Moto & Scooter
BMW R 100/7
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Ha rappresentato il traguardo del litro di cilindrata, e l'inzio dell'ultima serie degli aste e bilancieri, che si sarebbe conclusa quasi vent'anni dopo. Oggi, dopo un quarto di secolo, la 100/7 è ancora in grado di far valere le sue doti


di Alberto Dell'Orto, foto A. Dell'Orto e G. Bergamaschi
Le BMW non mi attiravano. Non che riconoscessi loro chissà quali difetti, semplicemente mi lasciavano un po’ così, non dico indifferente, ma, insomma, poco coinvolto. Se devo comprare una moto degli anni Settanta, ho sempre pensato tra il conscio e l’inconscio, mi vengono in mente altri modelli più evocativi, più distintivi di un epoca, e anche di un modo di intendere le moto.
Una maxi di quell’epoca, pensavo, deve darmi sensazioni perdute dall’omologazione del presente, deve darmi una guida maschia, fatta di prestazioni, sospensioni rigide, gomme strette. E poi deve, dico deve, avere dei difetti, qualcosa che si rompe, aspetti migliorabili che mi diano la scusa di sporcarmi le mani, per renderla, oltre che più performante e affidabile, più mia; qualcosa che mi faccia entrare in relazione, anche conflittuale, con l’altra metà delle mie scorribande tra Milano e il passo del Penice, la Valtellina, il raduno a Parigi, la spiaggia in Liguria. Non sono disposto a rinunciare ai freni a disco, ma almeno un cavo del gas che si trancia, un contatto elettrico sensibile all’umidità, qualche goccia d’olio per terra... Insomma, mi venivano in mente le Guzzi Le Mans o California, le Laverda 1000, le Norton Commando 850, le Ducati Darmah, al limite le Morini 3 ?. Cosa avrei mai potuto farmene di una docile, affidabile, rileccata BMW? Invece mi sono innamorato appena l’ho vista. Devo dire, a mia parziale discolpa, che era proprio bella, con quella patina che mostrava gli anni e il rispetto di chi l’aveva avuta prima di me. Ma mai avrei potuto prevedere una di quelle infatuazioni che ti fanno staccare l’assegno senza nemmeno pensare al saldo del conto corrente. Invece... Classica, dalla linea pulita, le cromature al posto giusto, i cerchi a raggi. E poi... quel colore! Anni Settanta allo stato puro, ma contemporaneamente così cangiante a seconda delle condizioni di luce da farti vedere un’intero arcobaleno nel corso di una giornata. L’accendo per sentire il motore e mi rincuoro: la batteria è quasi scarica, le valvole sono da registrare, il cilindro sinistro emette la classica fumata dopo una sosta, e un po’ di benzina trabocca dalle vaschette dei carburatori. Perfetta!
La R 100/7 del 1977 arancio metallizzato diventa mia in pochi minuti, poi a me il piacere di scoprirne un poco alla volta le caratteristiche, i pregi, i difetti, di creare un connubio. Batteria nuova, gioco valvole e registrazione puntine, poi la scaldo. Cambio tutti gli olii (non si sa mai), i filtri, i tubi della benzina, le valvole a spillo dei carburatori (pisciano ancora un pochino e nemmeno sempre, basta chiudere i rubinetti quando la parcheggio). Registro i cavi di frizione e acceleratore. Poi controllo i freni, tutto OK. Inizia un nuovo fidanzamento.
La R 100/7 del 1977 arancio metallizzato diventa mia in pochi minuti, poi a me il piacere di scoprirne un poco alla volta le caratteristiche, i pregi, i difetti, di creare un connubio. Batteria nuova, gioco valvole e registrazione puntine, poi la scaldo. Cambio tutti gli olii (non si sa mai), i filtri, i tubi della benzina, le valvole a spillo dei carburatori (pisciano ancora un pochino e nemmeno sempre, basta chiudere i rubinetti quando la parcheggio). Registro i cavi di frizione e acceleratore. Poi controllo i freni, tutto OK. Inizia un nuovo fidanzamento.
Un'occhiata da vicino
Stupisce, la R 100/7. Ha venticinque anni tondi, quando è nata indossavo calzoni corti e nessuno mi aveva ancora insegnato l’alfabeto. Eppure è dotata come e forse meglio di alcune moto di oggi. I blocchetti elettrici, per esempio: sono ricchi e dall’aspetto robusto, ben studiati ergonomicamente e piacevoli alla vista. Senza prendere a paragone le italiane e le inglesi, che all’epoca montavano roba da ciclomotore, neanche le giapponesi offrivano tanto. La qualità di gomme e plastiche, poi, era certamente eccezionale, tanto che oggi nessuna di esse mostra i segni dell’età e dell’ozono: solo le pedane sono consumate, ma con 53.000 km glielo possiamo perdonare.
