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Honda SP-1 W SBK

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I giapponesi della HRC hanno sfidato con la loro nuova bicilindrica la fenomenale Ducati 996 e le hanno subito strappato il titolo mondiale SBK. L’impresa eclatante di una moto eccezionale che Motonline ha provato per voi a Motegi



di Alan Carhcart, foto Koichi Ohtani




Anche i fedelissimi della Honda, che a suo tempo non avevano digerito la scelta della Casa di pensionare la quattro cilindri a "V" in favore di una "simil-Ducati", dovranno applaudire la sicurezza e la bravura con cui gli ingegneri della HRC, guidati da Testsuo Suzuki (ironia della sorte...) hanno saputo costruire una moto vincente al debutto, pur senza alcuna esperienza nel campo specifico dei bicilindrici a "V" ad alte prestazioni.


La SP-1W, o RC 51 come viene chiamata negli USA dove ha colto la sua prima significativa affermazione vincendo il titolo AMA Superbike con Nicky Hayden, è la moto che, guidata da Colin Edwards, ha strappato agli italiani la corona del Mondiale Superbike, dopo essersi imposta subito nella prima corsa a Kyalami ed aver replicato altre sette volte nel corso della stagione iridata.

Ciliegina sulla torta, per la debuttante SP-1W è venuta anche l'affermazione nella 24 Ore di Le Mans e soprattutto una clamorosa vittoria nella 8 Ore di Suzuka, la corsa più prestigiosa che si svolga in Giappone.

L'occasione di provare la regina delle SBK 2000 è arrivata sul circuito di Motegi, in una cupa giornata invernale; anche se ciò ha comportato l’uso di pneumatici da pioggia, il tempo a disposizione per girare mi ha consentito di trarre alcune conclusioni in merito al confronto inevitabile fra la nuova bicilindrica giapponese e la Ducati 996, sua diretta rivale italiana.

Al termine di una serie di giri in pista, scendi dalla Honda SP-1W con un gran desiderio di continuare a guidarla e ti accorgi di avere una sola parola per descriverla: favolosa!






Esteticamente la Honda SP-1W non ha certo lo stesso appeal della Ducati 916; le sue linee più tondeggianti la rendono meno grintosa, anche se il carattere – a prescindere da quello del motore – non le manca.

Decisamente più aggressiva diventa quando – smontata la carenatura – il propulsore e la raffinata ciclistica possono liberamente farsi apprezzare dagli appassionati in tutto il loro splendore.




L’avantreno appare granitico, con la imponente Showa upside-down con steli di 43 mm che abbraccia la ruota di 17” e il generoso impianto frenante Nissin a due dischi di 320 mm.; la parte centrale evidenzia il netto contrasto fra la complessità meccanica ed estetica del motore e dei suoi accessori, e l’assoluta linearità del telaio in alluminio a due montanti diagonali.

Nella parte posteriore spicca in basso il massiccio forcellone a due bracci, bilanciato in alto da un codone piuttosto snello affiancato dai due silenziatori Akrapovic in titanio, realizzati dalla ditta slovena appositamente per la HRC.




La posizione di guida della Honda bicilindrica è più razionale di quella della Ducati. Nonostante la considerevole altezza da terra della sella, il pilota non avverte la sensazione di essere seduto tanto in alto, inoltre, anche se tutto sulla Honda sembra più stretto e compatto, il cupolino garantisce una miglior protezione aerodinamica, ed è possibile appiattirsi agevolmente al suo riparo nel lungo rettilineo in discesa di Motegi.






La differenza si avverte subito dal suono che esce dagli scarichi. Il motore della Honda gira più in alto rispetto a quello della Ducati, anche se non tanto quanto quello dell’Aprilia, la quale comunque vibra maggiormente.

La SP-1W è l’interpretazione giapponese della 996; il motore è un bicilindrico a “V” longitudinale di 90° con alesaggio di 100 mm e corsa di 63,6 mm; la distribuzione è bialbero ad ingranaggi con quattro valvole per cilindro e l’alimentazione è ad iniezione elettronica.




Una domanda che viene subito alla mente è: “La Honda avrebbe ottenuto gli stessi risultati continuando a correre e a migliorare la RC 45 a 4 cilindri?”. La risposta viene dallo stesso Colin Edwards: “No. Quest’anno la bicilindrica è risultata più veloce di circa 1” su tutte le piste rispetto alla RC45”.

