Moto & Scooter
Yamaha YZR250 2000
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Dopo quattro anni di sviluppo, lo sforzo della Yamaha è stato coronato dal successo. Una moto agile, con un motore molto gestibile e una distribuzione dei pesi centrata
di Alan Cathcart
, foto Gold ‘n’ Goose
Pochi campionati mondiali sono stati vinti con tanta finezza come quello conquistato da Oliver Jacque nella 250 l’anno scorso, in sella alla Yamaha del team Tech3. Il francese ha giocato una brillante partita di poker contro il suo compagno di squadra Nakano, per strappagli il primo posto sulla linea del traguardo dell’ultimo GP a Phillip Island.
Un gioco rischioso, perché tra i due contendenti avrebbe potuto goderne il terzo pretendente, vale a dire il binomio Honda-Katoh.
“Non voglio ripetere mai più un esperienza del genere! -dice il boss della scuderia Tech3, Herve Poncharal- Vincere il campionato è una bella soddisfazione, ma sapere che anche una banale scivolata può farti perdere tutto vuol dire vivere sul filo del rasoio. Quando tutto è finito mi sono sentito esaltato e sollevato al tempo stesso”. In effetti dopo quattro anni di sviluppo questa stagione ha significato otto vittorie e otto pole position, ventitré podi, il dominio di due piloti che, alla fine, hanno conluso al primo e secondo posto della classifica.
Per la stagione 2001, però, la Yamaha ha deciso di non essere più presente in modo ufficiale nelle due classi “minori” del Motomondiale, confermando il proprio impegno diretto solo nella 500, in attesa dei cambiamenti di regolamento che porteranno alla GP1 (o come si chiamerà) nel 2002. Peccato. La gestione delle quarto di litro passerà comunque al team privato sponsorizzato dalla malaysiana Petronas.
Ho avuto la possibilità di provare la moto sul circuito di Jerez, dove ho potuto scoprire i segreti del successo nella stagione 2000, specialmente tutti i miglioramenti che hanno portato a una efficacia eccezionale. Ve li racconto per filo e per segno nelle prossime pagine.
“Non voglio ripetere mai più un esperienza del genere! -dice il boss della scuderia Tech3, Herve Poncharal- Vincere il campionato è una bella soddisfazione, ma sapere che anche una banale scivolata può farti perdere tutto vuol dire vivere sul filo del rasoio. Quando tutto è finito mi sono sentito esaltato e sollevato al tempo stesso”. In effetti dopo quattro anni di sviluppo questa stagione ha significato otto vittorie e otto pole position, ventitré podi, il dominio di due piloti che, alla fine, hanno conluso al primo e secondo posto della classifica.
Per la stagione 2001, però, la Yamaha ha deciso di non essere più presente in modo ufficiale nelle due classi “minori” del Motomondiale, confermando il proprio impegno diretto solo nella 500, in attesa dei cambiamenti di regolamento che porteranno alla GP1 (o come si chiamerà) nel 2002. Peccato. La gestione delle quarto di litro passerà comunque al team privato sponsorizzato dalla malaysiana Petronas.
Ho avuto la possibilità di provare la moto sul circuito di Jerez, dove ho potuto scoprire i segreti del successo nella stagione 2000, specialmente tutti i miglioramenti che hanno portato a una efficacia eccezionale. Ve li racconto per filo e per segno nelle prossime pagine.
Descrizione
Mentre il meccanico Josian Rustique stava preparando la moto per la mia prova ho avuto la possibilità di rifarmi gli occhi con la miriade di splendidi particolari e, grazie alla sua sinuosa ed efficace conformazione aerodinamica, è sicuramente la moto che meglio si distingue nel panorama di tutto il circus dei GP del 2000. Ed è stata anche una delle più affidabili, non avendo registrato in tutta la stagione alcun guasto meccanico.
In più, pare che la moto sia più semplice da lavorarci sopra della Honda, e soprattutto che richieda una messa a punto meno estrema. Del resto la Tech3 e Jacque erano in ambito Honda fino al 1999, e di certo avevano l’esperienza per fare una comparazione... La YZR potrebbe essere italiana, tanto è curata nei particolari: è una moto che potete osservare anche solo per dieci minuti, e ogni dieci secondi troverete un nuovo particolare che attirerà la vostra attenzione. Come i due air box in carbonio con prese d’aria individuali: una sul fianco della carena, tipo Honda, e una sul cupolino, rivolta verso il centro.
Oppure le nuove pinze anteriori radiali della Nissin, dei capolavori dell’arte di lavorare il metalli alle macchine utensili.O anche i dischi in carbonio, schermati per mantenere la temperatura anche in una giornata tiepida come quella della prova.
O lo splendido radiatore curvo, o lo splendido scarico in titanio fatto a mano, con deliziosi ricami di saldatura. Che dire poi delle cerchi in magnesio forgiato della PVM, che permettono di risparmiare quasi mezzo chilo (150 g l’anteriore, il doppio il posteriore)?