Da segnalare, tra l’altro, la comodità delle serrature unificate, che permette di usare un'unica chiave. La carrozzeria è un altro punto di forza. A parte il colore, soggetto comunque ai gusti e alle mode, la verniciatura è spessa e brillante, con deliziosi filetti color oro tracciati a mano da addetti specializzati: una lucidata a base di polish è stata sufficiente a farle riacquistare lo splendore originario, mentre le cromature hanno richiesto solo l’uso accorto di una lana d’acciaio molto fine. Si vede che è costruita senza troppe economie.
Sotto la sella, dotata di chiusura a chiave infallibile in apertura e chiusura, c’è una vaschetta di discreta capienza, dotata di guarnizione per fare tenuta all’acqua contro il fondo della sella stessa, dove è applicata una patella che provvede a trattenere i documenti. E poi, gentilezza del proprietario precedente che non l’ha trattenuta per ricordo, la degli attrezzi, completa e di qualità più che buona, dotata anche di spessimetro per valvole, puntine e candele, e la pompa per gonfiare le gomme, in grado di spingere fino a 2 bar.
Il mio esemplare ha due borse laterali Krauser, che oggi non sembrano il massimo, ma all’epoca lo erano di certo: l’usura ha ridotto la precisione con cui combaciano i coperchi e chiudono le serrature, ma si intuisce perfettamente che venticinque anni fa valigie stagne e dotate di chiave dovevano suscitare l’invidia di molti.
Tecnica
In casa BMW gli aumenti di cilindrata sono stati sempre molto ponderati, perciò, benché arrivare ai fatidici 1000 cc (beh, veramente sono 980…) fosse possibile sin dalla 75/5 del 1969, la cosa è andata per gradi: 900 cc con le /6 del 1973 (indimenticabile la 90 S), e finalmente 1000 nel 1976 con la /7. Tra le versioni di cilindrata maggiore (c’erano anche una 600 e una 750, poi cresciuta a 800), la 100/7 rappresentava la scelta più tranquilla: mentre la R 100 S aveva rapporto di compressione di 9,5:1 e carburatori da 40 mm (e la RS anche le valvole di diametro maggiore), la "mia" moto era praticamente una 75/7 con l’alesaggio aumentato a ben 94 mm. Data la corsa di 70,6 mm, ciò ne faceva uno dei motori motociclistici più superquadri allora in produzione (solo il Ducati bicilindrico parallelo 350/500 era più "spinto"), nonostante il regime massimo di progetto fosse contenuto intorno ai 7000 giri.
I Questa scelta derivava da specifiche esigenze costruttive: la corsa non si poteva aumentare per problemi di ingombro laterale, di bielle più corte neanche a parlarne a causa delle vibrazioni, per cui la strada obbligata era quella del big bore, come dicono gli americani. Tutto il resto, invece, è stato mantenuto: carburatori da 32 mm, valvole "strette", il rapporto di compressione di 9:1. Ciò determina una (godibilissima) curva di coppia piatta e sostanziosa ai bassi, in virtù della quale la moto è equipaggiata con la coppia conica più lunga disponibile per i boxer, una 11/33 che fa fare 30 all’ora ogni 1000 giri in quinta, e questo nonostante la potenza massima sia contenuta in 60 CV. I cilindri al Nikasil però, li faranno solo dall’81; i miei, con le canne in ghisa, mi regalano i previsti rabbocchi d’olio: mezzo chilo ogni 1000 km. Visto che in coppa ce ne stanno al massimo due litri, non è il caso di dimenticarsene a lungo.
Il telaio è lo stesso delle serie precedenti, ma rivisto con l’adozione di un rinforzo supplementare tra i due tubi discendenti anteriori, per contrastare una certa tendenza allo svergolamento, anche permanente. Il telaietto reggisella, invece, non è stato modificato, per cui ancora oggi è impossibile estrarre la batteria dall'alto, e mi tocca asportare completamente il filtro dell’aria, accompagnato dalla scatola e dai collettori dei carburatori. Il freno anteriore è a doppio disco, ma inspiegabilmente la pompa idraulica è stata posta sotto il serbatoio, comandata dalla leva destra del manubrio attraverso un cavo. Decisamente non il massimo, come vi racconterò più avanti.
