massima velocità, e con la sua inerzia aiuta a mantenere la velocità di rotazione. Per altri angoli della V, il calcolo delle forze d’inerzia del primo ordine (le più importanti ai fini delle vibrazioni) porta a una formula per ottenere il valore ideale di sfalsamento delle manovelle: d (angolo tra le manovelle) = 180°- 2g (angolo tra i cilindri).


Ne consegue che un V di 45° dovrebbe avere le manovelle sfalsate di 90°, una V di 60° uno sfalsamento pure di 60°, una V di 72° uno sfalsamento di 36° e una V di 90° uno sfalsamento, appunto, di 0°. Nonostante questi calcoli, confermati anche dal motore della Honda Transalp (V di 52°, manovelle sfalsate di 76°), per semplicità costruttiva e per contenere al massimo la larghezza dell’albero motore molti produttori utilizzano (o hanno utilizzato) un solo perno di manovella anche in motori con V diversa da 90°. È il caso della Morini (V di 72°, sufficientemente vicino ai 90° per non generare vibrazioni esagerate), dell’Harley (V di 45°, e infatti sono motori famosi per le vibrazioni). Gli altri, come Yamaha (XZ, V di 70°) e Aprilia (RSV, V di 60°) hanno preferito adottare alberi di bilanciatura.
Dopo che Ducati ha dimostrato che con un bicilindrico ben progettato si possono tirare fuori tanti CV e vincere le gare, anche altri costruttori hanno seguito questa strada. Alcuni non hanno rinunciato ai vantaggi intrinseci della V di 90° (Honda, Suzuki, KTM), mentre altri hanno ritenuto i 72° il miglior compromesso tra compattezza e intensità di vibrazioni (Voxan).


Interessante notare come la Yamaha, con il suo bicilindrico frontemarcia a dieci valvole della TDM 850 sia passato, prima sulla versione per la stradale TRX e poi anche sulla TDM stessa, da manovelle a 180° (teoricamente corretto) a manovelle a 90°, una soluzione dettata probabilmente dall’ottenimento sonorità più accattivante (è la stessa di un bicilindrico a V di 90°…). La strada comunque è segnata: a parte alcune Case che possono collegarsi a una tradizione pluridecennale (Harley, BMW, Guzzi, Ducati, Suzuki), il raffreddamento ad aria è destinato a scomparire, insieme alle distribuzioni ad aste e bilancieri, mantenute solo dai motori meno esigenti in fatto di prestazioni. Si assiste a una generale corsa alla compattazione delle dimensioni e alla proposizione sempre più convinta di sportive pure bicilindriche, mentre fino a pochi anni fa la corsa alle prestazione sembrava aver tagliato fuori dalla corsa questo frazionamento a favore dei quattro cilindri.


Intanto, però, anche settori come le enduro di grossa cilindrata, le moto da turismo e le custom hanno mantenuto il loro stretto rapporto con il bicilindrico, anche se spesso le alette di raffreddamento sono un artificio estetico che cerca di dissimulare antigelo e radiatore. Da segnalare il definitivo ingresso dei bicilindrici (invariabilmente paralleli) anche nel settore degli scooter: dopo le provocazioni a due tempi dell’Italjet Dragster, ora gli scooter più prestanti (Yamaha T-Max, Honda Silverwing, Suzuki Burgman 650) per offrire la necessaria surplace di marcia sono stati dotati di due cilindri.
Anche il Kawasaki 500 delle GPZ/EN/KLE/ER-5 ha le manovelle a 180° e il contralbero. Il raffreddamento è però a liquido, e la distribuzione a quattro valvole per cilindro
Anche BMW ha ammodernato, nel 1993, il disegno del suo boxer. Notare la distribuzione ad albero in testa e l’alternatore spostato sul dorso del carter

Uno dei motori più recenti (e complessi) del panorama moto: l’Aprilia per il suo bicilindrico ha scelto l’angolo della V di 60° e la manovella unica. Il motore è dotato di due contralberi
Un altro motore famoso, il Laverda 750. Notare le manovelle a 360°, che garantivano una successione ottimale delle combustioni, ma anche vibrazioni robuste. L’albero motore composito gira su cuscinetti a rotolamento
Il bicilindrico Morini è stato per diverso tempo uno dei migliori rappresntanti della categoria. Notare l’albero a camme piazzato razionalmente in mezzo alla V
Un altro pezzo di storia, il bicilindrico Suzuki GS, nato 450 negli anni Settanta e arrivato, con cilindrata 500, fino ai nostri giorni Si notano le manovelle sfalsate e l’albero di equlibratura
Schema del manovellismo del motore della Honda XLV 750 Africa Twin con manovelle sfalsate di 90°
Un motore che ha segnato un’epoca: il BMW boxer delle serie 5, 6 e 7, prodotto con continue evoluzioni dal 1969 al 1995 in cilindrate da 500 a 1000 cc

Un motore che ha fatto sognare i diciottenni di due generazioni, il bicilindrico Yamaha 250/350, qui in una delle ultime versioni (raffreddamento a liquido e con valvole allo scarico)

Il Velocette Roarer, un "pezzo" di bella meccanica, era un raro esempio di 4T ad alberi controrotanti

Schema di equilibratura con contralbero per bicilindrico parallelo con manovelle a 180°

Sezione del Rotax 2T da GP con cilindri “in tandem”

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