Il “V” di 90° è dunque una formula vincente nella SBK, ma come ha fatto la Honda a portare in una sola stagione la debuttante SP-1W a battere l’evolutissima Ducati '99?




La HRC ha messo in campo fin dall’inizio una moto equilibratissima e competitiva, ma ha saputo evolverla assai bene durante la stagione. Il primo progresso è venuto con l’adozione delle bielle in titanio e di altri particolari che hanno consentito un incremento del regime massimo di rotazione. Successivamente, ad Hockenheim, è stato compiuto un secondo passo per guadagnare potenza, ma questa mossa si è rivelata sbagliata perché si è peggiorato il rendimento ai bassi regimi.
Nei due GP seguenti si è tentata ogni strada per rimediare all’inconveniente, ma senza risultato.

Finalmente la soluzione è arrivata adottando un motore più generoso in basso in unione con un cambio rapportato lungo internamente e rivoluzionando la posizione di guida in modo da caricare maggiormente l’avantreno.






Il motore della Honda si rivela subito tanto malleabile e bilanciato ad ogni regime, quanto solo un bicilindrico a “V” può essere, anche se non dà quell’impressione di forza e quell’energia sanguigna che il Ducati sa fornire particolarmente a bassi giri. Il grande vantaggio di questo propulsore giapponese sta nell’erogazione, che potrebbe essere paragonata, per regolarità, a quella di un motore elettrico.

È possibile spalancare l’acceleratore in uscita di curva anche a 5.500 giri senza “buchi” di potenza o strappi alla trasmissione, quindi salire in progressione continua fino a 12.000 giri, ossia alla soglia di intervento del limitatore. Quando si sfrutta questo motore a regimi così bassi, il feeling col pneumatico posteriore è talmente elevato che sembra di esserci seduti sopra, e la sospensione posteriore lo trasmette con la massima sincerità.




Si potrebbe dire che il telaio e tutta la ciclistica di questa moto parlino col pilota, e che gli comunichino sempre buone notizie... Le virtù della ciclistica si apprezzano soprattutto in termini di maneggevolezza: nelle “esse”, strette o larghe che siano, la moto si lascia menare da una parte all’altra con la massima facilità senza scomporsi e senza affaticare minimamente il pilota.

Anche se l’erogazione della potenza è costante su tutto l’arco di utilizzo, il motore della Honda SP-1W dà il meglio di sé in prossimità del regime massimo di rotazione, più o meno come accade sull’Aprilia, mentre il Ducati dispone della potenza massima già un migliaio di giri prima di avvicinarsi al limite.


Motore: a 4 tempi, 2 cilindri a “V” longitudinale di 90°, raffreddamento a liquido, alesaggio e corsa 100 x 63,6 mm, cilindrata 999 cc; distribuzione bialbero a quattro valvole per cilindro, comandata da ingranaggi; alimentazione ad iniezione elettronica, capacità serbatoio del carburante: 22 litri. Accensione elettronica digitale programmabile. Lubrificazione a carter umido.

Trasmissione: primaria a ingranaggi, finale a catena. Frizione multidisco in bagno d’olio, cambio a sei marce.

Ciclistica: telaio a doppio trave perimetrale in alluminio. Sospensione anteriore a forcella teleidraulica a steli rovesciati da 43 mm; sospensione posteriore di tipo progressivo con monoammortizzatore e forcellone oscillante in alluminio. Ruote: cerchi in lega leggera pressofusa con pneumatici Michelin 120/70-17” anteriore e 190/50-17" posteriore. Freni: anteriore a doppio disco Nissin in acciaio di Ø 320 mm con pinze a quattro pistoncini; posteriore a disco Nissin in acciaio di Ø 220 mm con pinza a due pistoncini.

Dimensioni e peso: interasse 1409 mm, lunghezza n.d., larghezza n.d., altezza sella n.d.. Peso a secco 162 kg.

Prestazioni dichiarate: potenza: oltre 165 CV (121,3 kW) a 11.500 giri. Coppia n.d. Velocità: oltre 300 km/h.
Alan Cathcart in sella alla SP-1W in versione endurance

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