Andando a spasso
Sali in sella la prima volta, e ti trovi a tuo agio, perché la sella è davvero comoda anche per due e la posizione è naturale, anche se io (i puristi dell’originalità mi malediranno) per gestire meglio la situazione in città ho preferito mettere un manubrio leggermente più largo (di una Guzzi SP: sacrilegio!). Le vibrazioni si sentono, soprattutto sulle pedane, ma all’epoca, al confronto con le inglesi e le italiane, doveva sembrare liscia come l’olio. La guida, invece, non convince subito: la frizione monodisco, il volanone grosso e pesante, il cambio pigro e rumoroso, la flessibilità complessiva della ciclistica (steli forcella da 36 mm, ruote a raggi, molle morbide) creano qualche problema di feedback e, soprattutto, di lentezza di risposta ai comandi. Non tanto in città, dove al massimo bisogna fare l’occhio agli ingombri di cilindri e borse, quanto nel misto e nella guida allegra, la moto sembra obbedire sempre in ritardo agli input. Con precisione, ma con un differimento fastidioso.
E allora i casi sono due (come in tutti i fidanzamenti): o lo scontro frontale, fatto di forzature per entrare in curva, pestate sul cambio, tirate di giri e frenate al limite, oppure un graduale, ma decisamente più proficuo e soddisfacente, adeguamento alle sue caratteristiche. Troppo pochi CV? Metto una marcia in più e sfrutto la coppia tra i 3 e i 4000 giri. Lenta in ingresso di curva? Preparo la traiettoria e la pennello. Saltellamenti del retrotreno in scalata? Faccio slittare un po’ la frizione e non se ne parla più. A questo punto si comincia a godere di una guida morbida, fatta di comandi gentili, di cambiate dolci. Tutto senza fretta, ma con un ritorno in termini di godibilità ed efficacia insospettati. Ha venticinque anni, ma si guida come una bicicletta, anche perché pesa poco (meno di 200 kg a secco, mentre la Honda 500 Four li supera di parecchio), è ben bilanciata, e sul liscio è una piegatrice di tutto rispetto (prima, però, massimo precarico agli ammortizzatori). Sullo sconnesso, invece, saltella un po’ e allarga le traiettorie: sembra sempre di cadere ma non si cade mai. E poi è così comoda... Le sospensioni filtrano quasi tutto, la passeggera non ti maledice, viaggi a 120 con il solo limite della tua voglia. Ecco, in realtà ci si accorge dell’età della moto solo dalla frenata. E non tanto per il tamburo posteriore, che bene o male fa il suo lavoro onestamente, quanto per i due dischi anteriori, un crogiolo di scelte senza speranza, soprattutto con la tecnologia dell’epoca: comando a cavo (metà dello sforzo serve a frenare, l’altra metà ad allungare il cavo stesso), pompa di grosso diametro (dura come un sasso), dischi in acciaio, pastiglie organiche, pinze flottanti monopistoncino. Mi è venuta la tendinite a forza di evitare tamponamenti, e ho un amico che continua a insistere perché metta la pompa al manubrio della R 80 GS, come ha fatto lui. "Cambia dal giorno alla notte", mi dice. Ma io mi sono innamorato, anche dei suoi difetti.
Dati tecnici
Motore: a 4 tempi, 2 cilindri contrapposti (boxer) trasversali, raffreddamento ad aria, alesaggio e corsa 94 x 70,6 mm, cilindrata 980 cc, rapporto di compressione 9:1; distribuzione ad aste e bilancieri a 2 valvole per cilindro, comando a catena; lubrificazione a carter umido. Alimentazione a due carburatori Bing a depressione da 32 mm, accensione a ruttore con anticipo automatico; capacita’ serbatoio 24 litri. Avviamento elettrico (optional a pedale).
Trasmissione: primaria a ingranaggi; frizione monodisco a secco con comando a cavo; cambio in cascata a 5 marce; finale ad albero e coppia conica.
Ciclistica: telaio a doppia culla in tubi d’acciaio, inclinazione asse di sterzo 29°, avancorsa 95 mm. Sospensione anteriore: forcella telescopica a perno avanzato con steli da 36 mm, escursione 200 mm; sospensione posteriore: forcellone in acciaio e doppio ammortizzatore, escursione 125 mm. Ruote: anteriore e posteriore a raggi con canale in lega leggera, pneumatico anteriore 3,25-19", posteriore 4,00-18". Freni: anteriore a doppio disco da 264 mm, pinze flottanti a 1 pistoncino; posteriore a tamburo monocamma da 200 mm, comando ad asta rigida.
Dimensioni e peso: interasse 1465 mm, lunghezza 2180 mm, larghezza 740 mm, altezza sella 810 mm. Peso in ordine di marcia con serbatoio pieno 215 kg.
Prestazioni dichiarate: potenza 60 CV (44 kW) a 6500 giri, coppia 7,5 kgm (73,5 Nm) a 4000 giri, velocità 188 km/h.
Galleria fotografica