Tecnica
La Yamaha segue fedelmente lo schema ormai canonico della classe 250: il motore bicilindrico è a V di 90° perchè si riesce ad avere un motore corto, con un baricentro basso, un alloggiamento più efficace per i carburatori e soprattutto un andamento rettilineo (e quindi più efficiente) delle espansioni di scarico.
Le misure di alesaggio e corsa sono quelle “quadre” di 54 x 54,6 mm, più rivolte alla corposità di erogazione, ma meno indicate agli alti regimi, rispetto alle misure “corsa corta” di 56 x 50,6 mm utilizzate da Harada nel ’93, quando vinse il campionato. Questo non impedisce al propulsore di erogare 97 ufficiosi CV (la Yamaha dice “oltre 90”...) a 12.800 giri, e di allungare con profitto per altri 1000 giri.
Il telaio, un classico doppio trave (anche se i montanti diagonali tendono ormai a essere conformati in geometrie meno rigorose) in alluminio, è abbinato a un forcellone di notevole lunghezza. Questa scelta, che riduce molto le reazioni del retrotreno alle variazioni di posizione dell’acceleratore, è concessa, nonostante l’interasse decisamente contenuto, dalla posizione molto avanzata del motore, in virtù della disposizione dei cilindri, come accennavamo.
Questo porta come altra conseguenza il trasferimento di una quota ottimale del peso totale sull’avantreno, indispensabile per mantenere la stabilità in staccata e la direzionalità in uscita di curva con un avantreno caratterizzato da quote “agili” come i 22,5° di inclinazione del perno di sterzo e 82 mm di avancorsa.
In pista
Appena sono salito in sella, ho capito perché, a inizio stagione, Jacque dichiarasse di sentirsi “...come seduto in poltrona”. La moto è relativamente confortevole anche per chi, come me, certo non ha la taglia di un fantino: la possibilità di movimento sorprende in modo favorevole, e permette tanto di scivolare sulla sella in inserimento di curva, quanto di allungarsi dietro il protettivo cupolino nei rettilinei.
Comunque, anche se certo dimensionata con più generosità di quel giocattolino che è la Honda, la Yamaha 250 è agile e molto maneggevole: entra in curva in modo rapido e pulito, utilizzando solo una piccola parte della capacità frenante dell’ammortizzatore di sterzo, che infatti non viene regolato durante la gara. Il motore mostra un carattere meno esplosivo dell’Honda 250, anche se bisogna comunque farlo girare forte, oltre gli 8800 giri evidenziati sul contagiri di Jacque. La parte migliore dell’erogazione è comunque confinata tra gli 11.000 e i 13.000 giri; oltre questo limite la cambiata è consigliata (si accende l’apposita spia per ricordarlo), ma in caso di necessità è possibile tenere la marcia fino a 13.800, e insistendo fino a 14.400 giri. Ma spesso non ne vale la pena, anche perché il sistema di cambiata assistita elettronicamente funziona benissimo.
Bisogna invece fare l’abitudine al comando del freno anteriore, che Oliver richiede molto morbido: alla prima frenata pensavo che ci fosse aria nell’impianto, ma poi ho cominciato ad apprezzare la modulabilità offerta da questa scelta. Anche perché i dischi in carbonio forniscono una forza decelerante incredibile, e un comando troppo diretto potrebbe creare situazioni imbarazzanti. Invece, grazie alla stabilità dell’avantreno, la staccata al limite non costituisce un problema, anche se conviene usare il freno posteriore per controllare il retrotreno.
Dati tecnici
Motore: a 2 tempi, 2 cilindri a V di 90°, raffreddamento a liquido, alesaggio e corsa 73 x 54,5 mm, cilindrata 249 cc, rapporto di compressione n.d.; ammissione lamellare nel carter, valvola allo scarico a controllo elettronico; lubrificazione a miscela. Alimentazione: 2 carburatori Keihin a valvola piatta da 39 mm; capacità serbatoio n.d.. Accensione elettronica digitale programmabile. Avviamento a spinta.
Trasmissione: primaria a ingranaggi, finale a catena. Frizione multidisco a secco con comando a cavo, cambio estraibile a sei marce.
Ciclistica: telaio a due montanti diagonali in lega leggera, inclinazione perno di sterzo 22,5°, avancorsa 82 mm. Sospensioni: anteriore a forcella regolabile Kayaba a steli rovesciati di Ø 41 mm, escursione n.d.; posteriore forcellone in alluminio con monoammortizzatore regolabile Kayaba, escursione n.d.. Ruote: cerchi tubeless forgiati PVM con pneumatici Dunlop 120/60-17" anteriore e 165/55-17" posteriore. Freni: anteriore Nissin a doppio disco in carbonio da 273 mm con pinze radiali a 4 pistoncini contrapposti; posteriore Nissin a disco da 200 mm con pinza a 2 pistoncini contrapposti.
Dimensioni e peso: interasse 1330 mm, lunghezza n.d., larghezza n.d., altezza sella n.d.. Peso in ordine di marcia senza benzina 97 kg.
Prestazioni dichiarate: potenza 97 CV (71 kW) a 12.800 giri. Coppia n.d.. Velocità 268 km/h (Mugello)
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